Da bambino aveva assistito spesso a quel prodigio. Aveva imparato a captare quel mormorio, a comprendere quel linguaggio. Minerale, antico, incomprensibile per quelli che non erano nati là, ai piedi di quelle montagne.
Chiuse gli occhi.
Pregò perché i giganti gli accordassero la loro clemenza. E sperò in un nuovo oracolo: parole di nebbia che gli rivelassero il proprio avvenire. Cosa avrebbero suggerito oggi i suoi mentori di pietra?
«Resta immobile.»
Una voce di donna.
Riuscì a girare la testa e scorse una lunga sagoma, vestita di un parka e di pantaloni aderenti neri. I suoi capelli, anch’essi neri, spuntavano da sotto il berretto in due ruscelli di riccioli che cadevano sulle spalle.
Era pietrificato. Come aveva fatto quella donna a seguirlo fin lì?
«Chi sei?» chiese lui in francese.
«Il mio nome non ha importanza.»
«Chi ti manda?»
«Sema.»
«Sema è morta.»
Non poteva sopportare di essere colto di sorpresa, così, nel segreto del suo pellegrinaggio. La voce continuò:
«Sono la donna che è rimasta al suo fianco a Parigi. Quella che le ha permesso di sfuggire alla polizia, di ritrovare la memoria e di tornare in Turchia per affrontarti.»
L’uomo annuì. Sì, fin dall’inizio mancava qualcosa a quella storia. Da sola, Sema Hunsen non avrebbe potuto sfuggirgli così a lungo: qualcuno doveva averla aiutata. Una domanda gli attraversò le labbra, con un’impazienza che rimpianse.
«Dov’è la droga?»
«In un cimitero. Dentro le urne cinerarie. Un po’ di polvere bianca, in mezzo alla polvere grigia… »
Lui scosse di nuovo la testa. Riconosceva l’ironia di Sema, che aveva esercitato il suo mestiere come se fosse stato un gioco. Tutto suonava corretto, un vero tintinnio di cristallo.
«Come hai fatto a trovarmi?»
«Sema mi ha scritto una lettera. Mi ha spiegato tutto. Le sue origini, la sua formazione, la sua specialità. Mi ha anche dato i nomi dei suoi vecchi amici, i suoi nemici di oggi.»
Lui notò che in quelle parole c’era una sorta d’accento, una maniera strana di prolungare le sillabe finali. Osservò un istante gli occhi bianchi delle statue: non si erano ancora svegliate.
«Perché ti immischi in tutto questo?» domandò. «La storia è chiusa. Si è chiusa senza di te.»
«È vero, sono arrivata troppo tardi. Ma posso ancora fare qualcosa per Sema.»
«Cosa?»
«Impedirti di proseguire la tua mostruosa caccia.»
L’altro la guardò e sorrise malgrado la pistola puntata. Era una donna alta, bruna, molto bella. Il suo viso era pallido, segnato da infinite rughe che però, invece di attenuare quella bellezza, la rendevano più netta. Quell’apparizione gli aveva tolto il fiato. Fu lei che riprese:
«A Parigi ho letto gli articoli sugli omicidi di tre donne. Ho studiato le mutilazioni che tu hai inferto loro. Sono psichiatra. Potrei dare dei nomi complicati alle tue ossessioni, al tuo odio per le donne… Ma a cosa servirebbe?»
L’uomo capì che era venuta per ammazzarlo, che lo aveva seguito fin lì per abbatterlo. Morire per mano di una donna: era impossibile. Si concentrò sulle teste di pietra. Ben presto la luce avrebbe dato loro la vita. I Giganti gli avrebbero detto come agire?
«E così mi hai seguito fin qui», disse per guadagnare tempo.
«A Istanbul non ho avuto problemi per localizzare la tua società. Sapevo che, prima o poi, ci saresti andato, malgrado il mandato di cattura, malgrado la tua situazione. Quando alla fine sei comparso, circondato dalle tue guardie del corpo, non ti ho più mollato. Per giorni ti ho seguito, spiato, osservato. E ho capito che non avevo alcuna possibilità di avvicinarti e ancor meno di sorprenderti…»
Dalle sue parole filtrava una strana determinazione. Quella donna cominciava a interessarlo. Le gettò un’altra occhiata. Attraverso il vapore del suo fiato, un altro dettaglio lo colpì. La sua bocca, d’un rosso troppo vivo, reso quasi viola dal freddo. All’improvviso, quel colore ravvivò il suo odio per le donne. Come le altre, anche lei era un’immagine blasfema. Una tentatrice, sicura del proprio potere…
«Ed è allora che è avvenuto il miracolo» proseguì lei. «Un mattino sei uscito dal tuo nascondiglio. Solo. E sei andato all’aeroporto… A me è bastato imitarti e comprare un biglietto per Adana. Ho immaginato che tu andassi a visitare dei laboratori clandestini o un campo d’addestramento. Ma perché partire solo? Ho pensato a una famiglia, ma non è il tuo genere. L’unica tua famiglia è una muta di lupi. E allora cosa? Nella sua lettera, Sema ti descriveva come un cacciatore venuto dall’Est, dalla regione di Adiyaman, e ossessionato dall’archeologia. In attesa della partenza, ho comprato delle carte e delle guide. Così ho scoperto il Nemrut Daği e le sue statue. Con le loro fessure nella pietra, mi hanno ricordato dei volti sfigurati. Ho capito che quelle sculture erano il tuo modello. Il modello che dava forma alla tua demenza. Stavi andando a cercare il raccoglimento in quel santuario inaccessibile, stavi per incontrare la tua follia.»
Lui ritrovò la calma. Sì, apprezzava davvero la singolarità di quella donna. Era riuscita a prenderlo nel suo stesso territorio. Era entrata, per così dire, in sintonia con il suo pellegrinaggio. Forse era persino degna di ucciderlo…
Diede un’ultima occhiata alle statue. Ora il loro biancore risplendeva sotto il sole. Non gli erano mai sembrate così forti e, al tempo stesso, così lontane. Il loro silenzio era una conferma. Aveva perso: non era più degno di loro.
Inspirò profondamente, poi, accompagnandosi con un cenno del capo, disse:
«Avverti la potenza di questo luogo?»
Sempre stando in ginocchio, prese una manciata di neve rosa e la sbriciolò:
«Io sono nato a qualche chilometro da qui, nella vallata. All’epoca non c’erano turisti. Io venivo a isolarmi su questa terrazza. È ai piedi di queste statue che ho forgiato i miei sogni di potenza e di fuoco.»
«Di sangue e di morte.»
Lui acconsentì, con un sorriso.
«Noi lavoriamo per il ritorno dell’impero turco. Ci battiamo per la supremazia della nostra razza in Oriente. Ben presto, le frontiere dell’Asia centrale salteranno. Parliamo la stessa lingua, abbiamo le stesse radici. Noi discendiamo tutti da Asena, la lupa bianca.»
«Tu usi un mito per nutrire la tua follia.»
«Un mito è una realtà divenuta leggenda. Una leggenda può diventare realtà. I Lupi sono di ritorno. I Lupi salveranno il popolo turco.»
«Non sei altro che un assassino. Un omicida che non conosce il prezzo del sangue.»
Malgrado il sole, si sentiva intirizzito, paralizzato dal freddo. Mostrò, alla sua sinistra, il bordo di neve che si perdeva nella vibrazione dell’aria:
«Un tempo, sull’altra terrazza, i guerrieri venivano benedetti con il sangue di toro in nome di Apollo-Mitra. È da questa tradizione che nasce il vostro battesimo, il battesimo dei cristiani. È dal sangue che nasce la grazia.»
Con la sua mano libera, la donna si sistemò alcune ciocche nere. Il freddo accentuava e arrossava le rughe, ma quella geografia precisa aumentava il suo splendore. Alzò il cane della pistola:
«Allora è il momento di essere felice. Perché il sangue sta per scorrere.»
«Aspetta.»
Lui continuava a non capire la sua audacia, la sua perseveranza.
«Nessuno corre certi rischi. Specie per una persona incrociata per qualche giorno. Chi era Sema per te?»
Lei esitò, poi, piegando leggermente la testa di lato, disse:
«Un’amica. Solo un’amica.»
Accompagnò quelle parole con un sorriso. E quel grande sorriso rosso, stagliandosi sul bassorilievo del santuario, fu la conferma di tutte le verità.
Forse lei sola incontrava davvero il suo destino in quel luogo.
Читать дальше