Jean-Christophe Grangé - L'impero dei lupi

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L'impero dei lupi: краткое содержание, описание и аннотация

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Anna Heymes, moglie di un alto funzionario parigino, dopo un intervento di chirurgia estetica soffre di crisi di amnesia e di terribili allucinazioni. Alla ricerca della sua identità e del suo vero volto, incontra Paul, il giovane commissario che sta indagando sull’atroce omicidio di tre ragazze turche impiegate in un laboratorio clandestino. Paul ha chiesto l’aiuto di un poliziotto in pensione dal passato turbolento, Jean-Louis Schiffer, creando così una coppia eccentrica ma tenacissima.
Inizia così una vera e propria discesa agli inferi: un viaggio nei labirinti della mente dei protagonisti, ma anche in un mondo popolato da feroci assassini e trafficanti di immigrati
, oltre che da bande terroriste che vanno dai guerriglieri no-global ai Lupi grigi turchi.

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«L’atmosfera tra i vari partner non deve essere delle più distese.»

«La guerra è imminente. Ma Kudseyi se ne frega. La sua sola ossessione sei tu. Vuole ritrovarti a ogni costo. Non è una questione di denaro, è una questione d’onore. Non può accettare di esser stato tradito da uno dei suoi. Siamo i suoi Lupi, le sue creature.»

«Le sue creature?»

«Gli strumenti della causa. Siamo stati formati, indottrinati, allevati dai Lupi. Dove sei nata non eri nessuno. Una pidocchiosa che allevava le pecore. Come me. Come gli altri. I loro centri ci hanno dato tutto. La fede. Il potere. La conoscenza.»

Sema dovrebbe arrivare al dunque, ma preferisce sentire altri fatti, altri dettagli:

«Perché io e te parliamo francese?»

Sulla faccia tonda di Kürsat si accende un sorriso. Un sorriso pieno d’orgoglio:

«Siamo stati scelti. Negli anni Ottanta, i rais, i capi, hanno creato un esercito clandestino, con degli ufficiali, delle figure d’élite. Dei Lupi che potessero infiltrarsi tra gli strati più elevati della società turca.»

«Era un progetto di Kudseyi?»

«Un progetto promosso da lui, ma approvato da tutti. Alcuni emissari della sua fondazione hanno visitato i centri dell’Anatolia centrale. Hanno cercato i bambini più dotati, i più promettenti. L’idea era quella di offrire loro un’istruzione di alto livello. Un progetto patriottico: il sapere e il potere restituiti ai veri turchi, ai figli dell’Anatolia, non a quei bastardi borghesi di Istanbul…»

«E noi siamo stati selezionati?»

Il suo orgoglio aumenta ancora:

«Grazie alle borse della fondazione, siamo stati mandati al liceo Galatasaray assieme a qualcun altro dei nostri. Come puoi averlo dimenticato?»

Sema non risponde. Kürsat prosegue con un tono sempre più esaltato:

«Avevamo dodici anni. Eravamo già dei piccoli baskan , dei capi, nelle nostre regioni. Come prima cosa abbiamo passato un anno in un campo di addestramento. Quando siamo arrivati al Galatasaray eravamo già in grado di usare un fucile d’assalto. Conoscevamo a memoria Le nuove luci. E, di colpo, ci siamo trovati circondati da decadenti che ascoltavano musica rock, fumavano cannabis e imitavano gli europei. Dei figli di puttana, dei comunisti… Di fronte a loro, noi ci aiutavamo a vicenda. Come fratello e sorella. I due bifolchi dell’Anatolia, i due miserabili con la loro povera borsa… Ma nessuno sapeva quanto fossimo pericolosi. Eravamo già dei Lupi. Dei combattenti. Infiltrati in un mondo che ci era vietato. Per poter lottare meglio contro quei bastardi dei rossi! Tauri türk’ü korusun! Che Dio protegga i turchi!»

Kürsat leva il pugno con l’indice e il mignolo alzati. Si dà parecchio da fare per avere l’aria del fanatico, ma assomiglia soprattutto a ciò che non ha mai smesso di essere: un bambino dolce, maldestro, costretto alla violenza e all’odio.

Immobile tra i tutori e le foglie, lei lo interroga ancora:

«E dopo, che cosa è successo?»

«Per me, la facoltà di scienze. Per te, lingue all’università di Bogazici. Alla fine degli anni Ottanta i Lupi si stavano imponendo sul mercato della droga. Avevano bisogno di specialisti. I nostri destini erano già scritti. La chimica per me, il trasporto per te. Altri, altri Lupi, si sono infiltrati come diplomatici, imprenditori…»

«Come Azer Akarsa.»

Kürsat trasale:

«Conosci questo nome?»

«È l’uomo che mi ha dato la caccia a Parigi.»

Lui si scrolla, sotto la pioggia, come un ippopotamo.

«Ti hanno messo alle costole il peggiore. Se ti cerca ti troverà.»

«Sono io che lo cerco. Dov’è?»

«E come faccio a saperlo?»

La voce del Giardiniere suona fasulla. All’improvviso Sema è rosa da un sospetto. Aveva quasi dimenticato quell’aspetto della vicenda: chi è che l’ha tradita? Chi è che ha rivelato ad Akarsa che lei si stava nascondendo nel bagno turco di Gurdilek? Si tiene per dopo quella domanda…

Il chimico riprende, in modo un po’ troppo diretto:

«Ce l’hai ancora? Dov’è la droga?»

«Te lo ripeto, ho perso la memoria.»

«Se vuoi negoziare, non puoi tornare a mani vuote. La tua sola possibilità e quella di…»

«Perché ho fatto tutto questo? Perché ho cercato di fregare tutti quanti?»

«Solo tu puoi saperlo.»

«Nella mia fuga io ti ho messo in mezzo. Ti ho messo in pericolo. Devo averti dato delle ragioni, per forza.»

Lui abbozza un gesto vago:

«Non hai mai accettato il nostro destino. Dicevi che eravamo stati arruolati con la forza, che non ci avevano lasciato altra scelta. Ma quale scelta? Senza di loro, noi saremmo ancora dei pastori con il culo per terra in qualche sperduto buco dell’Anatolia.»

«Se sono una trafficante, devo avere dei soldi. Perché non sono semplicemente sparita? Perché ho rubato l’eroina?»

Kürsat ribatte:

«Volevi di più. Volevi fare un bordello. Volevi mettere i clan l’uno contro l’altro. Con questa missione tu potevi vendicarti. Quando gli uzbeki e i russi saranno qui, sarà un’ecatombe.»

La pioggia diminuisce, la notte scende. Kürsat viene assorbito dalle tenebre, come se si fosse spento. Sopra di loro, le cupole della moschea sembrano fluorescenti.

L’idea del tradimento torna con tutta la sua forza. Ora lei deve andare fino in fondo, deve portare a termine il suo ingrato compito.

«E tu», chiede lei con voce di giaccio, «tu come fai a essere ancora vivo? Non sono venuti a interrogarti?»

«Certo che sono venuti.»

«E non hai detto niente?»

Il chimico sembra scosso da un brivido.

«Non avevo niente da dire. Non sapevo niente. Sono solo andato a Parigi per trasformare nuovamente l’eroina, poi sono tornato qui. Tu non hai più dato notizie. Nessuno sapeva dov’eri. E io meno degli altri.»

La sua voce trema. Sema viene colta da un sentimento di pietà. Kürsat, mio piccolo Kürsat, come hai fatto a sopravvivere?

D’un tratto, l’altro aggiunge:

«Mi hanno creduto, Sema. Te lo giuro. Io avevo fatto la mia parte di lavoro. Non avevo più tue notizie. A partire dal momento in cui ti sei nascosta da Gurdilek ho pensato che…»

«Chi ha parlato di Gurdilek? Io ho parlato di Gurdilek?»

Finalmente capisce: Kürsat sapeva tutto, ma ad Akarsa ha rivelato solo una parte della verità. Se l’è cavata dando il suo indirizzo di Parigi, ma passando sotto silenzio la faccenda del suo nuovo volto. Ecco come il suo «fratello di sangue» ha negoziato con la propria coscienza.

Il chimico resta un istante a bocca aperta, come se il mento gli pesasse troppo. Un attimo dopo infila una mano sotto un telo di plastica. Sema, da sotto il poncho, punta la sua Glock e spara. Il Giardiniere cade a terra tra i germogli e i vasi di vetro.

Sema si inginocchia: dopo quello di Schiffer, ecco il suo secondo omicidio. Ma, a giudicare dalla sicurezza del suo gesto, capisce che in passato ha già ucciso e nello stesso modo: l’arma in pugno, a bruciapelo. Quando? Quante volte? Nessun ricordo. Su quello, la sua memoria ha ancora dei compartimenti stagni.

Per un attimo, osserva Kürsat immobile tra i papaveri. La morte sta già dando pace al suo viso; l’innocenza, infine liberata, risale alla superficie dei suoi lineamenti.

Perquisisce il cadavere. Sotto il camice scova un telefonino. Uno dei numeri in memoria è associato al nome «Azer».

Si infila il portatile in tasca e si alza. Ha smesso di piovere. L’oscurità ha preso possesso dei luoghi. I giardini possono infine respirare. Alza gli occhi verso la moschea: le cupole di ceramica verde lucide di pioggia, i minareti pronti a decollare verso le stelle.

Sema rimane ancora qualche istante vicino al corpo. Impiegabilmente, qualcosa di netto, di preciso, si stacca da lei.

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