Macchinalmente, sfoglia le altre pagine e finisce di nuovo su una notizia inattesa. L’articolo si intitola: Suicidio di un alto funzionario. È l’annuncio, nero su bianco, della morte di Laurent Heymes. Davanti ai suoi occhi, le righe iniziano a tremolare. Il corpo è stato scoperto giovedì mattina, nell’appartamento dell’avenue Hoche. Laurent ha usato la sua pistola d’ordinanza, una Manhurin 38. Parlando delle ragioni del gesto, l’articolo ricorda brevemente il suicidio della moglie, un anno prima, e la sua depressione, confermata da numerose testimonianze.
Sema si concentra su quella rete di menzogne, ma non riesce più a vedere le parole. Al loro posto, vede le mani pallide, lo sguardo leggermente spaventato, le fiamme bionde dei suoi capelli… Lei ha amato quell’uomo. Un amore strano, inquieto, sconvolto dalle sue allucinazioni. Le lacrime le affiorano agli occhi, ma lei le trattiene.
Pensa al poliziotto morto nella villa di Saint-Cloud, che, in un certo senso, si è sacrificato per lei. Per lui, Sema non ha pianto. Non piangerà neppure per Laurent, che è stato solo un manipolatore tra i tanti.
Il più intimo.
E, proprio per quello, il più bastardo.
Alle quattro del pomeriggio, mentre, nel «business center» sta fumando una sigaretta dietro l’altra con un occhio al televisore e uno al computer, la bomba esplode. Nelle pagine elettroniche della nuova edizione di «Le Monde» legge:
SPARATORIA IN RUE DU FAUBOURG-SAINT-HONORÉ
Grande spiegamento di polizia in rue du Faubourg-Saint-Honoré, all’altezza del numero 225, in seguito alla sparatoria avvenuta alla fine della mattinata nel negozio La Maison du Chocolat. Si ignorano le ragioni di questo scontro a fuoco che ha fatto tre morti e due feriti.
Secondo le prime testimonianze, in particolare quella della commessa del negozio, Clothilde Ceaux, uscita indenne dalla sparatoria, i fatti si sarebbero svolti in questo modo. Poco dopo le dieci, tre uomini sono entrati nel negozio. Nello stesso momento sono intervenuti alcuni poliziotti in borghese, appostati proprio di fronte. I tre uomini hanno allora aperto il fuoco sui poliziotti con armi automatiche. Lo scontro è durato solo qualche secondo, ma è stato di una violenza estrema. Tre poliziotti sono stati colpiti e uno di loro è morto all’istante. Gli altri due sono in condizioni critiche. Quanto agli aggressori, due sono stati uccisi, mentre il terzo è riuscito a fuggire. La loro identità è stata immediatamente resa nota. Si tratta di Lüset Yildirim, Kadir Kir e Azer Akarsa, tutti e tre di origine turca. I due uomini deceduti, Lüset Yildirim e Kadir Kir, erano in possesso di passaporto diplomatico. Al momento non è possibile stabilire quando siano entrati in Francia e l’ambasciata turca ha rifiutato ogni commento.
Secondo gli inquirenti, i due uomini sarebbero già noti alla polizia turca. Come affiliati al gruppo di estrema destra degli Idealisti o Lupi grigi, avrebbero già portato a termine diversi «contratti» per conto della mafia turca.
L’identità del terzo uomo, quello che è riuscito a fuggire, desta maggiore sorpresa. Azer Akarsa è un uomo d’affari che ha avuto un grande successo nel campo della frutticoltura e che, a Istanbul, gode di un’ottima reputazione. È conosciuto per la sua adesione a un nazionalismo moderato, moderno, in armonia con i valori democratici. Akarsa non ha mai avuto problemi con la polizia turca.
L’implicazione di una tale personalità lascia supporre che l’affare abbia dei risvolti politici. Ma gli interrogativi restano molti: perché questi uomini sono entrati oggi nella Maison du Chocolat, armati di fucili d’assalto e di pistole automatiche? Perché dei poliziotti in borghese, appartenenti all’antiterrorismo, erano già presenti sul posto? Seguivano le tracce dei criminali? Sappiamo che da giorni stavano sorvegliando il negozio. Stavano preparando una trappola? Ma perché prendere così tanti rischi? Perché tentare un arresto in strada, in un ora di grande traffico e senza alcun dispositivo di sicurezza? La Procura di Parigi si sta interrogando su queste anomalie e ha ordinato un’inchiesta interna.
Secondo le nostre fonti esiste già una pista. La sparatoria di questa mattina potrebbe essere legata ai due casi di omicidio di cui abbiamo parlato nell’edizione di ieri: la scoperta del corpo dell’ex ispettore Jean-Louis Schiffer e poi quella dei corpi del capitano Paul Nerteaux e del dottor Frédéric Gruss, chirurgo plastico. Nerteaux stava indagando sugli omicidi di tre donne non identificate avvenuti nel quartiere turco. Per questo aveva consultato Schiffer che conosceva profondamente la comunità turca di Parigi.
Questa serie di omicidi potrebbe costituire il cuore di un affare più complesso, al tempo stesso criminale e politico, che sembra essere sfuggito ai superiori di Nerteaux, così come al giudice incaricato dell’istruttoria, Thierry Bomarzo. A rafforzare l’idea di un legame tra i due casi è soprattutto il fatto che, un’ora prima della sua morte, il capitano Nerteaux aveva richiesto un mandato di cattura per Azer Akarsa e un mandato di perquisizione per gli stabilimenti della Matak, situati a Bièvres, società di cui Akarsa è uno dei maggiori azionisti.
Altro personaggio chiave di questa inchiesta potrebbe essere Philippe Charlier, uno dei commissari dell’antiterrorismo, che sicuramente è in possesso di informazioni sui responsabili della sparatoria. Philippe Charlier, figura controversa e nota per i suoi metodi poco ortodossi, sarà ascoltato oggi dal giudice Bernard Sazin, nel quadro dell’inchiesta preliminare.
Sema interrompe la connessione e fa un bilancio personale dei fatti. Nella colonna dell’attivo mette il fatto che Clothilde se la sia cavata senza un graffio e che Charlier sia stato convocato dal giudice. Prima o poi il Gigante Verde dovrà rispondere di tutte quelle morti, compresa quella del «suicida» Laurent Heymes…
In quella del passivo, Sema non colloca che un punto, ma di un’importanza superiore a tutti gli altri.
Azer Akarsa è ancora in gioco.
E proprio questa minaccia la conforta nella sua decisione.
Lei deve ritrovarlo e poi scoprire chi tira i fili dall’alto. Non sa chi sia, non l’ha mai saputo, ma sa che finirà col mettere in luce tutta la piramide.
Ha una sola certezza: Akarsa tornerà presto in Turchia. Forse è già di ritorno. Al riparo, in mezzo ai suoi. Protetto dalla polizia e da una classe politica connivente.
Prende il cappotto ed esce dalla stanza.
È nella sua stessa memoria che troverà la strada che lo porterà a lui.
Sema si reca, da prima, sul ponte di Galata, non lontano dal suo hotel. Contempla a lungo, dall’altra parte del Corno d’Oro, il più celebre panorama della città. Il Bosforo e i suoi battelli, il quartiere di Eminönü e la Moschea Nuova, le terrazze di pietra, i voli di piccioni, i minareti dai quali, cinque volte al giorno, si leva la voce dei muezzin.
Sigaretta.
Non è che voglia fare la turista, ma lei sa che la città, la sua città, può fornirle un indizio, una scintilla che le permetterà di ritrovare per intero la memoria. Al momento, vede allontanarsi il passato di Anna Heymes, rimpiazzato, a poco a poco, da impressioni vaghe, da sensazioni confuse legate alla sua quotidianità di trafficante. I frammenti di un mestiere oscuro, senza punti di riferimento, senza un dettaglio personale che possa servire per farsi riconoscere dai sui vecchi «fratelli».
Ferma un taxi e chiede al guidatore di percorrere in lungo e in largo la città, così, a caso. Parla turco senza accenti e senza esitazioni. Nel momento in cui ha avuto bisogno di usarla, quella lingua è sgorgata dalle sue labbra come una fonte nascosta dentro di lei. Ma allora, perché continua a pensare in francese? Un effetto del condizionamento psichico? No, quella familiarità è precedente a tutta la storia. Appartiene alla sua personalità. Durante la sua formazione doveva essersi verificato quello strano innesto…
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