Alla sua sinistra risuonarono acuti stridii. Malgrado i timpani assordati, Paul percepì con una chiarezza irreale i passi che calpestavano le macerie.
Nell’apertura della porta apparve un quarto uomo. Stesso profilo nero, stesso cappuccio, stessi guanti, ma senza fucile.
Si avvicinò e valutò la ferita di Paul. Con un gesto secco si strappò il passamontagna. Il suo volto era completamente dipinto. Le curve e gli arabeschi brunastri sulla sua pelle rappresentavano il muso di un lupo. I baffi, le sopracciglia, gli occhi sottolineati con il nero. Una smorfia all’henné che ricordava quella dei guerrieri maori.
Paul riconobbe l’uomo della fotografia: Azer Akarsa. Tra le dita teneva una foto polaroid: un ovale pallido incorniciato da capelli neri. Anna Heymes, poco dopo l’operazione.
Ora, i Lupi potevano ritrovare la loro preda.
La caccia sarebbe continuata. Ma senza di lui.
Il turco si inginocchiò.
Guardò Paul in fondo agli occhi e, con voce dolce, disse:
«La pressione le rende pazze. La pressione annulla il loro dolore. L’ultima donna cantava con il naso tagliato.»
Paul chiuse gli occhi. Non capiva il senso esatto di quelle parole, ma capì una cosa: l’uomo sapeva chi lui fosse ed era già stato informato della visita di Naubrel al suo laboratorio.
Come in un lampo, rivide le ferite delle donne, i tagli sui loro volti. Un elogio alla pietra antica firmato Azer Akarsa.
Sentì una schiuma affiorare alle labbra: sangue. Quando riaprì gli occhi, il lupo assassino gli stava puntano alla fronte una calibro 45.
Il suo ultimo pensiero fu per Céline.
Pensò che non aveva trovato il tempo di telefonarle prima che andasse a scuola.
Aeroporto di Roissy-Charles-de-Gaulle.
Giovedì 21 marzo, ore sedici.
C’è un solo modo per nascondere un’arma al passaggio in un aeroporto.
Gli appassionati di armi da fuoco pensano spesso che una pistola automatica di marca Glock, realizzata essenzialmente in polimeri, possa sfuggire a raggi X e ai metal-detector. Errore: la canna, la molla del recuperatore, il percussore, il grilletto, la molla del caricatore e altri pezzi ancora sono in metallo. Senza parlare dei proiettili.
C’è un solo modo per nascondere un’arma al passaggio in un aeroporto.
E Sema lo conosce.
Le torna alla mente davanti alle vetrine della zona commerciale dell’aerostazione, mentre si appresta a prendere il volo TK 4067 della Turkish Airlines per Istanbul.
Per prima cosa compra qualche vestito e una borsa da viaggio: niente di più sospetto di un viaggiatore senza bagaglio. Poi del materiale fotografico. Una custodia F2 Nikon, due obiettivi, 35-70 e 200 millimetri, una cassettina di attrezzi per le macchine di quella marca e due astucci foderati di piombo per proteggere le pellicole durante i controlli di sicurezza. Sistema accuratamente il tutto in una borsa professionale Promax, ed entra nelle toilette dell’aeroporto.
Chiusa in un bagno, sistema la canna, il percussore e gli altri pezzi metallici della sua Glock 21 tra i cacciaviti e le pinze della cassetta di attrezzi. Poi infila i proiettili in tungsteno negli astucci che li rendono invisibili ai raggi X.
Sema è sorpresa dai suoi stessi riflessi. I gesti, l’abilità: tutto ritorna in maniera spontanea. «Memoria culturale», avrebbe detto Ackermann.
Alle diciassette prende il suo volo e arriva a Istanbul a fine giornata: niente noie alla dogana.
Sale su un taxi, senza badare al paesaggio che la circonda. È già scesa la notte. Un acquazzone discreto lancia riflessi fantomatici nel riverbero delle luci, riflessi che si accordano con il flusso della sua coscienza.
Non nota altro che piccoli dettagli. Un venditore ambulante di anelli di pane. Alcune giovani donne con il capo avvolto in un foulard che si confonde con i motivi in ceramica di una stazione di autobus. Un’alta moschea, tanto scura da parere imbronciata. Gabbie d’uccelli, allineate su un marciapiede come arnie… Tutto ciò le parla una lingua familiare e lontana al tempo stesso. Lascia perdere il finestrino e si raggomitola sul sedile.
Sceglie uno degli alberghi più chic del centro città e lì si immerge nel benvenuto flusso di turisti anonimi.
Alle venti e trenta chiude a chiave la porta della sua stanza e si butta sul letto: si addormenta vestita.
Il giorno dopo, venerdì 22 marzo, si sveglia alle dieci.
Accende subito la televisione e cerca sul satellite un canale francese. Deve accontentarsi di TV5, la televisione internazionale dei paesi francofoni. A mezzogiorno, dopo un dibattito sulla caccia nella Svizzera romanza e un documentario sui parchi nazionali del Quebec, riesce finalmente a vedere la replica di un telegiornale che TéléFrance 1 ha trasmesso la sera prima in Francia.
Tra le notizie c’è quella che sta aspettando, quella della scoperta del cadavere di Jean-Louis Schiffer nel cimitero del Père-Lachaise. A essa si aggiunge una notizia inattesa: altri due corpi sono stati ritrovati, lo stesso giorno, in una villa di Saint-Cloud.
Sema riconosce il posto e alza il volume. Le vittime sono state identificate: Frédéric Gruss, chirurgo plastico, proprietario della casa, e Paul Nerteaux, capitano di polizia, trentacinque anni.
Sema è spaventata. Il giornalista prosegue:
«Questo duplice omicidio rimane inspiegabile, anche se sembrerebbe legato alla morte di Jean-Louis Schiffer. Paul Nerteaux stava indagando sugli omicidi di tre donne avvenuti negli ultimi mesi nel quartiere parigino della Piccola Turchia. Nel quadro di questa inchiesta, aveva consultato l’ex ispettore, specialista del decimo arrondissement…»
Sema non ha mai sentito parlare di questo Nerteaux, di quell’uomo giovane e belloccio con i capelli da giapponese, ma non le sarà difficile dedurre la successione degli eventi. Dopo aver ucciso inutilmente tre donne, i Lupi hanno infine trovato la pista giusta e sono risaliti fino a Gruss, il chirurgo che l’ha operata nell’estate del 2001. Parallelamente, il giovane poliziotto deve aver seguito la stessa strada e deve essere arrivato anch’egli al medico. È andato a cercarlo nel suo studio proprio nel momento in cui i Lupi lo stavano interrogando. L’affare si è concluso alla maniera turca: un bagno di sangue.
Sia pure confusamente, Sema aveva sempre pensato che, un giorno o l’altro, i Lupi avrebbero finito per scoprire il suo nuovo volto. E, a partire da quel momento, avrebbero saputo dove trovarla. Per una ragione semplicissima: il loro capo era il Signor Velluto, quello che andava pazzo per i cioccolatini ripieni di pasta di mandorle e che ne comprava regolarmente alla Maison du Chocolat. Lei conosce quella realtà stupefacente da quando ha ritrovato la memoria. Lui, il Signor Velluto, si chiama Azer Akarsa. Sema ricorda di averlo visto, ancora adolescente, in un circolo di Idealisti ad Adana, dove passava già per un eroe…
Ecco l’ultima ironia di quella storia: l’assassino che la stava cercando da mesi nel decimo arrondissement, la incontrava, senza riconoscerla, due volte la settimana.
Secondo il reportage televisivo, il dramma di Saint-Cloud è scoppiato verso le quindici del giorno prima. D’istinto, Sema immagina che i Lupi aspettino il giorno successivo per attaccare la Maison du Chocolat.
Vale a dire ora.
Sema si precipita al telefono e chiama Clothilde al negozio. Nessuna risposta. Guarda l’orologio: mezzogiorno e mezzo a Istanbul, ossia un’ora di meno a Parigi. È già troppo tardi? A partire da quel momento, compone il numero ogni mezz’ora. Invano. Gira per la camera, impotente, agitata da impazzire.
Infine, si reca nella sala business center dell’albergo e si mette al computer. Su Internet, consulta l’edizione elettronica di «Le Monde» del giovedì sera e legge gli articoli sulla morte di Jean-Louis Schiffer e sul duplice omicidio di Saint-Cloud.
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