Jean-Christophe Grangé - L'impero dei lupi

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Anna Heymes, moglie di un alto funzionario parigino, dopo un intervento di chirurgia estetica soffre di crisi di amnesia e di terribili allucinazioni. Alla ricerca della sua identità e del suo vero volto, incontra Paul, il giovane commissario che sta indagando sull’atroce omicidio di tre ragazze turche impiegate in un laboratorio clandestino. Paul ha chiesto l’aiuto di un poliziotto in pensione dal passato turbolento, Jean-Louis Schiffer, creando così una coppia eccentrica ma tenacissima.
Inizia così una vera e propria discesa agli inferi: un viaggio nei labirinti della mente dei protagonisti, ma anche in un mondo popolato da feroci assassini e trafficanti di immigrati
, oltre che da bande terroriste che vanno dai guerriglieri no-global ai Lupi grigi turchi.

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Dunque, doveva esserci un’altra spiegazione.

C’era tuttavia un dettaglio che gli girava per la testa. Un dettaglio che poteva avvalorare l’ipotesi di una macchinazione in alto loco. Il fatto che avessero affidato un’inchiesta concernente tre omicidi a Paul Nerteaux, capitano senza esperienza, sbarcato dalla luna. Solo il ragazzo poteva pensare che gli dessero fiducia fino a quel punto. Aveva davvero l’aria di un tentativo di insabbiamento…

Sotto le sue tempie bollenti, i pensieri si inseguivano. Se quel merdaio era vero, se l’affare era frutto di un’alleanza franco-turca, se davvero i poteri politici dei due paesi avevano lavorato per i propri interessi fregandosene delle vite di quelle povere ragazze e delle speranze di un giovane poliziotto, allora Schiffer avrebbe aiutato il ragazzo fino alla fine.

Due contro tutti: ecco una formula che gli piaceva.

Indietreggiò nel vapore, salutò il vecchio pascià, poi, senza una parola, risalì gli scalini.

Gurdilek bruciò un’ultima risata:

«È ora di fare le pulizie a casa tua, fratello mio.»

44.

Schiffer aprì la porta del commissariato con una spallata.

Tutti gli sguardi si fissarono su di lui. Inzuppato fino alle ossa, li squadrò di rimando, gustandosi le loro espressioni smarrite. Due gruppi di agenti, con addosso la cerata, erano sul punto di uscire. Alcuni luogotenenti stavano loro infilando i bracciali rossi. Le grandi manovre erano già cominciate.

Sul bancone, Schiffer vide una pila di identikit. Pensò a Paul Nerteaux che stava distribuendo i suoi manifesti in tutti i commissariati del decimo arrondissement, come se fossero stati volantini politici, senza dubitare neanche un istante di essere un merlo preso in mezzo a quell’affare. Fu nuovamente assalito dalla rabbia.

Senza dire una parola, salì al primo piano. Si infilò in un corridoio nel quale si aprivano porte in compensato e andò dritto alla terza.

Beauvanier non era cambiato. Spalle gonfie, giacca di pelle nera, scarpe Nike con la zeppa. Il poliziotto soffriva di una strana malattia, sempre più diffusa tra gli sbirri: il giovanilismo. Era ormai vicino alla cinquantina, ma si ostinava ancora a fare la parte del giovane rapper.

Stava fissando alla cintura la sua fondina, in vista della spedizione notturna.

«Schiffer?» disse. «Cosa ci fai qui?»

«Come va, bello mio?»

Prima che lui potesse rispondere, Schiffer lo afferrò per il bavero della giacca e lo appiccicò al muro. In un attimo arrivarono in suo soccorso alcuni colleghi. Da sopra la testa del suo aggressore, Beauvanier indirizzò loro un gesto di distensione:

«Nessun problema ragazzi! È un amico!»

Vicinissimo alla sua faccia, Schiffer mormorò:

«Sema Gokalp. Il 13 novembre scorso. Il bagno turco di Gurdilek.»

Gli occhi si spalancarono. La bocca tremò. Schiffer gli sbatté la testa contro la parete. I poliziotti si precipitarono. Sentiva già le dita chiudersi sulle sue spalle, ma Beauvanier agitò nuovamente la mano, sforzandosi di ridere:

«Vi dico che è un amico. Va tutto bene!»

Lasciarono la presa e fecero un passo indietro. Infine la porta si richiuse, lentamente, come a malincuore. Schiffer allentò a sua volta la stretta e, con un tono più calmo, chiese:

«Cosa ne hai fatto di quella testimone? Come hai fatto a farla sparire?»

« Ehi man! Le cose non sono mica andate così. Io non ho fatto sparire un bel niente…»

Schiffer fece un passo indietro, per guardarlo meglio. La sua faccia aveva una strana dolcezza. Un viso da ragazza, con gli occhi blu e incorniciato da capelli nerissimi. Gli ricordava una fidanzata irlandese che aveva avuto da giovane: una «Black-Irish», che faceva contrastare il bianco col nero, invece del solito binomio bianco e rosso.

Il poliziotto rapper portava un cappellino da baseball con la visiera girata all’indietro, sicuramente per accentuare l’effetto «ragazzo di strada».

Schiffer prese una sedia e lo fece sedere a forza:

«Ti ascolto. Voglio tutti i dettagli.»

Beauvanier cercò di sorridere, ma invano.

«Quella notte, una pattuglia ha incrociato una BMW. A bordo c’erano dei tipi usciti dall’hammam La Porte Bleue e…»

«Questo lo so già. Tu quando sei intervenuto?»

«Circa mezz’ora più tardi. I ragazzi mi hanno chiamato. Li ho raggiunti da Gurdilek. Con quelli della scientifica.»

«Sei tu che hai scoperto la ragazza?»

«No. L’avevano trovata mentre arrivavo. Era fradicia. Sai che lavoro fanno le tipe laggiù. È…»

«Descrivimela.»

«Piccola. Bruna. Magra come un glissino. Batteva i denti. Mormorava cose incomprensibili. In turco.»

«Vi ha raccontato quello che ha visto?»

«Non ci ha raccontato un bel niente. Non ci vedeva neppure. Era traumatizzata.»

Beauvanier non mentiva: la sua voce sembrava sincera. Schiffer andava avanti e indietro nella stanza, continuando a squadrarlo.

«Secondo te, cos’è successo nel bagno turco?»

«Non lo so. Una storia di racket. Tipi che vogliono fare i duri.»

«Il racket contro Gurdilek? E chi è che ne avrebbe il coraggio?»

L’ufficiale si sistemò la giacca di pelle, come se gli prudesse il collo.

«Con i turchi non si può mai sapere. Magari c’è un nuovo clan nel quartiere. O forse è un colpo dei curdi. È il loro business. Gurdilek non ha neppure fatto denuncia. Abbiamo lavorato per niente e…»

D’un tratto ebbe chiara una cosa. Gli uomini della Porte Bleue non avevano parlato del rapimento di Zeynep, né dei Lupi grigi. Dunque Beauvanier credeva veramente alla sua ipotesi di racket. Nessuno aveva stabilito un legame tra quella visita all’hammam e la scoperta del primo corpo due giorni dopo.

«Che cosa ne hai fatto di Sema Gokalp?»

«Al posto di polizia le abbiamo dato dei vestiti e delle coperte. Tremava come una foglia. Abbiamo trovato il suo passaporto cucito nella gonna. Non aveva il visto, niente. Pronta per l’Immigrazione. Ho mandato loro un rapporto via fax. Ne ho inviato uno anche allo stato maggiore, in place Beauvau, per essere coperto. Non mi restava che aspettare.»

«E poi?»

Beauvanier sospirò, passandosi l’indice nel colletto:

«Ha continuato a tremare. Stava diventando decisamente preoccupante. Batteva i denti, non poteva bere né mangiare. Alle cinque del mattino, mi sono deciso a portarla al Sainte-Anne.»

«Perché tu e non gli agenti?»

«Quei coglioni volevano metterle la camicia di forza. E poi… Non lo so, quella ragazza aveva un qualcosa… Ho riempito un modulo “32 13” e l’ho portata.»

La sua voce si spense. Non la smetteva più di grattarsi la testa. Schiffer scorse delle tracce profonde di acne.

«Tossico», pensò.

«L’indomani mattina ho chiamato l’immigrazione e li ho mandati al Saint-Anne. A mezzogiorno mi hanno richiamato: non avevano trovato la ragazza.»

«Era scappata?»

«No, alle dieci del mattino alcuni poliziotti l’avevano prelevata.»

«Quali poliziotti?»

«Non mi crederai mai.»

«Provaci lo stesso.»

«Secondo il medico di guardia, erano ragazzi della DNAT.»

«La Divisione antiterrorismo?»

«Sono andato a verificare di persona. Avevano presentato un ordine di trasferimento. Era tutto in regola.»

Per il suo ritorno all’ovile, Schiffer non avrebbe potuto sognare un fuoco d’artificio più bello. Si sedette su un angolo della scrivania.

«Li hai contattati?»

«Ho tentato. Ma sono rimasti molto abbottonati. Da quanto ho potuto capire, hanno intercettato il mio rapporto a place Beauvau. Poi, gli ordini li ha dati Charlier.»

«Philippe Charlier?»

Il capitano annuì. Tutta quella storia sembrava sfuggirgli completamente. Charlier era uno dei cinque commissari della Divisione antiterrorismo. Un poliziotto ambizioso che Schiffer conosceva da quando era nell’antigang, nel ’77. Un vero bastardo. Forse più astuto di lui, ma non meno brutale.

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