Si fermò. Le due donne rimasero in silenzio. Un tacito invito a proseguire:
«In primo luogo ho reso più profonda la tua amnesia iniettandoti un sovradosaggio di Valium. Poi mi sono dedicato al lavoro di condizionamento vero e proprio. La costruzione di una nuova personalità. Sotto l’effetto dell’Ossigeno-15.»
Mathilde, con voce interessata, chiese:
«In che cosa consisteva?»
Una nuova boccata, poi, senza riuscire a staccare gli occhi da Anna, rispose:
«Essenzialmente nell’esporre delle informazioni. Sotto tutte le forme. Discorsi. Immagini filmate. Suoni registrati. Prima di ogni seduta, ti iniettavo la sostanza radioattiva. I risultati erano incredibili. Nel tuo cervello, ogni dato si trasformava in un ricordo reale. Giorno per giorno, diventavi sempre più la vera Anna Heymes.»
La giovane donna si staccò dal pilastro:
«Vuoi dire che lei esiste veramente ?»
L’odore interno era sempre più forte, sapeva ormai di marcio. Sì, stava marcendo lì, sul posto. Mentre l’astinenza da anfetamine alzava una lenta ondata di panico dal fondo del suo cranio.
«Bisognava riempire la tua memoria con un insieme coerente di ricordi. Il sistema migliore era quello di scegliere una persona esistente e utilizzare la sua storia, le sue foto, i suoi filmati. Ecco perché abbiamo scelto Anna Heymes: avevamo tutto questo materiale.»
«Lei chi è? Dov’è la vera Anna Heymes?»
Si sistemò gli occhiali sul naso, poi rispose:
«Qualche metro sottoterra. È morta. La moglie di Heymes si è suicidata sei mesi fa. Potremmo dire che c’era un posto libero. Tutti i tuoi ricordi appartengono alla sua storia. I genitori morti. I parenti nel Sud-Ovest. Il matrimonio a Saint-Paul-de-Vence. La laurea in legge.»
In quel momento, la luce si spense. Mathilde riaccese. Il ritorno della sua voce coincise con quello della luce:
«Avevate intenzione di abbandonare una donna così in un ambiente turco?»
«No. Non avrebbe avuto senso. Era un’operazione fine a sé stessa. Un tentativo di condizionamento… totale. Per vedere fino a dove potevamo arrivare.»
«E alla fine», chiese Anna, «cosa avreste fatto di me?»
«Non ne ho alcuna idea. Non dipendeva più da me.»
Una menzogna in più. Certo che sapeva cosa ne avrebbero fatto. Cosa fare di una cavia così ingombrante? Lobotomia o eliminazione. Quando Anna riprese la parola, diede l’impressione di aver colto quella sinistra realtà. La sua voce era fredda come una lama:
«Chi è Laurent Heymes?»
«Esattamente ciò che dice di essere: il direttore del Centro di studi e bilanci del Ministero degli interni.»
«Perché si è prestato a questa mascherata?»
«È tutta colpa di sua moglie. Era in stato di depressione, incontrollabile. Negli ultimi tempi, Laurent aveva tentato di farla lavorare. Una missione particolare, presso il Ministero della difesa, roba che riguardava la Siria. Anna ha rubato dei documenti. Ha cercato di venderli alle autorità di Damasco, per scappare chissà dove. Una pazza. L’affare è stato scoperto. Anna è crollata e si è suicidata.»
Mathilde incalzò:
«E questa storia rimaneva uno strumento di pressione su Laurent Heymes anche dopo la morte di lei?»
«Lui aveva paura dello scandalo. La sua carriera sarebbe stata annientata. Un alto funzionario sposato con una spia… Su quell’affare, Charlier aveva un dossier completo. Teneva in pugno Laurent e tutti gli altri.»
«Gli altri?»
«Alain Lacroux, Pierre Carcilli, Jean-François Gaudemer», elencò voltandosi verso Anna. «I sedicenti funzionari che cenavano con te.»
«Chi sono?»
«Dei pagliacci, dei poliziotti corrotti di cui Charlier sa tutto. Erano obbligati a partecipare a quelle carnevalate.»
«Perché fare quelle riunioni?»
«È stata un’idea mia. Volevo che tu ti potessi confrontare con il mondo esterno, volevo osservare le tue reazioni. Abbiamo filmato tutto. Le conversazioni sono state registrate. Devi capire che tutta la tua esistenza era fasulla: il palazzo di avenue Hoche, la portinaia, i vicini… Era tutto sotto il nostro controllo.»
«Un topo da laboratorio.»
Ackermann si alzò e cercò di fare qualche passo, ma si trovò immediatamente bloccato tra la portiera aperta e il muro del parcheggio. Si afflosciò sul sedile:
«Questo programma è una vera rivoluzione scientifica», replicò con tono rauco. «Non bisogna avere remore morali.»
Dall’alto, Anna gli porse un’altra sigaretta. Sembrava pronta a perdonarlo, a condizione che lui fornisse tutti i dettagli:
«La Maison du Chocolat?»
Mentre accendeva la Marlboro, si accorse che stava tremando. C’era un attacco in arrivo. L’astinenza avrebbe ben presto urlato sotto la sua pelle.
«Quello è stato uno dei problemi», rispose in una nuvola di fumo. «La situazione ci stava sfuggendo di mano. Abbiamo dovuto aumentare la sorveglianza. C’erano continuamente dei poliziotti che ti osservavano. Il guardamacchine di un ristorante, credo…»
«La Marée.»
«Sì, La Marée.»
«Quando lavoravo alla Maison du Chocolat, c’era un cliente che veniva spesso. Un uomo che mi sembrava di conoscere. Era uno sbirro?»
«È possibile. Non conosco tutti i dettagli. Tutto quello che so è che ormai ci stavi sfuggendo.»
Si fece di nuovo buio. Mathilde accese le lampade al neon.
«Ma il vero problema», continuò, «erano le crisi. Ho subito capito che c’era una falla. E che stava peggiorando. Il disturbo concernente i volti era solo un segno premonitore: la tua vera memoria stava tornando in superficie.»
«Perché i volti?»
«Non lo so. Siamo nell’ambito della più pura sperimentazione.»
Le sue mani tremavano sempre più. Si concentrò sul discorso:
«Quando Laurent ti ha sorpresa a osservarlo in piena notte, abbiamo capito che i disturbi si accentuavano. Bisognava ricoverarti.»
«Perché volevi fare una biopsia?»
«Per avere la coscienza a posto. Può darsi che l’introduzione massiccia di Ossigeno-15 abbia provocato una lesione. Bisogna che io capisca questo fenomeno!»
Si fermò di botto, rimpiangendo di aver gridato. Aveva l’impressione che dei cortocircuiti gli facessero crepitare la pelle. Gettò la sigaretta e infilò le dita sotto le cosce. Quanto tempo avrebbe resistito?
Mathilde Wilcrau passò alla questione cruciale:
«Dove stanno cercando? Quanti sono gli uomini di Charlier?»
«Non lo so. Io sono stato messo in disparte. E Laurent pure. Non ho più neppure contatti con lui… Per Charlier il programma è chiuso. Ormai non c’è che un’urgenza: trovarti e toglierti dalla circolazione. Voi li leggete i giornali. Sapete che cosa succede nei media o nell’opinione pubblica per un’intercettazione non autorizzata. Immaginate cosa succederebbe se il progetto venisse scoperto.»
«Dunque, non sono altro che una da ammazzare?» chiese Anna.
«Più che altro, una da curare. Tu non sai cos’hai nella tua testa. Ti devi arrendere, devi metterti nelle mani di Charlier. Nelle nostre mani. È il solo modo di guarire e di salvare la vita a tutti!»
Alzò gli occhi sopra la montatura degli occhiali. Le vedeva sfocate, ed era meglio così. Insistette:
«Santo cielo, voi non conoscete Charlier! Sono sicuro che ha agito nella più completa illegalità. Ora fa pulizia. A quest’ora non so neppure se Laurent è ancora vivo. È tutto fottuto, a meno che possiamo ancora sottoporti a un trattamento.»
La voce gli morì in gola. A cosa serviva proseguire? In quella soluzione non ci credeva neanche lui. A voce bassa, Mathilde, disse:
«Tutto questo, però, non ci dice perché le avete cambiato la faccia.»
Ackermann sentì un sorriso salirgli alle labbra: era dall’inizio che aspettava quella domanda.
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