Jean-Christophe Grangé - L'impero dei lupi

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Anna Heymes, moglie di un alto funzionario parigino, dopo un intervento di chirurgia estetica soffre di crisi di amnesia e di terribili allucinazioni. Alla ricerca della sua identità e del suo vero volto, incontra Paul, il giovane commissario che sta indagando sull’atroce omicidio di tre ragazze turche impiegate in un laboratorio clandestino. Paul ha chiesto l’aiuto di un poliziotto in pensione dal passato turbolento, Jean-Louis Schiffer, creando così una coppia eccentrica ma tenacissima.
Inizia così una vera e propria discesa agli inferi: un viaggio nei labirinti della mente dei protagonisti, ma anche in un mondo popolato da feroci assassini e trafficanti di immigrati
, oltre che da bande terroriste che vanno dai guerriglieri no-global ai Lupi grigi turchi.

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«No. Ma è troppo presto per…»

«Oltre a lei, chi altri conosce questi effetti?»

«Nessuno. Ho contattato i laboratori che utilizzano quell’isotopo, ma non hanno notato niente e…»

«Sappiamo chi ha contattato.»

«Vuol forse dire che sono sotto sorveglianza?»

«Ha parlato a viva voce con i responsabili di questi laboratori?»

«No. Si è svolto tutto per e-mail. Io…»

«Grazie professore.»

Alla fine del 1994 stabiliscono un nuovo stanziamento. Per un programma interamente dedicato agli effetti dell’Ossigeno-I5. Ironia della sorte: io che avevo avuto tante difficoltà a trovare i mezzi finanziari per la ricerca che avevo progettato, presentato e difeso, ora mi vedo destinare dei fondi per un progetto che non avevo neppure immaginato.

Aprile 1995

L’incubo comincia. Ricevo la visita di un poliziotto, protetto da due gorilla vestiti di nero. Un colosso dai baffi grigi, con un elegantissimo abito di lana. Si presenta: Philippe Charlier, commissario. Sembra gioviale, sorridente, bonario, ma il mio istinto di vecchio hippy mi suggerisce di stare in guardia. Riconosco in lui quello che ti può spaccare la faccia, quello che seda le rivolte, il bastardo forte del suo diritto.

«Sono venuto a raccontarti una storia», mi dice. «Un ricordo personale. A proposito dell’ondata di attentati che ha seminato il panico in Francia tra il dicembre 1985 e il settembre 1986. Rue de Rennes, ti ricordi? In tutto tredici morti e duecentocinquanta feriti. In quel periodo lavoravo per la Direzione della sorveglianza del territorio. Ci hanno dato un appoggio illimitato. Migliaia di ragazzi, sistemi di intercettazione, fermo di polizia a tempo indeterminato. Abbiamo rivoltato i centri islamici, sconvolto le fila palestinesi, i circuiti libanesi, le comunità iraniane. Parigi era sotto il nostro completo controllo. Abbiamo persino promesso un premio da un milione di franchi a chiunque ci desse informazioni utili. Tutto questo per niente. Non abbiamo scovato un indizio, un’informazione. Niente. E gli attentati continuavano, uccidendo, ferendo, demolendo, senza che potessimo impedire il massacro.

«Un giorno, nel marzo ’86, è cambiato qualcosa e abbiamo arrestato in un solo colpo tutti i membri della filiera: Fouad Ali Salah e i suoi complici. Nascondevano le armi e gli esplosivi in un appartamento di rue de la Voûte, nel dodicesimo arrondissement. Il loro punto di incontro era un ristorante tunisino di rue de Chartres, nel quartiere de la Goutte d’Or. Sono stato io a dirigere l’operazione. Li abbiamo beccati tutti nel giro di qualche ora. Un lavoro pulito, senza sbavature. Dall’oggi al domani, gli attentati sono terminati. Sulla città è tornata la calma.

«Sai cos’è che ha reso possibile quel miracolo? Quel “non so che” che ha modificato tutta la situazione? Uno dei membri del gruppo, Lotfi ben Kallak, aveva semplicemente deciso di cambiare bandiera. Ci ha contattati e ci ha consegnato i suoi complici in cambio della ricompensa. Ha persino accettato di organizzare la trappola, dall’interno.

«Lotfi era pazzo. Nessuno rinuncia alla propria vita per qualche centinaia di migliaia di franchi. Nessuno accetta di vivere come una bestia braccata, di esiliarsi in capo al mondo sapendo che, presto o tardi, il castigo arriverà. Ma io ho potuto misurare l’impatto del suo tradimento. Per la prima volta eravamo all’interno del gruppo. Nel cuore del sistema, capisci? Da quel momento tutto è diventato chiaro, facile, efficace. Questa è la morale della mia storia. I terroristi hanno una sola forza: il segreto. Colpiscono ovunque, quando vogliono. Non c’è che un mezzo per fermarli: penetrare nel loro circuito. Penetrare il loro cervello. Solo allora, tutto diviene possibile. Come con Lotfi. E grazie a te ci riusciremo con tutti gli altri.»

Il progetto di Charlier è chiarissimo: trasformare, grazie all’Ossigeno-15, degli uomini vicini alle reti terroristiche, iniettare loro dei ricordi artificiali, ad esempio un motivo di vendetta, per convincerli a cooperare e a tradire i loro compagni.

«Il programma si chiamerà Morpho», spiega lui, «perché andremo a cambiare la morfologia psichica di un po’ di arabi. Modificheremo la loro personalità, la loro geografia cerebrale. Poi li ributteremo nel loro ambiente d’origine; come cani contaminati in mezzo alla muta.»

Con una voce da far gelare il sangue, conclude:

«La tua scelta è semplice. Da una parte, mezzi illimitati, soggetti a volontà, l’occasione di dirigere, in tutta segretezza, una rivoluzione scientifica. Dall’altra, il ritorno all’esistenza merdosa del ricercatore, la lotta per la grana, i laboratori sull’orlo del fallimento, le pubblicazioni oscure. Senza contare che noi porteremo avanti comunque gli esperimenti; daremo ad altri i tuoi lavori, i tuoi appunti, tutto. Puoi stare certo che quegli scienziati sapranno sfruttare l’azione dell’Ossigeno-15 e sapranno attribuirsi la paternità delle scoperte.»

Nei giorni che seguono prendo informazioni. Philippe Charlier è uno dei cinque commissari della Sesta divisione della Direzione centrale della polizia giudiziaria. Uno dei capi della lotta al terrorismo internazionale, che agisce sotto il controllo diretto di Jean-Paul Magnard, il direttore dell’Ufficio Sei.

All’interno della polizia è soprannominato «Il Gigante Verde», ed è noto per la sua ossessione per l’infiltrazione; ma anche per la violenza dei suoi metodi. Regolarmente messo da parte dallo stesso Magnard, anche lui conosciuto per la sua intransigenza, ma fedele ai metodi tradizionali e allergico a ogni sperimentazione.

Ma siamo nella primavera del ’95, e le idee di Charlier vengono prese in considerazione. Sulla Francia pesa la minaccia di una rete terroristica. Il 25 luglio scoppia una bomba nella stazione RER Saint-Michel e uccide dieci persone. I sospetti cadono sui membri del GIA, ma non esiste l’ombra di una pista per fermare quest’ondata di attentati.

Il Ministero della difesa, insieme con il Ministero degli interni, decidono di finanziare il progetto Morpho. Anche se l’operazione non potrà essere utilizzata nell’immediato, è tempo di usare nuove armi contro il terrorismo internazionale.

Alla fine del 1995, Philippe Charlier mi fa di nuovo visita e parla di scegliere una cavia tra le centinaia di islamici arrestati nel quadro del piano Vigipirate.

È in quel momento che Magnard ottiene una vittoria decisiva. Sulla linea del TGV viene trovata una bombola di gas; la gendarmeria di Lione si appresta a farla esplodere, ma Magnard chiede di analizzarla. Ci trovano sopra le impronte digitali di un sospetto, Khaled Kelkal, che si rivela essere uno degli autori dell’attentato. Il seguito appartiene alla storia, ai media: Kelkal, inseguito come una bestia nei boschi della regione lionese, viene ucciso il 29 settembre, poi la rete viene smantellata.

È il trionfo di Magnard e dei metodi all’antica.

Fine del dossier Morpho.

Uscita di scena di Charlier.

Ciononostante, i fondi vengono stanziati ugualmente. I ministeri incaricati della sicurezza mi mettono a disposizione mezzi consistenti per proseguire i miei lavori. Fin dal primo anno, i risultati dimostrano che avevo visto giusto. È proprio l’Ossigeno-15, iniettato a forti dosi, che rende i neuroni permeabili ai ricordi artificiali. Sotto la sua influenza, la memoria diventa porosa, lascia filtrare elementi di finzione e li integra come realtà.

Il mio protocollo si perfeziona. Lavoro su diverse decine di pazienti, soldati volontari forniti dall’esercito. Si tratta di condizionamenti di debolissima entità. Un solo ricordo artificiale per volta. Dopo, aspetto diversi giorni per accertarmi che «l’innesto» abbia attecchito.

Rimane da tentare un ultimo esperimento: occultare la memoria di un soggetto e poi impiantargli dei ricordi completamente nuovi. Non ho fretta di tentare un tale lavaggio. Tanto più che la polizia e l’esercito sembrano dimenticarmi. In quegli anni, Charlier è relegato a inchieste sul campo, tagliato fuori dalle sfere del potere. Magnard regna incontrastato, con i suoi principi tradizionali. Ho la speranza che mi lascino stare definitivamente. Sogno un ritorno alla vita da civile, una pubblicazione ufficiale dei miei risultati, un’applicazione sana dei miei esperimenti…

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