Marco Buticchi - Le pietre della Luna

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Tre misteriose statuette d’oro risalenti alla Roma del I secolo d. C., un enigma archeologico che gli studiosi hanno inseguito per secoli tra indizi confusi, testimonianze remote, sparizioni e ritrovamenti. Ma perché, adesso, anche i servizi segreti delle grandi potenze sono così interessati a questa vicenda? E quali sono i fili nascosti che collegano il passato delle Pietre al loro presente? Un vertiginoso slalom di avventure tra l’antica Roma e i giorni nostri, tra galeoni spagnoli e navicelle spaziali, tra agenti del Mossad e affascinanti scrittrici.

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I due uomini coperti di cenci e la donna che reggevano non distolsero l’uomo di guardia dall’accidiosa pigrizia in cui era affondato. Alzò straccamente un dito per fare cenno al terzetto di togliersi di mezzo il più in fretta possibile e, seguitolo brevemente con lo sguardo lungo il sentiero che conduceva alla grotta dell’infamia, tornò al suo abisso di noia.

Il suo cuore di soldato non ebbe un solo moto di compassione. A quella grotta non si era mai avvicinato, e non si era mai spinto a immaginare le condizioni dei lebbrosi che vi erano reclusi, le mutilazioni sanguinanti, la morte orribile. Erano gli stessi malati ancora in forze che provvedevano a caricare i cadaveri sui malandati carri che di tanto in tanto venivano alla porta per portarli via. Dove finissero dopo, gli interessava persino meno.

I panni che gli coprivano la testa, limitando il suo campo visivo, cominciavano a dare fastidio a Giunio. Continuò tuttavia ad avanzare simulando un passo esausto e sorreggendo Clelia, che invece aveva veramente bisogno del suo aiuto e di quello del vecchio.

Aveva cercato a lungo di dissuadere Valeriano dall’idea di seguirli nella pericolosa avventura. Ma non era stato possibile.

«Sono vecchio, Giunio», aveva replicato con fermezza. «E rimango ricercato esattamente come te per l’evasione dal carcere. Restando tra i miei fratelli, ne metterei soltanto a repentaglio la vita. Inoltre, con Clelia in questo stato, avrai sicuramente bisogno d’aiuto. Senza contare, poi, che molti dei lebbrosi sono nostri fratelli in Cristo. Molti di loro non sono nemmeno malati, ma si sono segregati volontariamente in quel luogo di orrore al fine di predicare a quegli sventurati la buona novella, in vista della nuova vita che li aspetta. Conoscono il lebbrosario in ogni recesso. Entrare, come vedrai, è facile. Non altrettanto uscire. Ma loro sanno come fare. E, al momento opportuno, potranno sicuramente aiutarci nella fuga.»

Al loro passaggio i malati si stringevano negli stracci logori che li coprivano, quasi volessero nascondere la vergogna delle mutilazioni ai nuovi venuti. Ombre spettrali che cedevano il passo ai nuovi condannati a quell’Averno in terra.

La grotta era interminabile, qua e là si vedeva brillare nella penombra un fuoco. Attorno ai bagliori arancioni delle fiamme proseguiva incredibilmente la vita: intere famiglie di malati si radunavano, consumavano i loro magrissimi pasti, si stringevano in preghiera, in attesa che il morbo inesorabile li liberasse da ogni pena.

Giunio adagiò Clelia in una zona della grotta dove non si trovava nessuno. Alle sue spalle, a breve distanza, sentiva gli ansiti strazianti di un vecchio morente. Passò le mani tra i capelli della giovane amata. Si vedeva un certo miglioramento, ma il suo volto, imperlato di sudore, era duramente segnato dalla stanchezza.

«Come stai?» le chiese, accarezzandoglielo.

«Molto meglio», rispose lei con un filo di voce. Ma l’angoscia del suo sguardo era fin troppo eloquente.

La voce del vecchio moribondo, alle sue spalle, si levò flebile e improvvisa quanto impensabilmente ferma: «Riconoscerei la tua voce anche in una piazza affollata, figlio!»

Come avrebbe potuto, anche lui, non riconoscere la voce che, in anni lontani ma non dimenticabili, lo aveva avviato alla vita?

Giunio si sentì pervadere da un irrefrenabile fiotto di gioia, subito smorzato, tuttavia, da un penoso senso di impotenza e disperazione. Il vecchio aveva sollevato la testa dal giaciglio. I suoi sentimenti trovavano espressione anche al di là del buio degli occhi.

«Padre! Padre!» esclamò Giunio. Nessuno e niente avrebbe potuto frenare lo slancio con cui corse ad abbracciare il vecchio corpo martoriato.

«Piano, fai piano, Giunio! Il male mi ha quasi completamente distrutto il corpo. Stavo aspettando il silenzio eterno della morte, e ho sentito la tua voce.»

«Mia madre, dov’è mia madre?» chiese lui, dardeggiando lo sguardo nella penombra.

«Se n’è andata pochi giorni fa, figliolo, lasciandomi solo a portare avanti questa pena. Ma la raggiungerò presto tra i buoni.»

«L’infame Menenio pagherà per tutte le sue colpe, padre mio. E con lui i suoi spregevoli complici. Te lo giuro.»

«Non ho mai creduto a quello che sentivo dire, figlio mio. Non ho mai creduto che potessi essere un traditore e un assassino. Ci hanno messo in prigione, tua madre e me, e poi, quando mi sono ammalato, ci hanno rinchiusi in questa anticamera dell’Averno.»

«È prima di tutto colpa mia, padre, della mia sconsiderata fuga dalla nostra città. Non sai quanto mi pesi. Ah! Non potrò mai trovare pace, né chiedere perdono.»

«Perché parli di colpa, figlio mio? Quale? Quella di esserti sempre battuto per la giustizia e per Roma? Il mio destino era comunque segnato. Il morbo è soltanto il mezzo che mi permetterà di raggiungere tua madre nel regno dei buoni.»

Giunio non si era accorto che Clelia si era avvicinata. La mano dell’amata scivolò tra le sue, scendendo a sorreggere la nuca del morente.

«Di chi sono queste mani morbide e caritatevoli?» chiese il vecchio, avendone riconosciuto la diversità al tatto, girando la testa verso Clelia.

«Della donna che amo, padre», rispose Giunio senza esitazione, fissando Clelia negli occhi. «Molte cose sono successe da quando ci siamo incontrati l’ultima volta…» Ma il tremito di morte da cui sentì pervadere il corpo del padre gli impedì di proseguire.

«Ricordati di tua madre», riprese il vecchio con un filo di voce. «Lo sai, viveva soltanto nell’attesa che tu le regalassi qualche nipote a cui fare da nonna. E adesso sa che li avrà. Anche se non potrà accudirli come sognava. Ma, chissà. Come sarà il mondo dei buoni, dopo la morte? In questo luogo di desolazione ho sentito parole di speranza su una vita al di là di quella che viviamo in questa terra. Fra non molto la vedrò, perché dove sto per andare troverà luce anche il mio buio, nel quale peraltro so vedere e percepire molte cose. Ricordati di me, figlio mio, e dell’unico dono che ti ho fatto, oltre ad averti dato la vita. Le Pietre della Luna, che adesso si trovano nelle mani di chi ti vuole morto…»

«Torneranno della nostra famiglia, padre, te lo giuro.»

Ma non c’era più niente da fare. Nella disperazione dell’impotenza, vide la testa del vecchio reclinarsi per l’ultima volta. Non fece niente per frenare i singhiozzi che gli scuotevano il petto.

In un altro sotterraneo, la Vestale Massima, impettita e imperiosa come un capo militare, stava ordinando a un soldato di abbattere il muro di accesso al Campo Scellerato. Gli occhi le brillavano di una macabra soddisfazione. Era sicura di trovare Clelia ormai priva di vita nella sua cella murata, al di là del terzo sigillo.

Ma già mentre percorreva il corridoio sotterraneo, il suo perfido sorriso si spense, alla vista dei detriti disseminati ovunque. Raggiunta la prigione di Clelia e abbattuto l’ultimo muro, il presagio divenne certezza.

Menenio non aveva osato accedere al luogo sacro ed era rimasto in attesa della notizia appena fuori del Campo. Era certo che, appena libero, Giunio avrebbe cercato con ogni mezzo di salvare la sua compagna. Ma, lo sapeva benissimo, era un’impresa impossibile, e godeva all’idea che, dal disperato tentativo, il suo odiato nemico non avrebbe potuto che trarre ulteriore pena. Ah, avesse potuto vederlo scavare con le mani e con i denti, senza risultato!

Il dubbio, tuttavia, il dubbio! Non lo lasciava dormire, non gli dava pace. Troppe volte quell’uomo dalle mille vite aveva saputo sfuggire al destino cui sembrava definitivamente condannato.

Per questo, dopo un’altra notte insonne, si era deciso a chiedere a Cornelia di verificare che il corpo della giovane fosse chiuso là dentro, senza vita.

No, non potevano esserci dubbi! Non dovevano!

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