Marco Buticchi - Le pietre della Luna

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Tre misteriose statuette d’oro risalenti alla Roma del I secolo d. C., un enigma archeologico che gli studiosi hanno inseguito per secoli tra indizi confusi, testimonianze remote, sparizioni e ritrovamenti. Ma perché, adesso, anche i servizi segreti delle grandi potenze sono così interessati a questa vicenda? E quali sono i fili nascosti che collegano il passato delle Pietre al loro presente? Un vertiginoso slalom di avventure tra l’antica Roma e i giorni nostri, tra galeoni spagnoli e navicelle spaziali, tra agenti del Mossad e affascinanti scrittrici.

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«Ci renderemmo di sicuro conto del pericolo se ci fosse qualche possibilità che si verificasse», aveva intanto ripreso il giapponese, nel tono carico di albagia del depositario di una verità assoluta, che comunque non gli impediva di inciampare su tutte le «erre» e le «elle» della lingua inglese. «Ma, sono costretto a ripetermi, abbiamo trascorso giorni e notti a seguire l’asteroide, pervenendo alla conclusione che ho appena espresso: non esistono possibilità di contatto. Né margini di dubbio. Né possibilità di intervento di fattori esterni.»

«Nessuno, fino a non molto prima che la cometa Shoemaker-Levy devastasse il pianeta Giove, nel 1994, poteva nemmeno immaginare che cosa sarebbe successo», ribatté di nuovo Kevin, rischiando di perdere la sua calma glaciale di fronte all’ostinazione dei soloni delle stelle.

«E, alla stessa stregua, nessuno potrà dirci che cosa succederà alla Terra se non pochi giorni prima di rischiare di essere cancellati dal sistema solare. Insisto perché lo sforzo di organizzare una missione abbia il sostegno delle Nazioni Unite, in modo da trovarci pronti a prevenire il pericolo qualora dovesse presentarsi.»

Fu ancora una volta lo scienziato giapponese a prendere la parola. «Colonnello Dimarzio, lei è personalmente responsabile di un ambizioso progetto della NASA che si occupa, tra l’altro, del monitoraggio dello spazio proprio al fine di prevenire che qualche macigno ci cada in testa. Devo essere io a invitarla a continuare a farlo, seguendo anche questo caso?»

«Lei può sicuramente immaginare la risposta che riceverei dell’economato della NASA: il budget è impegnato per i prossimi cinque anni, anzi è già stato speso. Professor Deng, per il mio progetto dispongo della sensazionale cifra di centocinquantamila dollari l’anno. Dove crede che potrei andare a trovare le centinaia di milioni che sarebbero necessari anche soltanto per predisporci all’evenienza? La sua testardaggine», continuò il colonnello, rinunciando a ogni ipocrisia e passando a un tono schietto, come imponeva l’atteggiamento altezzoso e scostante del suo interlocutore, «non mi stupisce più di tanto. È fin troppo nota, nei nostri ambienti. A preoccuparmi, e molto, è l’idea che da queste sue ostinate convinzioni possa dipendere il destino della Terra. Fino a oggi, il solo compito della vostra commissione è stato quello di procedere alla sistematica lottizzazione dello spazio tra le grandi potenze. Il solo problema che vi ponete è il modo di disciplinare il futuro sfruttamento minerario di Marte o di Saturno.

«Ma non siete riusciti a fare nemmeno quello, pressati come siete dai potentati economici internazionali e dai politici di mezzo mondo. E oggi, di fronte a una vera situazione d’emergenza, siete capaci soltanto di sciorinare come un oracolo un rapporto stilato da uno qualsiasi dei vostri solerti assistenti.»

Così detto, acceso in viso, Kevin riordinò le carte che aveva davanti. «Ma non sarò certamente complice della vostra superficialità e continuerò con ogni mezzo, per quanto limitato, a cercare di salvare il genere umano», concluse. Stava per alzarsi, quando la placida voce del presidente Bender lo fece rimanere dov’era.

«A questo punto credo che s’imponga un mio intervento», disse soave l’eminente premio Nobel. Il suo parere, anche se la carica di presidente era più che altro onoraria, aveva sempre un grande potere di persuasione sui membri della commissione.

«Ritengo che al colonnello Dimarzio debba quanto meno essere riconosciuto il credito che il suo lavoro e la sua figura meritano. Quindi, anche se il parere espresso dalla nostra commissione non è a favore di un approfondimento del fenomeno, penso che l’asteroide Speitz-42 debba essere posto sotto attenta e costante osservazione, e suggerisco che vengano predisposti fin d’ora piani dettagliati per prevenire un’eventuale situazione di crisi.

«Io stesso, visto che sono stato incaricato di verificare personalmente le teorie del colonnello Dimarzio, mi farò garante della correttezza dell’operazione e riferirò periodicamente a questa commissione che presiedo. E adesso, dottoressa Joanson, colonnello Dimarzio, consentitemi di accompagnarvi all’aeroporto. L’autista ci sta aspettando.»

Mentre l’anziano scienziato parlava, Laura aveva avuto l’inesplicabile ma netta sensazione che le sue folte sopracciglia le stessero facendo dei cenni ammiccanti. Doveva avere visto male. Comunque fosse, il risultato conseguito era molto lontano da quello che lei e Kevin speravano, ma costituiva una soluzione intermedia da non trascurare.

Congedatisi dalla commissione, scesero nel garage sotterraneo del Palazzo di Vetro, dove li aspettava la limousine a disposizione di Bender. Durante il tragitto fino all’aeroporto, Kevin rimase incupito nei suoi pensieri, che sia la giovane sia il presidente della commissione preferirono non disturbare. Mentre smontavano dall’auto, tuttavia, l’anziano e cortese signore gli posò una mano su un braccio con gesto amichevole, dicendogli: «Teniamo duro, colonnello, teniamo duro. Vedrà che troveremo una soluzione».

Raggiunto l’aereo della NASA, Laura rimase un attimo interdetta. Ai piedi della scaletta li aspettava il secondo pilota. Prese imperiosamente Kevin per un braccio e lo costrinse a fermarsi, chiedendo: «Come mai questa volta c’è il copilota?»

Il sorriso di Kevin, dopo più di tre ore a nervi tesi, le fece capire che le parole del premio Nobel avevano rasserenato l’atmosfera. «Per questo tipo di velivolo è necessaria o comunque prevista dalla legge la presenza di almeno due piloti.»

«E perché, allora, nel volo di andata non c’era?» incalzò lei, che credeva comunque di avere intuito la risposta.

«Ho chiesto al capitano di prendere un volo di linea per raggiungere New York, dato che come copilota avrei avuto te. E che però non sapevo se saresti tornata indietro con me e il professor Bender.»

«Ma io non sono capace di pilotare neanche un aeroplanino di carta. Dove avevi la testa?» finse di protestare lei.

«Oh, quante storie», replicò Kevin in tono di scoperta complicità. «Lo sai come sono distratto. Mi sono confuso tra le tue abilitazioni a guidare batiscafi e quelle necessarie per governare un trireattore.» Quindi, lasciandole il passo davanti alla scaletta: «Spero non ti sia dispiaciuto», concluse sottovoce, strizzandole l’occhio.

Gerusalemme.

Oswald Breil aveva un’opinione del tutto personale sugli edifici pubblici israeliani. Più che sembrargli un palazzo funzionale della fine del secondo millennio, la sede della Knesset, il parlamento di Israele, gli ricordava un mausoleo assiro babilonese. Le consultazioni si erano concluse da poco, e la sostituzione del primo ministro era stata ratificata dalla quasi unanimità dei presenti. Il suo paese stava sicuramente attraversando un momento di gravissime difficoltà proprio quando la pace sembrava a un passo.

Il dirigente del Mossad e il primo ministro si conoscevano da molto tempo, e tra di loro c’era sicuramente un profondo senso di reciproca ammirazione e fiducia, anche se Oswald era stato più legato allo sfortunato predecessore. L’espressione del premier era tesa: la votazione parlamentare di pochi istanti prima doveva aver richiesto non poche energie e generato molta apprensione.

«Prima che lei mi riferisca il motivo che l’ha portata qui con tanta urgenza, Breil», tagliò corto il primo ministro una volta conclusi gli spicci convenevoli, «desidero informarla che i problemi del nostro servizio di controspionaggio e antiterrorismo mi inducono a sollecitare il suo passaggio almeno temporaneo dal Mossad allo Shin Bet, di cui assumerà la direzione. Fino a oggi, tra integralismi, falchi e colombe, una sola istituzione era stata raramente messa in discussione: proprio questo servizio. Adesso, però, e non posso dare torto a nessuno, si vuole ridiscutere tutto: leggi, metodi, uomini. L’assassinio del mio sfortunato predecessore è stato la molla che ha fatto scattare in tutto il mondo una serie di critiche alle nostre strutture. E, come logico, le opposizioni si sono fatte sentire immediatamente. Per ottenere i risultati che ci aspettiamo e di cui abbiamo un bisogno vitale, ci occorre la piena disponibilità di uomini come lei. La invito ad accettare. Anzi, glielo ordino.»

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