«Non sarà facile evacuare centinaia di persone attraverso un tombino, professoressa, ma credo che questo sia l’unico sistema che abbiamo per salvarli. Diamoci da fare.»
Giunti nell’aula magna, per prima cosa Oswald verificò col magnetometro che non vi fossero altri microfoni. Quindi si recò in una stanza attigua e riattivò una delle microspie dopo averla posizionata davanti a un altoparlante. Inserì nel registratore la cassetta dei canti del coro dell’East Horizon e mormorò tra sé: «Così almeno avrai chi ti farà compagnia, Giusto».
«Ho bonificato l’intera aula magna e creato una trappola per il Giusto. Può parlare agli studenti, signor preside.»
«Signori, silenzio, per favore… chiedo la vostra attenzione. Ho detto silenzio!» La quiete calò all’interno dell’aula. «Vi prego di mantenere la calma e di eseguire puntualmente le istruzioni che vi verranno impartite. Dobbiamo evacuare l’istituto. Le madri si prendano cura dei propri bambini e di quelli che non hanno i genitori al loro fianco. Obbedite in tutto e per tutto ai consigli del dottor Breil — è il signore che vedete laggiù vicino alla professoressa Adnan — e della signora Ziegler accanto a loro. Non c’è motivo, ripeto, non c’è motivo di allarmarsi. Cercate di restare calmi e mettete in pratica gli ordini di evacuazione che vi verranno forniti.»
Aiutati da un inserviente, Oswald e la professoressa Adnan avevano sollevato il pesante tombino quadrato che si trovava davanti alla cattedra. La scala in ferro scendeva perpendicolarmente al pavimento, inoltrandosi nelle viscere buie della terra.
«Aspetti che faccio un po’ di luce», disse Xaviera calandosi nella botola attraverso la scaletta. Pochi istanti più tardi il percorso in discesa veniva illuminato dalle lampade portatili, così come il corridoio sottostante.
«Faccia scendere prima un paio di uomini, mi daranno una mano con i bambini. Mandi giù anche un inserviente con qualche torcia: porterò i primi bambini sino all’uscita di Bellefontaine Street e poi tornerò indietro per fare strada agli altri», disse Xaviera dal fondo del pozzo.
«Le donne e i bambini sulla destra, gli uomini sulla sinistra. Cercate di restare seduti. È necessario che tutto avvenga con il massimo ordine.»
I genitori e gli alunni, per fortuna, si mostravano molto disciplinati.
«Voi tre calatevi nel cunicolo e aiutate la professoressa a far scendere le donne e i più piccoli», disse Breil a quelli che, tra i padri, gli sembravano più efficienti. Rispettando l’ordine con cui erano seduti all’interno dell’aula, i presenti venivano fatti dapprima alzare, raggiungevano il varco nel pavimento, si calavano nel tombino e sparivano verso la salvezza.
Una volta nel cunicolo veniva indicato loro il percorso. Oswald e la professoressa Adnan avevano calcolato che, dirottando il flusso verso altre tre uscite che avevano individuato, sempre nei pressi del crocevia di Bellefontaine, avrebbero ridotto di gran lunga i tempi.
Almeno la metà delle persone erano ormai fuori pericolo.
Oswald guardò l’orologio: erano le 10.32 del mattino. Le due ore e mezzo che mancavano all’esplosione sarebbero state più che sufficienti a mettere tutti in salvo. Fu allora che il telefono di Breil suonò di nuovo.
«Non la sento più da un pezzo, dottor Breil», disse la voce metallica. «E questa nenia di canti musulmani mi sta venendo a noia. Non sarà che lei ha trovato un modo per neutralizzare i miei microfoni? La informo che, vista la monotonia di questo canto, ho deciso di anticipare i tempi: la festa avrà il suo culmine con due ore d’anticipo, alle undici in punto. Le rimangono poco più di venticinque minuti, Breil.» E chiuse la comunicazione.
«Presto, fate presto!» disse Oswald ad alta voce, cercando di velocizzare la discesa di coloro che ancora dovevano mettersi in salvo.
Erano le 10.45. Oswald calcolò che erano rimaste circa duecento persone nell’aula magna. Forse potevano farcela.
Alle 10.50 erano rimaste poco meno di cento persone.
Alle 10.55 Oswald chiese a Cassandra, al preside e alla professoressa Adnan di lasciare l’aula. Lui sarebbe sceso per ultimo: ce l’avevano fatta.
Le due donne e il preside erano appena scomparsi alla sua vista, quando un urlo angosciato, simile a un lamento di morte che sale dagli inferi, salì dal tombino. Invano Cassandra aveva tentato di trattenere l’uomo che lottava per raggiungere nuovamente l’aula.
«Mia figlia, mia figlia Safiya non è scesa con sua madre e suo fratello. Mia moglie era convinta che fosse con me.»
Non appena Oswald lo vide, in fondo alla scaletta di ferro, riconobbe uno dei primi uomini che si erano calati per fare strada a tutti gli altri.
L’uomo teneva per mano un bambino spaventato.
«Si metta in salvo assieme al piccolo, ci penso io a trovare sua figlia.»
L’uomo non gli diede ascolto e continuò a salire. Oswald gli puntò la pistola in mezzo agli occhi.
«Le ho detto di portare in salvo suo figlio. Non mi faccia perdere altro tempo. Non lascerò lo stabile sino a che non avrò portato fuori di qui Safiya.»
Di fronte alla determinazione di Breil, quello si rassegnò e riprese la strada del percorso fognario.
Oswald guardò l’orologio: le 10.58. Gli parve di udire un pianto sommesso.
Safiya era accovacciata sotto un banco delle ultime file. Tremava come una foglia.
Oswald le accarezzò il capo, la prese per mano e, non senza fatica, se la caricò in spalla.
Il tombino all’angolo tra Bellefontaine e Barclay Avenue e altri due nelle immediate vicinanze assomigliavano a vulcani in eruzione: solo che, al posto di lava incandescente, dai crateri uscivano bambini vestiti con l’uniforme della East Horizon Islamic School, accompagnati dai loro genitori. Il traffico era paralizzato sia per l’invasione della sede stradale da parte di quelli che sembravano gli interpreti di Viaggio al centro della terra , sia per la curiosità che quel singolare spettacolo stava suscitando tra gli abitanti della tranquilla città californiana.
I genitori apparivano molto più spaventati dei bambini. Cassandra Ziegler guardò con impazienza l’orologio: mancavano pochi secondi alle undici. La donna si affacciò al tombino sperando di vedere la grande testa di Breil spuntare dall’oscurità.
L’esplosione fece tremare la terra, le case, le auto. Molti vetri andarono in frantumi.
Istintivamente tutti rivolsero lo sguardo verso il luogo da cui proveniva il boato: una nuvola di fumo nero a forma di fungo, che si levava al di sopra delle case in direzione sud, indicava che il complesso di edifici della East Horizon School non esisteva più: dieci chilogrammi di esplosivo ad alto potenziale avevano raso al suolo l’intero complesso. Nessuno si sarebbe potuto salvare se non fosse stato per l’iniziativa di uomini e donne come Oswald Breil, Decha Jamal, Cassandra Ziegler e Xaviera Adnan.
«Oswald! Oswald!» chiamò Cassandra con la testa dentro al tombino, in preda all’angoscia.
Il preside Jamal le si fece vicino e la cinse con un braccio: «Dobbiamo la nostra salvezza a un eroe ebreo che si chiama Oswald Breil», disse il preside con aria mesta.
Cassandra stava per esplodere in un pianto dirotto quando la testa di Oswald fece capolino: era sporco di calcinacci ma, a prima vista, appariva illeso. Così come sembrava in ottimo stato la bambina che teneva sulle spalle, poco più piccola dell’uomo.
«Toglietemi questo gigante di dosso», disse Breil lasciando che il padre di Safiya si prendesse cura della piccola.
Cassandra e la professoressa Adnan gli andarono vicino e lo cinsero in un abbraccio felice e commosso.
«Se questa è l’accoglienza che riservate a quelli che salgono dalle profondità terrestri, da domani mi metterò a fare lo speleologo», disse Breil.
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