Si rizzò a sedere di scatto e tese l’orecchio, ascoltando il rumore che faceva la chiave nella serratura.
La porta però non si apri. Attese invano. Aveva spento tutte le luci, per ogni evenienza, e se l’uscio si fosse aperto la persona sulla soglia sarebbe stata visibile chiaramente, perché nell’ingresso era sempre accesa una lampadina. L’oscurità rimase impenetrabile. Si accostò alla porta per ascoltare, ma udì soltanto il proprio respiro affannoso e i battiti del suo cuore.
Con gesto brusco spalancò quindi la porta e si fece da parte per non essere investito dalla luce proveniente dall’ingresso. Nessuno. Stranissimo, non c’era nessuno. Eppure chi aveva girato la chiave nella serratura non poteva essere molto lontano. D’un tratto notò una cosa che fece dileguare in lui ogni prudenza.
Gridò: — Phyllis, Phyllis, dove sei?
Ovunque aleggiava la fragranza di lei, la fragranza quasi ironica del suo profumo pungente. Casey era già nell’ingresso intento a scrutare ogni ombra e stava per avviarsi verso le scale quando… in cima ai gradini apparve Lance Gorden che puntava una rivoltella su di lui.
Senza esitare, Lance, non appena ebbe riconosciuto Casey, premette il grilletto una, due, tre volte, ma intanto il suo viso si sbiancava. Non era successo nulla. Indietreggiò, aggrappandosi alla ringhiera con una mano, e l’espressione sul suo volto tradiva che la verità gli era apparsa, ma troppo tardi. Ormai Casey poteva passare al contrattacco.
A dire il vero aveva dimenticato di aver stretta in pugno una pistola, e all’improvvisa aggressione aveva soltanto pensato che si trovava solo con un uomo che voleva ucciderlo e che quindi occorreva correre ai ripari. L’oggetto che stringeva in pugno non aveva forma, per lui, e lo lanciò contro la testa dell’altro senza pensare alle possibili conseguenze. Gorden stramazzò a terra, ma Casey non si fermò a guardare e attraversava già di corsa l’appartamento per girare freneticamente la chiave della porta in cucina. Era occupato in quella manovra, quando nell’ingresso rintronò un colpo di rivoltella.
A ripensarci bene, in quel lungo momento intercorso fra lo sparo e il silenzio, capiva la strana espressione di Gorden. A ripensarci bene tutto era chiaro. Attese, sempre in ascolto, e udì un rumore di passi giù per le scale o forse intuì che il rumore avrebbe dovuto esserci. La porta della cucina si era finalmente aperta, ma prima doveva accertarsi che l’ingresso rigurgitasse di gente. Tornò sui suoi passi, sapendo esattamente che cosa avrebbe trovato. Nessuno aspettava più con una rivoltella in pugno e anche l’arma era scomparsa. Il corpo di Gorden giaceva in posa scomposta ai piedi delle scale, e tutt’attorno aleggiava il profumo di Phyllis.
— Sedetevi, per l’amor di Dio — disse Maggie.
Casey si voltò a fissarla. Che cosa faceva li? Ricordò poi che la sua presenza era normale, poiché si trovava a casa sua. Camminava avanti e indietro, quindi non era un sogno. Era davvero fuggito attraverso i vicoli bui, bagnati di pioggia, nascondendosi negli androni, udendo l’ululato delle sirene, conscio che urlavano per lui. Lance Gorden era davvero morto e giaceva ai piedi delle scale ripide e strette.
— Ci sono le mie impronte — disse. — La rivoltella è scomparsa e sopra ci sono le mie impronte.
— Forse Gorden è stato ucciso da un’altra arma.
Casey sorrise. Maggie proprio non capiva. Gorden era stato ucciso dalla Luger perché fin dall’inizio era stabilito che andasse così.
— Ora vi do qualcosa da bere.
Brava Maggie, ne aveva proprio bisogno.
Si era imbattuto in lei per caso, come faceva sempre. Gli era mancato il tempo di prendere cappello e impermeabile perché le porte del corridoio già si socchiudevano, e la gente additava il suo appartamento. Del resto che importavano pioggia, nevischio e neve in questo gelido mondo?
— Su, bevete — ammonì Maggie, tendendogli un mezzo bicchiere di whisky. — E toglietevi quella giacca bagnata. State battendo i denti.
Non si tolse la giacca, ma ingollò il whisky in un sorso, traendone conforto. Maggie non capiva che non era la temperatura a farlo tremare in quel modo. — Avreste dovuto vedere la faccia di Gorden quando la rivoltella ha fatto cilecca — disse.
— Forse si era inceppata.
— Può darsi anche che fosse stata scaricata a sua insaputa. Non capite? Lei non aveva più bisogno di Gorden. Aveva finito il suo sporco compito e a lei non occorreva più, come non le occorrevo più io. Adesso tutto è a posto: il vecchio è morto, Phyllis eredita, Gorden è liquidato e io ho un biglietto di sola andata per la sedia elettrica. Magnifico! Quanto sono valutati sul mercato i creduloni?
— Sedete!
— Sarete molto vecchia prima di trovarne uno che mi valga. Come me non ne troverete altri, Maggie.
Aveva voglia di piangere. Avrebbe voluto chinare la testa come un bambino e sfogare tutto il suo dolore, ma non c’era tempo. La polizia pullulava già nel suo appartamento in cerca di piste, e quindi restava poco tempo per provvedere al necessario. Dopo, nulla avrebbe più avuto importanza.
— Casey!
Maggie sapeva che cosa bisognava fare. Era evidente dal modo con cui gli stringeva il braccio. — Non tornate da lei! Non fate lo sciocco.
— Sono sciocco, invece — ribatté Casey con un sorriso, sollevandole il mento con due dita. — È proprio quanto vi stavo dicendo.
— Ma non potete essere sicuro che sia stata Phyllis. Non l’avete vista.
— Per questo vado ad accertarmene.
— E poi?
Certe domande erano troppo stupide e non valeva la pena di rispondere. Che importava? Era solo questione di tempo, prima che il tenente Johnson dagli occhi azzurri rintracciasse Casey Morrow; nessuno al mondo avrebbe prestato fede al suo racconto. Prima o poi la morte lo attendeva. Capita a tutti. Strinse ancora un momento fra le dita il mento di Maggie, poi le accarezzò lievemente il buffo viso tondo. — Non capisco una cosa — mormorò. — Non capisco voi, Maggie. Come mai vi trovate invischiata in questa storia? Perché non siete andata per i fatti vostri?
Maggie riuscì a tirar fuori un sorriso un poco ironico. Era abbastanza saggia per capire quando non è più il caso di discutere.
— Ho una vita molto monotona — disse. — Volevo scrivere qualcosa di eccitante nel mio diario.
Ora che tutto era finito, o quasi, Casey non ricordava che sensazione gli avesse dato la paura. Tornò nel punto dove aveva parcheggiato la guida interna e ripassò davanti allo sporco stabile in mattoni, senza provare l’ombra di apprensione. Anche per strada regnava l’indifferenza. I capannelli di curiosi si erano dispersi e la gente aveva fatto ritorno alle case calde, mentre già da tempo l’eco dell’ultima sirena si era andata spegnendo nell’oscurità. Addio Lance Gorden, bel ragazzo dal cervello troppo fertile.
Il resto fu normale procedura. Filava a buon passo, inconscio della velocità, e ormai il nevischio si stava tramutando in neve, una neve turbinante che si scioglieva nelle strade ma che avrebbe coperto di un sottile velo i campi oltre la Harlem Avenue. Prim’ancora che la guida interna grigia fosse arrivata alla villa cintata dalla palizzata bianca, il pensiero di Casey era tornato a Phyllis.
Nessuno lo fermò, nessuno gli intralciò il cammino. Così doveva essere: tutto era stato prestabilito e ogni suo gesto faceva parte del destino.
L’oscurità era rotta soltanto da alcune finestre illuminate al piano superiore, indubbiamente quelle dell’appartamento di Phyllis.
Come gli riusciva di essere silenzioso quando voleva! In fondo, se avesse potuto avere una seconda vita, la carriera del ladro avrebbe potuto essergli redditizia. Facilissimo. Qualcuno dimentica sempre una finestra o una porta aperta, tutti sbagliano, anche Phyllis Brunner. S’inoltrò cautamente nel buio e quando ebbe trovato le scale si fermò, tendendo l’orecchio. Silenzio di tomba.
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