Robert Wilson - L'uomo di Siviglia

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L'uomo di Siviglia: краткое содержание, описание и аннотация

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Ossessioni. Ricordi rimossi, un'angoscia crescente, poi, all'improvviso, una scintilla che scatena un terrore sepolto in un angolo oscuro dell'anima. Raúl Jiménez, personaggio ambiguo legato al bel mondo di Siviglia, ma anche alla malavita e ai ricordi delle atrocità della Guerra civile, muore all'inizio della Semana Santa, il momento dell'anno più denso di religiosità e passione in una Spagna tutt'altro che solare, anzi, enigmatica e inquieta. L'ispettore capo Javier Falcón capisce ben presto di trovarsi di fronte a un crimine rituale, quasi iniziatico: l'assassino ha voluto impartire alla sua vittima una “lezione di vista”. Jiménez è stato legato e costretto a guardare una videocassetta, finché il suo cuore non ha ceduto…

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«In colpa?»

«Sospettavamo che ci fosse un legame tra l'assassino e la ragazza, ma non abbiamo dato seguito alla cosa. Avremmo dovuto insistere. Abbiamo sbagliato…»

«Lei non ha sbagliato », disse Alicia, «la ragazza non ha voluto parlare, stava proteggendo l'assassino per motivi suoi.»

«Mi sento ugualmente colpevole.»

«Ma colpevole di che cosa?»

Lungo silenzio.

«Quella sera mi sono imbattuto in un'altra processione. E, sa, era… così bella… la Madonna. È ridicolo che un manichino vestito possa essere tanto… commovente», sospirò. «Non sono riuscito a sopportarlo, non sono riuscito a sopportare tutto ciò che rappresentava e ho dovuto fuggire, ho dovuto allontanarmi da lei.»

«E questo aveva a che fare con il suo senso di colpa nei riguardi della ragazza?»

«Sì. Con il mio fallimento.»

«Lei sa chi è la Madonna?»

«Sì.»

«Sa che cosa incarna?»

Falcón annuì.

«Lo dica», insistette Alicia.

«È la madre assoluta.»

«La madre assoluta», ripeté Alicia. «Mi dica perché è andato a Tangeri.»

«Volevo sapere come… volevo sapere che cosa fosse successo quando morì mia madre.»

«Lo ha scoperto?»

«Non proprio. Ho saputo che cosa era successo sulla strada, davanti a casa, un ricordo confuso che mi aveva sempre turbato. Era soltanto la donna del Rif, la cameriera di mia madre che aveva fatto una scena, una cosa abbastanza normale per le donne arabe. Probabilmente anche lei sa che…»

«Non crede a quello che sta dicendo, non è vero, Javier? Lei considera questo importante.»

«Non mi pare.»

Alicia emise un lento sospiro. Di nuovo l'impenetrabile muro.

«Che cos'altro ha trovato a Tangeri?»

«Un pettegolezzo assurdo sul modo in cui era morta la mia seconda madre.»

«La sua seconda madre?»

«Non lo ritengo credibile al punto da poter essere riferito.»

«E che altro?» domandò Alicia, reagendo bruscamente a quella resistenza a confidarsi.

«Ho un'inesplicabile paura del latte», rispose Falcón; e le raccontò dell'episodio nella medina di Tetuán e del sogno conseguente.

«Che cosa significa il latte per lei?»

«Niente.»

«E questo ha sognato, niente?»

«Volevo dire che non ha altro significato se non che ho sempre detestato il latte e i suoi derivati… proprio come mio padre.»

«E che cosa producono le madri per nutrire i loro bambini?»

«Devo andare», esclamò Falcón, «l'ora è già finita, lei avrebbe dovuto essere più rigorosa con me sul tempo.»

Si diressero alla porta e Falcón cominciò a scendere le scale senza voltarsi a guardarla e senza accendere la luce.

«Tornerà, non è vero, Javier?» gli gridò dietro Alicia.

Nessuna risposta.

Una volta a casa, si chiuse nello studio a sfogliare le immagini dei quadri stampate in bianco e nero, con il senso di colpa e di fallimento che gli scuoteva l'anima. Fissò le stampe alla parete e le guardò arretrando di qualche passo. Erano del tutto prive di senso. Provò a cambiare l'ordine in cui le aveva disposte, pensando che quello fosse il problema, ma ben presto si rese conto che le possibilità di disposizione erano migliaia.

Il vento soffiava nel patio, scuotendo la porta. Falcón uscì e, seduto sul bordo della fontana, batté il piede sulle lastre di marmo del pavimento, e quelle forme rettangolari gli ricordarono il diagramma caduto dal rotolo di tele.

Strappò dalla parete le stampe e salì di corsa nello studio del padre: il diagramma era ancora sul pavimento del ripostiglio, tra le scatole. Cinque rettangoli che si intersecavano, ognuno numerato. Si precipitò di nuovo al piano sottostante, posseduto dall'idea che la chiave del mistero fosse lì. Ma quale mistero? Nel patio rallentò il passo fino a fermarsi.

Le certezze. L'idea del crollo delle certezze gli rovinò addosso come in una serie di immagini da colossal biblico: statue rovesciate, chiavi di volta crollate, archi ripiegati su se stessi, colonne spezzate in giganteschi frammenti scannellati. L'immagine che aveva di suo padre non era già più quella di un tempo, si era cambiata in quella del legionario violento, del veterano di Leningrado traumatizzato dalle esplosioni, del contrabbandiere capace di uccidere e infine dell'artista tormentato. E tuttavia ognuno di questi aspetti poteva essere spiegato. Colpevole non era la natura dell'uomo, la colpa era del secolo più feroce della storia, della cruenta e crudele Guerra civile, della catastrofica Seconda guerra mondiale, della brutalità rimasta nella gente che, alla fine, si era trasformata nell'edonismo della Tangeri del dopoguerra; sarebbe sempre stato possibile puntare il dito contro le influenze esterne che avevano avuto un effetto devastante su Francisco Falcón nel suo stato di fragilità. Ma forse questo era diverso, forse questo gli avrebbe rivelato qualcosa di profondamente personale, una terribile debolezza che avrebbe portato allo scoperto il mostro nascosto. Ed era questo che voleva?

In che modo, durante il loro primo incontro, Consuelo Jiménez aveva definito lui e Inés? Aveva detto che la loro era stata un'unione tra cercatori della verità. La ragione unica per cui si era imbarcato in quel viaggio terribile era stata la smania irresistibile di scoprire la verità. E, arrivato fin lì, si sarebbe forse ritirato, per finire nel solo luogo in cui portava la calle Negación ? E quand'anche fosse stato così? Avrebbe continuato a vivere come se niente di tutto ciò fosse mai avvenuto e Javier Falcón sarebbe affondato senza lasciare traccia.

Portò il rotolo di tele nello studio e le dispose ognuna accanto alla stampa corrispondente, ma non riuscì a trovare nessun ordine di numerazione; sul retro delle tele non era stato scritto nulla se non le lettere I e D. All'improvviso si sentì stanco e provò un desiderio terribile di stendersi sul letto. Poi, sul margine di una stampa, vide alcuni segni d'inchiostro e si rese conto che suo padre aveva numerato i dipinti sulla parte frontale, oltre il punto in cui la tela si tendeva sul telaio. Riuscì a ricostruire i numeri e a metterli nell'ordine giusto, procedendo per eliminazione. Poi comprese che la I e la D stavano per izquierda e derecha , sinistra e destra. Segnò le stampe di conseguenza e regolò i bordi dei fogli A3, che girò e unì insieme secondo il modello del diagramma. Portò l'unico grande foglio così ottenuto alla parete di lavoro del padre e ve lo fissò con il nastro adesivo. Si girò, si diresse alla libreria sulla parete opposta e stava per voltarsi quando avvertì quella sudorazione improvvisa, il familiare rivolo sulla faccia.

Era l'ultima occasione che aveva per abbandonare tutto e andarsene.

Si girò, le palpebre serrate.

Poi aprì gli occhi e vide ciò che aveva fatto suo padre.

XXXI

Domenica 29 aprile 2001, laboratorio di El Zurdo,

calle Parras, Siviglia

Falcón attaccò alla parete i fogli stampati mentre El Zurdo era occupato ad arrotolarsi e accendersi uno spinello. Proprio mentre aspirava il primo tiro, Javier gli batté una mano sulla spalla. El Zurdo si girò.

« Joder! » esclamò. «Chi è quella?»

«Quella?» sibilò Falcón. « Quella è mia madre.»

« Joder », ripeté El Zurdo, avvicinandosi affascinato. «È davvero un lavoro notevole.»

«Non è un lavoro notevole», disse Falcón, «è un lavoro schifoso.»

«Ehi! Io non sono coinvolto come te», ribatté El Zurdo, «io lo guardo…»

«Come un'opera d'arte?» domandò Javier incredulo.

«Tecnicamente. Voglio dire, è straordinario creare cinque pezzi a incastro, privi di significato e apparentemente senza un collegamento… non avevo nemmeno notato le linee di giuntura del puzzle, eppure, una volta messi insieme i pezzi…»

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