Robert Wilson - L'uomo di Siviglia

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Ossessioni. Ricordi rimossi, un'angoscia crescente, poi, all'improvviso, una scintilla che scatena un terrore sepolto in un angolo oscuro dell'anima. Raúl Jiménez, personaggio ambiguo legato al bel mondo di Siviglia, ma anche alla malavita e ai ricordi delle atrocità della Guerra civile, muore all'inizio della Semana Santa, il momento dell'anno più denso di religiosità e passione in una Spagna tutt'altro che solare, anzi, enigmatica e inquieta. L'ispettore capo Javier Falcón capisce ben presto di trovarsi di fronte a un crimine rituale, quasi iniziatico: l'assassino ha voluto impartire alla sua vittima una “lezione di vista”. Jiménez è stato legato e costretto a guardare una videocassetta, finché il suo cuore non ha ceduto…

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Salì su un taxi davanti all'hotel Colón e si fece portare in calle Parras, non lontano dall'Alameda. Nessuna risposta dall'appartamento di El Zurdo, ma il vicino gli disse che era andato a pranzo nel suo solito locale, un bar in calle Escuderos che si chiamava La Cubista.

Sei uomini soli seduti ai tavoli mangiavano guardando la televisione. Non ne riconobbe nessuno.

«Mi chiedevo quanto tempo ci avresti messo», disse una voce mentre Falcón si avvicinava al bancone del bar.

Il tintinnio delle posate cessò, ma la telenovela sullo schermo continuava e l'uomo che aveva parlato, un tipo scuro di pelle, dai denti lunghi, si alzò, i capelli grigi appena visibili sotto un cappello nero sulla cui fascia erano appuntati distintivi e spille. Era vestito di nero da capo a piedi.

«Tu devi essere Javier Falcón», disse.

«Che cosa glielo fa pensare?»

«Perché sei entrato con un rotolo di tele sotto il braccio e con l'aria di un bambino sperduto.»

«El Zurdo?»

L'uomo gli indicò la sedia di fronte a lui.

«Hai già mangiato?»

«Si stava chiedendo quanto tempo…»

«… Javier Falcón avrebbe impiegato a venire da me», disse, voltandosi per guardare il menu sulla lavagna. «Allora, cordero en salsa , escalopinas de cerdo o atún en salsa? »

« Cordero », rispose Falcón.

El Zurdo gridò l'ordinazione e Falcón appoggiò il rotolo di tele al tavolo vicino. Il suo bicchiere fu riempito di vino rosso.

«Ci siamo visti soltanto una volta», disse Falcón.

«E tu non hai voluto darmi la mano.»

«L'aveva appena usata per grattarsi.»

El Zurdo scoppiò in una risata. Una donna posò un piatto di stufato d'agnello davanti all'ispettore capo.

«Che cos'hai là?» domandò El Zurdo accennando alle tele.

«Cinque dipinti. Non li riconosco, non sono di mio padre. Volevo sapere se fossero copie fatte da lei.»

El Zurdo scostò il piatto vuoto e prese uno stuzzicadenti da un vasetto sul tavolo. Falcón cominciò a mangiare.

«Perché ti interessano questi dipinti? Sei un poliziotto, no? Me l'ha detto tuo padre.»

«Non sono in servizio, se è questo che pensa», rispose Falcón. «Sono in permesso.»

«Vuoi venderli?»

«Voglio sapere che cosa sono prima di bruciarli.»

El Zurdo si accese una sigaretta, si alzò, avvicinò i due tavoli e srotolò le tele, osservandole l'una dopo l'altra con aria sicura.

«Sono tutte mie», disse alla fine, «sono copie che avevo fatto per tuo padre, ma non sono lavori suoi. Mi aveva chiesto il favore di copiarli per un pittore svizzero che li aveva appena venduti alla galleria di Salgado e voleva evitare di pagare le tasse. Naturalmente lo svizzero avrebbe portato con sé le copie da mostrare alla dogana per far vedere che non aveva venduto nulla. Perciò non capisco come mai siano ancora nello studio di tuo padre.»

«Le tele su cui dipingere gliele aveva date mio padre?»

«Sì. Erano vecchie tele e c'era su qualcosa che tuo padre aveva coperto con uno strato di pittura.»

«Qualcosa di suo?»

«Non glielo domandai.»

El Zurdo continuò a fumare mentre Falcón mangiava.

«Vuoi sapere che cosa c'è sotto la pittura?» domandò El Zurdo.

«Credo di sì.»

«Non mi sembri tanto sicuro.»

«Si crede di voler sapere finché non si scopre di cosa si tratta.»

Presero un taxi che li portò a calle Laraña e alla Facultad de Bellas Artes, attraversarono il patio interno e salirono al piano superiore dove, per quindicimila pesetas, un amico di El Zurdo mise le tele in una macchina speciale e consegnò loro cinque immagini stampate delle opere originali che stavano sotto l'ultimo strato di pittura. Il risultato era incomprensibile, un nulla fatto di tratteggi incrociati, di bande nere su fondo bianco, qua e là un particolare riconoscibile, come un occhio, una gamba, uno zoccolo, la coda di un animale.

El Zurdo non riuscì a capirci nulla. Si salutarono ai piedi della gradinata, e lo zingaro disse che avrebbe sempre potuto trovarlo a La Cubista all'ora di pranzo. Javier tornò a casa a piedi. Buttò su un tavolo le tele e le stampe, telefonò ad Alicia e si accordò per vederla quella sera.

«Mi hanno sollevato dall'incarico», dichiarò mentre la terapeuta gli prendeva il polso, «e tra dieci giorni dovrò sottopormi a un esame psicologico completo.»

«Non ne sono sorpresa», soggiunse Alicia, «probabilmente il suo comportamento stava diventando piuttosto strano.»

«È stato per via di quel fatto con Inés e il Juez de Instrucción, lei ha pensato che la stessi pedinando, ma io l'ho incontrata per caso, come a volte succede nei miei pensieri.»

«Mi ha già detto tutto questo.»

«Davvero? Ah, sì, per un pazzo pochi giorni diventano eoni. Io non faccio che rivivere la mia vita, ma continuo a sbattere contro un vuoto di memoria, ci sbatto più e più volte e alla fine sono esausto e ricomincio di nuovo fino a quando mi ritrovo davanti alla stessa porta chiusa. È sfibrante e fa sembrare storia antica il tempo tra le esperienze reali della vita quotidiana. Le ho detto che sono stato a Tangeri?»

«Non ancora. Perché ha deciso di andare a Tangeri?»

«Mi hanno dato un permesso per gravi motivi familiari.»

Le parlò della morte di Pepe Leal.

«Che cosa sperava di trovare a Tangeri… quarant'anni dopo?»

«Risposte. Nel Terzo mondo la vita non si muove con gli stessi ritmi di qui. Ho creduto di poter trovare qualche persona che ricordasse cose che io avevo dimenticato e che avrebbero rimesso in moto la mia memoria.»

«Ma perché Tangeri? Aveva perduto il suo lavoro a causa di Inés, perché non risolvere questo problema? Che cosa l'ha spinta laggiù?»

«Sono stato trascinato, non è stata una decisione conscia, sono andato dove mi ha condotto la sorte. Mi sono messo nelle mani di altri… e sono finito davanti alla nostra vecchia casa nella medina.»

«Nessuna decisione conscia?»

«Nessuna.»

«Mi ricordi quando esattamente si è manifestata questa sua specie di follia.»

«Ho avvertito il cambiamento in me quando ho visto la faccia della prima vittima.»

«E qual è stata la prima cosa, al di fuori delle sue indagini, che le ha fatto pensare che il cambiamento non fosse dovuto, per esempio, al trauma di uno spettacolo orripilante?»

Un lungo silenzio.

«Sono andato in centro per prendere la rubrica della vittima e mi sono imbattuto in una processione della Semana Santa. Non so perché, ma vedere la Madonna… per poco non sono svenuto. È stata un'esperienza sconvolgente.»

«Lei è credente?»

«Niente affatto.»

«E dopo di quello?»

«Ho visto mio padre in una delle foto della vittima e ho appreso che aveva avuto una relazione prima della morte di mia madre.»

«Ma nella sua vita?»

«Trovare i diari con la sua lettera… ha messo in moto qualcosa. Ha smosso qualcosa, intendo dire, una specie di… tenebra. Quella notte mi sono comportato in modo molto strano, ho creduto che potesse esservi qualcosa di perverso in me. Non avevo mai visto quel lato della mia natura, mi sono sempre comportato inflessibilmente bene. Deciso a comportarmi bene.»

«Lo fa perché ha paura?»

«Sì.»

«Di che cosa?»

«C'è stato dell'altro quella notte», rispose Falcón. «Stavo cercando di trovare la prostituta che era stata con la vittima la sera della sua morte. Era sparita. In quell'occasione l'assassino si è messo in contatto con me per la prima volta. Mi ha chiesto: 'Siamo vicini?' e poi ha aggiunto: 'Più vicini di quanto pensi', come se sapesse qualcosa di me, e ora so che era vero.»

«Che cosa crede che sapesse di lei?»

«Credevo volesse dire che eravamo vicini fisicamente, che mi avesse seguito, ma più tardi pensai che forse avesse voluto dire che non eravamo molto diversi, lui e io», disse Falcón, impuntandosi sulle parole. «Sapevo che aveva ucciso la ragazza e mi sentivo in colpa.»

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