Erano cosí giunti presso la chiesa del Tondo, vasto edificio dalle solide pareti, quando all’estremità del sobborgo si videro apparire alcuni soldati. Era uno dei drappelli che il colonnello Zimènes aveva lanciati nei sobborghi, onde tenere in freno le popolazioni di colore che potevano unirsi agli insorti.
Ancora una volta i fuggiaschi stavano per venire presi fra due fuochi.
– Hang-Tu, – disse Romero, arrestando il cavallo. – Prepariamoci a morire.
– Io sí, ma tu no, – rispose il chinese, la cui fronte si era abbuiata. – Ti affido Than-Kiú: salvala, mentre io proteggo la tua fuga.
– La salverai tu, ma non io.
– Non accetterebbe.
– Allora morremo tutti.
– O cercheremo di salvarla entrambi. Ormai la partita è perduta. Poi rizzandosi sulle staffe tuonò:
– Amici, ogni resistenza è inutile: salvatevi!… Ci ritroveremo a Salitran!…
Cacciò gli sproni nel ventre del cavallo e caricò disperatamente il drappello spagnuolo colla rivoltella nella sinistra e una pesante sciabola giapponese nella destra, una di quelle armi dalla lama larga e pesante, somiglianti a giganteschi rasoi e che chiamansi catane.
Romero, Than-Kiú ed uno dei due malesi l’avevano seguito.
I carabinieri tagalos ed i pochi malesi e chinesi sfuggiti alla morte, si erano subito sbandati gettandosi nelle vie laterali; ma il gruppo maggiore, meno fortunato, aveva urtato contro una colonna di cacciatori ed aveva dovuto retrocedere precipitosamente, riparando nella chiesa del Tondo.
Nessuno di quei disgraziati doveva salvarsi, poiché assaliti da tutte le parti, dopo una breve ma disperata resistenza, doverono arrendersi in numero di trenta per venire piú tardi fucilati o esiliati alle Caroline.
Intanto Hang-Tu ed i suoi compagni, sfuggiti miracolosamente incolumi alla prima scarica del drappello, erano riusciti ad aprirsi un varco attraverso ai soldati e prendere il largo.
Avendo però appreso da alcuni abitanti del sobborgo che ogni uscita era sbarrata dalle truppe, dopo un breve consiglio si erano diretti verso Binondo, passando fra le strette viuzze del quartiere malese, colla speranza di trovare rifugio nella sede delle società segrete o nella casa di uno dei loro numerosi amici.
Avevano gettato via i fucili che potevano tradirli ed avevano nascoste le rivoltelle sotto le casacche, sperando d’ingannare la sorveglianza degli spagnuoli, fingendosi tranquilli borghesi che ritornavano da una cavalcata.
Le fucilate però che rombavano qua e là ancora, li inquietavano. Le truppe del colonnello Zimènes inseguivano senza misericordia gli ultimi superstiti dell’insurrezione e potevano arrestarli come sospetti d’aver preso parte al colpo di mano.
Ora nessuno di essi ignorava, che se venivano riconosciuti, sarebbero stati inesorabilmente condannati alla morte.
– Temo che sia troppo tardi per poter uscire da Binondo, – disse Hang, gettando uno sguardo d’angoscia su Than-Kiú.
Romero si era arrestato, porgendo attento orecchio agli spari che echeggiavano sempre piú vicini. Ad un tratto spronò il cavallo, dicendo:
– So dove trovare un rifugio.
– Da chi? – chiese Hang-Tu.
– Nella villa di Teresita. non distiamo che tre o quattrocento passi.
– Taci!…
– Perché, Hang? – chiese Romero, stupito.
– Than-Kiú non ci seguirebbe.
– Lei?… Ed il motivo?…
– Lo ignoro. Sarà disabitata la villa?
– Lo spero.
– Meglio cosí: affrettiamoci.
Gli spari si avvicinavano e qualche insorto era già comparso in fondo alla via, fuggendo a precipizio. I quattro cavalieri lanciarono i destrieri al galoppo, arrestandosi poco dopo dinanzi ad una elegante costruzione, la quale sorgeva all’estremità d’un piazzale cinto da ortaglie.
Capitolo VIII. LE DUE RIVALI
La villa che il maggiore d’Alcazar, al pari dei piú ricchi spagnuoli della colonia si era fatto costruire nel sobborgo di Binondo, non era uno di quei massicci edifizi che somigliano a fortezze e che si vedono nella Ciudad.
Era una palazzina civettuola di stile chinese, a doppio tetto, colle punte rialzate ad arco e coperta di tegole azzurre, con una veranda che le girava intorno, riparata da sottili stuoie di nipa a disegni bizzarri ed a colori e fiancheggiata da due ampie tettoie destinate alla servitú ed ai cavalli.
Dietro a quella costruzione si estendeva un ampio parco, dove crescevano i piú pregiati alberi della flora spagnuola ed indo-malese, difeso da alte muraglie di recente costruite e che all’opposta estremità terminava in un chiosco graziosissimo, colle pareti di pietra ed un tetto acuminato, sormontato da un’alta antenna sostenente un drago argentato.
Le finestre della palazzina erano chiuse, ma a Romero parve di scogere attraverso le fessure d’una persiana, un raggio di luce.
– Al chiosco, – diss’egli ad Hang-Tu, che pareva attendesse una risposta. – Là non correremo alcun pericolo.
Disgraziatamente, proprio in quel momento, due ribelli attraversavano correndo la piazza, inseguiti da lontano da alcuni cacciatori.
– Troppo tardi, – disse Hang-Tu.
– Seguitemi, – rispose invece Romero.
I cacciatori li avevano però veduti e supponendo d’aver da fare con degli insorti, avevano sparato contro di loro alcune fucilate, senza però colpirli. Romero lanciò il suo cavallo lungo le mura del parco che in quel luogo descrivevano una curva, seguito dai compagni.
Конец ознакомительного фрагмента.
Текст предоставлен ООО «ЛитРес».
Прочитайте эту книгу целиком, купив полную легальную версию на ЛитРес.
Безопасно оплатить книгу можно банковской картой Visa, MasterCard, Maestro, со счета мобильного телефона, с платежного терминала, в салоне МТС или Связной, через PayPal, WebMoney, Яндекс.Деньги, QIWI Кошелек, бонусными картами или другим удобным Вам способом.