Emilio Salgari - Le stragi delle Filipine
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Hang-Tu, furioso per quella ostinata resistenza, tre volte aveva tentato di dar fuco alla porta del quartiere gettandovi contro dei fasci di legna infiammata, ma era stato costretto a retrocedere. Stava per mettersi alla testa di un gruppo di animosi per tentare di dare la scalata alle finestre, quando si udirono alcuni insorti, forse i meno risoluti, gridare:
– I cacciatori!… Fuggite!…
I ribelli, udendo quelle grida e vedendo la guardia civica irrompere dalla porta che era stata rapidamente aperta e lanciarsi sulla via colle baionette calate, si sbandarono.
Intorno ad Hang-Tu non erano rimasti che sessanta o settanta uomini, per lo piú carabinieri e pochi chinesi con una mezza dozzina di malesi.
– A me, amici!… – urlò il capo delle società segrete. – Mostriamo agli spagnuoli ed ai vili che fuggono, come sanno morire gli insorti.
Non erano piú in grado di tener testa alle guardie civiche che stavano per caricarli.
Continuando la fucilata, si ritirarono nella vicina via dell’Assuncion che poteva, in caso di disfatta, offrire un rifugio attraverso il sobborgo del Tondo e si arrestarono sull’angolo, organizzando una disperata resistenza.
Sfondarono rapidamente alcuni negozi e colle mobilie che si trovavano dentro improvvisarono una barricata abbastanza solida.
Hang-Tu stava disponendo i suoi fedeli dietro a quei ripari, quando dall’opposta estremità della via scorse quattro cavalli bianchi di spuma, montati da tre uomini e da una fanciulla che aveva un grande mantello bianco svolazzante, avanzarsi di gran galoppo.
Credendoli spagnoli, aveva già dato il comando di aprire fuoco su di loro, quando li riconobbe. Un vivo stupore si dipinse sul suo viso.
– Romero!… – gridò.
– Sí, Hang-Tu. – rispose il meticcio, che essendo innanzi a tutti, lo aveva raggiunto. – Sono io, e vengo a morire per l’indipendenza di Luzon.
– Disgraziato!… ed io che credevo di salvarti!…
– Silenzio, amico!… Qui si tratta di battersi bene e non di parlare.
Era sceso da cavallo e si era lanciato sulla barricata col fucile in mano, gridando con voce tuonante
– Coraggio fratelli!… Ci battiamo per la libertà!…
Than-Kiú era pure giunta ed aveva messo piede a terra. Hang-Tu le era corso incontro. Il volto di quell’uomo, che era rimasto impassibile dinanzi alla morte, tradiva in quell’istante una mortale angoscia.
– Anche tu qui, Than-Kiú! – balbettò egli.
– L’ho seguíto, – rispose la chinese con voce tranquilla.
– Ma qui si muore, mia povera Than-Kiú!
Un pallido sorriso sfiorò le labbra della giovane.
– Che importa, – disse. – Sarà piú felice il Fiore delle Perle che la Perla di Manilla.
– Ma questo ritorno… mentre ti credevo in via per Salitran?…
– Venivamo a dirti che le truppe accampate nelle provincie accorrevano per soffocare l’insurrezione della capitale. Siamo giunti troppo tardi, ma cosí voleva il destino.
– Ed hai voluto seguire Romero?
– Sí, Hang.
Il chinese si terse alcune gocce di freddo sudore che gli bagnavano la fronte.
– Povera Than-Kiú! – mormorò. – Confidiamo nel nostro valore e prepariamoci a morire da forti.
– Non temo la morte, Hang, – rispose la giovane con energia. – Se le fredde ali del genio delle tombe mi toccassero, cadrò a fianco di lui e sarà la mia ultima felicità.
– Si compia la volontà del tien (cielo), – disse il chinese con rassegnazione.
Intanto le fucilate rombavano furiose fra le due fila di case. Le guardie civiche, che erano comandate dal colonnello Fierro, avevano preso posizione di fronte all’imboccatura della via, tirando contro la barricata, mentre le piú audaci cercavano di avvicinarsi di soppiatto, tenendosi presso le muraglie delle abitazioni.
Gl’insorti però, quantunque fossero tre volte meno numerosi, resistevano tenacemente, respingendo i primi tentativi d’assalto con scariche nutrite.
Romero, che in quel momento pareva avesse dimenticato tutto, perfino la Perla di Manilla, sfidava intrepidamente la morte. Ritto su di un banco, con gli occhi sfavillanti d’audacia, pieno d’entusiasmo, faceva fuoco quasi senza interruzione, gridando:
– Viva la libertà!… Coraggio amici!… Il sangue dei martiri non va perduto.
Accanto a lui, mezza riparata da un enorme rotolo di canapi, si era collocata Than-Kiú. La valorosa fanciulla conservava una calma ammirabile, un sangue freddo da muovere ad invidia i soldati piú agguerriti. Puntava senza precipitazione la sua piccola carabina, mirava senza che le sue piccole e delicate mani tremassero e faceva fuoco soltanto quando era certa del colpo. Pareva che scegliesse con cura estrema i nemici, i nemici che cercavano di abbattere il meticcio, Hang-Tu si era collocato all’estremità opposta della barricata ed al pari di Romero sfidava, sorridendo, i colpi degli avversari, senza prendersi la briga di ripararsi.
La resistenza di quel drappello minacciava di prolungarsi molto tempo. Parecchi gendarmi ed alcuni chinesi erano caduti e giacevano, sanguinanti, fra i mobili fracassati della barricata, ma gli altri non arretravano e tenevano in iscacco le guardie.
Il colonnello Fierro aveva tentato già due volte di superare l’ostacolo e di sloggiare i difensori a colpi di baionetta, ma al terzo tentativo era caduto in mezzo alla via con due palle nel petto ed era spirato sul posto.
Ad un tratto alcuni insorti che si erano spinti verso l’angolo opposto della via, per cercare dei soccorsi, tornarono precipitosamente verso la barricata, gridando:
– I cacciatori!… Si salvi chi può!…
Hang-Tu, udendo quelle grida, si era precipitato giú dalla barricata mandando un urlo di fiera ferita. In due salti raggiunse Than-Kiú, la sollevò fra le robuste braccia come fosse una bambina e la posò su uno dei quattro cavalli che un malese teneva per le briglie.
– Va’, fuggi, – le disse.
– Mai, – rispose la fanciulla.
– Fra pochi minuti nessuno di noi sarà vivo
– E morrò anch’io
– Non lo voglio, Than-Kiú!
– Allora fuggiamo tutti. Il sobborgo del Tondo non è ancora stato occupato.
Hang-Tu esitava. Abbandonare quella barricata cosí ostinatamente difesa e già bagnata del sangue di tanti compagni gli sembrava una vigliaccheria, ma non voleva che la fanciulla morisse.
In quel momento, all’estremità opposta della via, si udirono le trombe dei cacciatori che suonavano la carica. Un ritardo di pochi istanti poteva diventare fatale ai difensori.
– In ritirata!… – tuonò Hang-Tu.
I ribelli, udendo la voce del capo si ripiegarono confusamente, mentre le guardie civiche irrompevano nella via mandando urla di vittoria.
Romero scaricò un’ultima volta il fucile in mezzo agli assalitori che si avanzavano come una fiumana, poi balzò sul suo cavallo, mentre Hang-Tu faceva altrettanto, prendendone uno che gli era stato condotto dinanzi dai due malesi.
I ribelli, che erano rimasti in cinquanta, si slanciarono dietro ai loro capi, i quali fuggivano attraverso le vie del sobborgo di Tondo, facendo alcune scariche contro i cacciatori che s’avanzavano a passo di corsa.
– Dove andiamo? – chiese Romero ad Hang-Tu.
– Se non incontriamo ostacoli, cercheremo di giungere nei quartieri chinesi e malesi per sollevarli.
– Temo che sia troppo tardi, Hang. Odo delle detonazioni echeggiare in quella direzione e mi pare che si estendano.
– Se non potremo giungere colà, ci getteremo nella campagna.
La ritirata dei ribelli si eseguiva in fretta e con disordine. I carabinieri tagalos seguivano di corsa i cavalli, pur fuggendo, di quando in quando, rispondevano al fuoco di quei disgraziati. La paura cominciava ad invadere anche i piú risoluti.
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