Emilio Salgari - Le stragi delle Filipine
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Salí sul cavallo che uno dei due malesi teneva per la briglia, un vigoroso destriero che doveva correre come il vento, colla testa leggera, il ventre stretto ed i garretti solidi, probabilmente un animale derivato da un incrocio di sangue arabo e spagnuolo, e diede il segnale della partenza.
Il fanciullo si mise alla testa, i due malesi alla retroguardia ed il piccolo drappello partí di galoppo, tenendosi sotto l’ombra degli alberi.
Romero, sempre assorto ne’ suoi pensieri, non si curava della via che battevano. Sapendo però che gli spagnuoli avevano disposto intorno alla capitale numerosi drappelli di soldati, per impedire qualsiasi colpo di mano da parte degli insorti, aveva messo davanti alla propria sella un fucile a retrocarica di ultimo modello, che aveva trovato sospeso all’arcione e si era cinto una cartucciera ben fornita che gli aveva dato uno dei due malesi.
I quattro cavalli galopparono dieci minuti tenendosi a breve distanza dalla via che gira intorno alla città, poi la guida si spinse attraverso a campi coltivati raggiungendo il margine d’un bosco di banani dalle foglie gigantesche.
S’arrestò un momento ascoltando con profondo raccoglimento, scambiò alcune rapide parole coi due malesi, poi fece cenno di avanzare.
Uno dei due giovanotti passò all’avanguardia tenendo il fucile fra le mani e la guida si mise a fianco di Romero, come se volesse proteggerlo da qualche improvviso assalto e fargli scudo col proprio corpo.
Solo allora Romero s’accorse che le vesti di quel fanciullo – tale almeno lo credeva ancora – tramandavano un delicato profumo di lillà! Quell’odore, assolutamente incompatibile per un uomo, fosse pure per un giovanetto che si esponeva audacemente ai pericoli della guerra, lo stupí.
– Ma chi sei tu? – chiese. – Un fanciullo od una donna?…
– Than-Kiú, mio signore, – rispose la guida, ma con una voce cosí dolce, cosí armoniosa, che pareva il gorgheggio di uno di quei gentili usignoli ai quali i chinesi han dato il nome di cantatori di Mongolia.
– Than-Kiú! – esclamò Romero. – Questo è un nome di donna e se non m’inganno, nella lingua dei Celestiali significa Fiore delle Perle.
– Sí, mio signore, – rispose la guida, con maggiore dolcezza.
– Allora sei una fanciulla.
– Del Celeste Impero, mio signore.
– Ma chi ti ha incaricato di venire con me?
– Hang-Tu.
– Ma quell’uomo è pazzo!
– Perché, mio signore?
– Esporre una fanciulla agli orrori della guerra!
– Non temo la guerra.
– Tu non sai che cosa sia.
– Ho udito il cannone rombare a Malaban e ultimamente a Dasmarinas.
– Tu! – esclamò il meticcio, che cadeva di sorpresa in sorpresa.
– Io, mio signore.
– E tu hai adoperato il fucile?…
– Sí, contro gli spagnuoli.
– Strana creatura!…
– Vendicavo mio fratello.
– Chi era tuo fratello?…
La giovane chinese non rispose e chinò il capo sul petto, ma dopo alcuni istanti disse:
– Forse sta per morire.
– Si trova nella mani degli spagnuoli?…
– Non ancora, – rispose Than-Kiú, dopo una breve esitazione, – ma può venire preso da un istante all’altro.
– E tu vieni con me a combattere gli spagnuoli a Salitran?
– Sí.
– Qualche imperioso motivo ti costringe a recarti in quella città?
– Mi hanno detto di guardarti colà ed io obbedisco.
– Conosci la via?
– Meglio di qualunque altro forse.
– Una fanciulla!…
– So dove si trovano le avanguardie dei nemici e forse meglio di tutti. Ti hanno affidato a me, ed io ti condurrò a Salitran, mio signore, dove ti presenterò ai capi degli insorti.
– E ti conoscono?…
– E mi obbediranno anche.
– Ma chi sei tu adunque?…
– Than-Kiú, – rispose la fanciulla.
Poi senza aggiungere altro spronò il cavallo e si addentrò nel bosco, seguendo un sentieruzzo appena visibile e dove l’oscurità era cosí profonda, da non potersi quasi distinguere i tronchi degli alberi che lo fiancheggiavano.
Romero l’aveva seguita assieme ai due malesi che gli si erano messi alle spalle. Non vedevano quasi piú la fanciulla, ma il delicato profumo dei lillà che esalavano le vesti della strana creatura e che si espandeva come un’onda in mezzo alle tenebre, bastava per guidarlo.
Egli la seguiva come fosse attratto da una forza misteriosa, da una volontà potente contro la quale non avrebbe forse potuto resistere e seguendola pensava a lei. Chi poteva essere quella donna, che Hang-Tu gli aveva messo al fianco per guidarlo, attraverso alle molte insidie dei nemici, fino a Salitran?… E perché una donna invece di un uomo che avrebbe potuto essergli di maggiore aiuto, nel momento del pericolo?… Quali occulte mire avevano deciso il potente capo delle società segrete a dargli quella compagna? Vaghi timori cominciavano ad infiltrarsi nel suo animo e pensava ora a tutte quelle parole oscure, inesplicabili, che il chinese aveva pronunciato piú volte il giorno innanzi e quella sera istessa, nel momento della separazione.
Che cosa meditava quell’uomo dal cuore e dagli sguardi impenetrabili?… Il pensiero del meticcio, cosí meditando, si rivolgeva a Teresita e senza sapere il perché, si sentiva invadere da profonde inquietudini. Aveva paura di qualche tenebrosa trama a danno della fanciulla bianca che aveva abbandonata a Manilla.
Quel timore a poco a poco divenne cosí intenso, cosí tormentoso, da non poterlo piú vincere. Sentiva per istinto che qualche cosa di tremendo doveva accadere nella capitale mentre si cercava di allontanarlo.
– Than-Kiú!… – esclamò.
La fanciulla che continuava ad inoltrarsi nel bosco, udendo la voce del meticcio s’arrestò, dicendo:
– Che cosa desidera il mio signore?…
– Rivolgerti una domanda.
– Sono la schiava del mio signore, che può chiedermi tutto.
– Sapresti dirmi perché Hang-Tu è rimasto a Manilla?…
– Forse.
– Hai udito parlare della Perla di Manilla?…
La fanciulla non rispose.
– Mi hai udito?…
– Sí, mio signore, – rispose Than-Kiú, con un accento nel quale si sentiva come una vibrazione triste.
– La conosci?…
– Il Fiore delle Perle può aver udito parlare della Perla di Manilla, ma le perle del mio paese non hanno voce.
– Che cosa vuoi dire? – chiese Romero, con stupore.
Invece di rispondere alla domanda, Than-Kiú arrestò il proprio cavallo dicendo:
– Taci: ascolta!…
Attraverso la foresta si udiva allora come un lontano rimbombo, che rapidamente s’avvicinava. Pareva che un grosso numero di pesanti animali galoppasse in mezzo o ai margini di quell’enorme agglomerato di piante, dirigendosi verso la capitale delle Filippine.
– Gli spagnuoli? – chiese Romero.
– Sí, – rispose Than-Kiú, con un tono di voce che tradiva una viva inquietudine.
– Qualche squadrone di cavalleggeri che ritorna?…
– Di certo, ma vorrei sapere perché corrono verso la capitale, mentre gl’insorti si battono a Bulacan, a Cavite, a Salitran ed a Malaban.
– Che temano un colpo di mano sulla Ciudad?…
– Lo ignoro, – rispose la giovane chinese, ma con un certo imbarazzo che non isfuggí al meticcio.
– O lo sai? – chiese questi.
– Taci, mio signore, o ci faremo prendere.
Con un agilità sorprendente era balzata a terra, ed aveva fatto sdraiare il suo cavallo sotto le ampie foglie d’un gruppo di sagu, avvolgendo la testa dell’animale in una ricca gualdrappa infioccata, che aveva tolta dall’arcione.
I due malesi ed il meticcio fecero altrettanto e si nascosero dietro i quattro cavalli coi fucili in mano.
Il fragore s’avvicinava sempre. Ormai non si poteva piú ingannarsi: un grosso gruppo di cavalli, forse uno squadrone galoppava attraverso la foresta movendo verso la capitale.
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