Emilio Salgari - Le stragi delle Filipine

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I suoi occhi, lievemente inclinati, d’un nero intenso e che avevano una espressione dolce e malinconica, quasi triste, erano velati da superbe ciglia brune e fitte; il suo naso non era depresso come quello delle donne di razza tartara; le sue labbra rosse, sottili, mostravano denti piccoli come granelli di riso, e d’una bianchezza delicata.

Aveva i capelli nerissimi, con certi riflessi metallici che facevano spiccare maggiormente la bianchezza marmorea della pelle, raccolti intorno a tre spilli d’oro terminanti in tre grosse perle; il corpo racchiuso entro una casacca di seta azzurra a fiori di vivaci colori, stretta alla cintura da una larga fascia rossa ricamata in oro; calzoncini ampi, pure di seta, ma bianca ad arabeschi gialli, ed i piedi piccoli come una foglia di rosa, per usare una espressione chinese, nascosti entro scarpine di broccato a punta rialzata e colla suola di feltro bianco.

Non portava gioielli né agli orecchi, né al collo. Solamente ai polsi aveva alcuni cerchietti d’oro sormontati tutti da una perla di notevole valore.

La giovane chinese, poiché doveva essere molto giovane, forse al pari della Perla di Manilla, non si era mossa. I suoi occhi però, sotto le folte ciglia che quasi li nascondevano, non si erano staccati dal meticcio.

– Than-Kiú, sei tu?… – chiese Romero.

– Sí, mio signore, – rispose la chinese, con voce dolce.

– Hai vegliato, mentre io dormivo?…

– Sí, mio signore.

– Invece di riposare?…

– Than-Kiú non aveva sonno.

– Strana fanciulla!… – mormorò Romero.

– Noi amiamo sognare cogli occhi aperti.

– E sognavi del tuo paese forse, delle cupole dorate od a scaglie dorate di ramarro della tua lontana città natia, o delle albe del tuo Celeste Impero?

– Forse. Sognavi anche tu.

– Io?…

– Sí, mio signore.

– Ah!… È vero, sognavo battaglie.

– E perle, – disse Than-Kiú, socchiudendo gli occhi.

– Sí, anche questo è vero, – rispose Romero, con un sospiro. – Sognavo della Perla di Manilla.

Udendo queste parole, un leggero rossore si diffuse sul viso alabastrino della giovane chinese, ma si dileguò subito.

In quel momento entravano i due malesi portando su un vecchio vassoio alcune chicchere di thè fumante, che deposero sulla tavola unitamente ad alcune focacce di frumento.

Than-Kiú offrí graziosamente una tazza della profumata bevanda a Romero, scusandosi di non potergli dare, almeno pel momento, di meglio; bagnò appena le sue vermiglie labbra in un’altra, poi volgendosi verso i due malesi che parevano attendessero di venire interrogati, chiese loro se l’igoroto era tornato.

Avuta una risposta negativa, la bianca fronte della giovane chinese si corrugò, mentre i suoi begli occhi tradivano una viva inquietudine.

– La cosa può diventare grave, – mormorò.

– Temi che l’abbiano ucciso? – chiese Romero.

Than-Kiú non rispose. Si era gettata sulle spalle l’ampio mantello di seta bianca, si era messa sul capo il suo grazioso Manilla ed aveva preso la sua piccola carabina, una splendida arma colla canna rabescata ed il calcio intarsiato di madreperla.

– Dove vai? – chiese Romero.

– Mi attenderai qui, mio signore.

– Mentre tu vai forse ad affrontare un pericolo?… Oh!… mai, Than-Kiú.

– Tu non sai dove si trovano gli spagnuoli e non conosci questa foresta, – rispose la giovane chinese. – Mi preme accertare una cosa.

– Quale?…

– Te lo dirò piú tardi, mio signore.

– Io voglio seguirti.

– No, è l’ordine del capo delle società segrete, – disse Than-Kiú, con fermezza incrollabile. – Tu devi obbedire, mio signore.

«D’altronde la mia assenza sarà breve, spero».

Fece cenno ad un malese di seguirla ed escí senza aggiungere sillaba.

Romero aveva fatto alcuni passi come se volesse seguirla, ma l’altro malese gli aveva sbarrato il passo dicendo:

– No, padrone. Bisogna obbedire a Than-Kiú.

– Ma chi è quella fanciulla?… Forse comanderà piú di me, nominato capo supremo degli insorti della provincia di Cavite? – chiese Romero, con stupore.

– Per ora devi obbedire, padrone.

– Ma chi è adunque quella fanciulla?…

– Than-Kiú.

– Lo so che si chiama cosí, ma da dove viene, chi sono i suoi genitori?…

– Lo ignoriamo tutti, ma sappiamo che tutti le obbediscono.

– Io non l’ho mai veduta prima d’ora.

– Forse t’inganni, padrone, poiché ella ti conosceva prima di ieri sera e l’ho udita io parlare sovente di te.

– Ma dove?…

– A Manilla, e piú tardi nel campo degl’insorti.

– Conosceva me?…

– Sí, padrone.

– È strana!… Non mi ricordo d’averla incontrata nelle vie della Ciudad. Una fanciulla chinese cosí graziosa, non può sfuggire inosservata. È molto tempo che abita a Manilla?…

– Non lo so.

– Dove si trovava, prima che scoppiasse l’insurrezione?…

– Non lo ricordo.

– O meglio non vuoi dirmelo —

– Può essere, – rispose il malese, con un sorriso malizioso. Poi per tagliar corto quel dialogo uscí, mettendosi di guardia alla porta della capanna.

Da una bisaccia che gli pendeva dal fianco aveva estratto un pizzico di siri, miscuglio formato di noci d’arecchie ridotte in polvere, di una piccola dose di succo concentrato dell’amaro e astringente gambir e di un po’ di calce viva, l’aveva avviluppato accuratamente in un pezzetto di foglia di betel e si era messo a masticare, con visibile soddisfazione, quella piccola pallottola, lanciando di quando in quando getti di saliva rossastra che pareva mescolata a sangue.

Romero, conoscendo la cocciutaggine dei malesi, si era seduto dinanzi alla casupola, aspettando pazientemente il ritorno della giovane chinese.

Le ore però trascorrevano, ma nessuno tornava, nemmeno il negrito che doveva aver lasciata la capanna prima dell’alba. Il meticcio, le cui inquietudini aumentavano, temendo che qualche disgrazia fosse toccata alla valorosa Than-Kiú, aveva piú volte proposto al malese di andarla a cercare, ma questi si era limitato a rispondere che la chinese non era donna da lasciarsi sorprendere dagli spagnuoli.

Erano circa le due pomeridiane, quando gli acuti sensi del malese percepirono qualche cosa. S’alzò rapidamente afferrando il fucile che teneva a portata delle mani, ma poco dopo tornò a sedersi, dicendo:

– Tornano.

Romero respirò. L’eroica fanciulla che esponeva per lui, con un sangue freddo straordinario ed un’audacia incredibile per una donna, la vita, cominciava a destare nel suo cuore un’ammirazione che poteva diventare pericolosa per la Perla di Manilla.

Poco dopo Than-Kiú giungeva dinanzi alla capanna, seguita dal malese e dal brutto negrito. Pareva che avesse fatto una semplice passeggiata, poiché le sue vesti non erano punto disordinate; solamente il suo volto latteo era diventato leggermente roseo. Dai suoi sguardi però traspariva una viva ansietà.

– Finalmente! – esclamò Romero, senza nascondere la gioia che provava nel rivederla. – Tu mi hai fatto provare molte angosce, fanciulla.

Than-Kiú sorrise, mentre nei suoi occhi neri brillava un rapido lampo. Prese il meticcio per una mano e trattolo nella capanna, disse, ma con un accento che tradiva una profonda inquietudine:

– Hang-Tu corre un grave pericolo.

– Lui!… – esclamò Romero. – Come le sai tu?…

– Le truppe spagnuole accampate nella provincia, si ripiegano precipitosamente su Manilla.

– Tanto meglio; ci lasceranno il passo libero per giungere a Salitran.

– Non è Salitran che bisogna salvare ora, ma Hang-Tu, mio signore.

– Non ti comprendo.

– Oggi gli insorti tentano un colpo di mano entro le mura della capitale, per costringere il generale Polavieja a sospendere l’investimento di Cavite, la quale non è abbastanza fortificata per resistergli, e per lasciare a te il tempo di rendere Salitran inespugnabile.

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