Emilio Salgari - Straordinarie avventure di Testa di Pietra
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Pioveva a dirotto e dalla parte del lago si udiva la risacca muggire fortemente. Un vento freddo scendeva dal settentrione, ululando sotto gli alti abeti e sfrondando i rami.
«Bella notte per cacciare un uomo,» disse Testa di Pietra il quale, di quando in quando, si curvava per osservare le orme del fuggiasco. «Certamente si starebbe meglio dinanzi al fuoco tracannando una bottiglia di quell’ottimo gin ed a fumare la pipa, ma quell’uomo assolutamente mi occorre e lo seguirò finché si sarà fermato. I bretoni, anche marinai se hanno teste dure, hanno buone gambe che non si atrofizzano sui ponti delle navi.»
Camminavano lesti, guardando attentamente sotto i grandi alberi che le raffiche di quando in quando scotevano con estrema violenza, pronti a piombare sul fuggiasco, sicurissimi che non dovesse avere un notevole vantaggio.
«Sotto, sotto, Piccolo Flocco,» diceva Testa di Pietra. «Vedrai che noi lo prenderemo.»
«E dove ci condurrà?»
«Anche all’inferno noi andremo a prenderlo e… oh!…»
Aveva alzato il fanale e l’ascia, e fissava il tronco d’un grosso pino nero di dimensioni enormi. Non era un colosso tale da gareggiare coi pini della California, tuttavia era sempre un vero gigante.
«Ehi, Piccolo Flocco!…» gridò. «Non ti pare di vedere un buco od una spaccatura alla base di questa pianta?»
«È così vasta, quell’entrata, da permettere anche ad un orso di rifugiarsi dentro quel pino che la malattia ha vuotato forse in buona parte.»
«Che cosa mi parli di orsi?»
«Se avessimo inseguito una bestia a quattro gambe?»
«Sì, che portava scarponi armati di chiodi,» disse il vecchio bretone. «Dentro quel pino ci dev’essere una specie di caverna che noi non trascureremo di visitare. Aspetta un po’».
Si abbassò e proiettò sul terreno i raggi del grosso fanale. Un grido di trionfo gli uscì dalle labbra.
«Ecco qui le orme che si dirigono appunto verso quel pino. Il mariolo si è nascosto là dentro e non ci sfuggirà più.»
«Che sia armato di fucile?»
«Con questa pioggia non gli servirebbe. Se ha qualche ascia lo ridurremo subito all’impotenza.
«Sii prudente, Testa di Pietra.»
«Questo non è il momento di esserlo. Io voglio acciuffare quell’uomo, poiché non si tratta di un orso. Che fortuna che ha avuto a trovare quel rifugio! Non creda però di sfuggirci.»
Alzò nuovamente la lampada e lanciò il fascio di luce in direzione della spaccatura. Il pino, come tanti suoi confratelli, si era aperto verso la base ed assai largamente, divorato dalle carie. le quali, a poco a poco, finiscono per vuotare quasi completamente quei grandi vegetali. Dinanzi allo squarcio si allungava una massa poltigliosa che sprigionava un acuto odore di resina.
«Per la taverna delle !…» sussurrò l’eterno chiacchierone. «L’amico si è trovato un ottimo rifugio contro la pioggia ed il freddo. Doveva capitargli, nella sua fuga, anche questa fortuna, ma non durerà molto poiché ora ci siamo noi.»
Fece alcuni passi in avanti e, giunto dinanzi allo squarcio, si mise a gridare:
«Ehi, quel signore che fugge senza augurare la buonanotte agli abitanti del fortino vorrebbe mostrare il muso?»
Nessuno rispose.
«Allora vi verremo a prendere,» continuò Testa di Pietra. «Intanto vi avverto che siamo formidabilmente armati e che siamo uomini da non spaventarci per un corpo a corpo all’arma bianca. Volete rispondere?»
Lo scrosciare violentissimo della pioggia solamente rispose. Dall’interno del pino non era uscito alcun suono che rassomigliasse ad una voce umana.
«Testa di Pietra,» disse Piccolo Flocco. «che abbiamo preso un grosso granchio?»
«No, perché il granchio si trova proprio lì dentro.»
«Allora sarà occupato a sorbire il caffè giacché tu ammetti che si tratta veramente d’un uomo.»
«Ha paura.»
Una voce rauca, furiosa, questa volta echeggiò nell’interno del pino.
«Io aver paura!…»
«Ah!… Finalmente, birbante, ti sei deciso ad aprire la bocca. Ma non ti pare, Piccolo Flocco, d’aver già udito quella voce?»
«Sì, sulla fusta,» rispose il giovane marinaio. «Quello che stiamo per prendere deve essere uno dei tre canadesi. Ve n’era uno che parlava nel naso.»
«Diavolo d’un diavolo!… Ora so con chi abbiamo a che fare.»
«Con Jor, il luogotenente di Davis, è vero?»
«Precisamente, Piccolo Flocco. Ecco una cattura importante e che ci spiegherà molte cose. Signor Jor, avete finito di vuotare la vostra tazza di caffè, se qualcuno ve l’avrà preparata?»
«Andate all’inferno!…» rispose il canadese. «Badate che anche io sono armato e che non mi lascerò prendere così facilmente come sperate.»
«Di pistole, di carabine, di sciabole d’arrembaggio e di asce?»
«Basta, mastro Testa di Pietra.»
«Ah, finalmente mi avete riconosciuto. Volete uscire?»
«No: sto troppo bene qui dentro.»
«Hai ragione, furfante! qui fuori piove a dirotto.»
«Andate a cercarvi un altro asilo. Di pini più o meno cariati se ne trovano facilmente in queste foreste. E poi qui non c’è posto.»
Testa di Pietra proiettò per la seconda volta il fascio di luce del fanale dentro la spaccatura e vide subito un’ampia caverna legnosa, tutta cosparsa di polvere resinosa, capace di contenere anche venti uomini.
«Spegnete quel lume!…» urlò il canadese con voce adirata. «Mi offende gli occhi!»
«I tuoi occhi si abitueranno subito. Ti decidi a uscire?»
«No, e sono pronto a difendermi.»
«Siamo in due.»
«Foste anche in quattro non avrei paura d’impegnare la lotta.»
«Trombone!… la tua voce nasale trema e questo è un brutto indizio per un uomo che deve misurarsi con della gente salda come lo siamo noi.»
«Provatevi ad entrare, se osate!…»
«A me, Piccolo Flocco!… Questo furfante vuole spaventarci.»
«E farci bagnare per bene,» aggiunse il giovane marinaio. «Non cessa di piovere.»
«Saremo subito al coperto.»
Il vecchio bretone passò sugli ammassi di polvere legnosa ch’erano sgorgati, a poco a poco, dalla caverna e saltò dentro il pino con l’ascia alzata.
In mezzo a quel rifugio abbastanza comodo stava uno dei tre canadesi della fusta, anche lui armato di scure.
Era un omaccione alto e grosso, col viso quasi tutto coperto da una foltissima barba arruffata e due occhi nerissimi. pieni di lampi minacciosi.
«Buon giorno, signor Jor,» disse il vecchio bretone con il suo solito accento ironico. «Ben felice di rivedervi. Avrei preferito però che al vostro posto si trovasse Davis. Potete darmi qualche notizia di lui?»
«Non ne so nulla,» disse il canadese, il quale si era appoggiato alla parete per non correre il pericolo di essere sorpreso anche alle spalle. «Io non l’ho più veduto.»
«Sicché, non sai se sia vivo o morto?»
«Quando io ho veduto la fusta correre addosso agli scogli, sono saltato in acqua. Davis c’era ancora insieme a due miei compagni.»
«Sicché non sai che la fusta ci è stata incendiata sotto i piedi dopo aver preparata una specie di mina?»
«Allora io non ero più sulla barca. Mi premeva di salvare la mia pelle e non ho esitato a gettarmi fra le onde. «Ho veduto una grande fiammata seguita da un rombo assai forte, ma non ho potuto accertarmi se era la vostra barca che si sventrava o qualche naviglio inglese.»
«Già, le navi inglesi sono proprio qui a corrermi dietro.»
«Lo vedrete fra qualche giorno, e vi dirò anche che voi non andrete a Ticonderoga.»
«Perché?»
«Perché tutti i comandanti inglesi hanno ricevuto l’ordine di catturarvi, vivo o morto.»
«Come lo sai tu?»
«Me l’ha detto Davis.»
«Siete delle belle canaglie,» disse il bretone. «Canadesi, ossia francesi, che vi siete lasciati corrompere dalle ghinee inglesi.»
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