Emilio Salgari - Straordinarie avventure di Testa di Pietra
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Come abbiamo detto era di forme massicce e pareva che avesse una cinquantina d’anni. I suoi capelli erano assai brizzolati, la sua barba piuttosto lunga pure e il suo viso aveva dei lineamenti duri ed energici animati da un paio d’occhi che sprigionavano ancora un vivo splendore.
Indossava un vestito di grosso panno azzurro cupo che lo faceva rassomigliare ad un marinaio, però calzava mocassini indiani di pelle gialla con svariati disegni sulle costure, al posto dove gli Irochesi e gli Algonchini appendono le capigliature dei nemici vinti.
Malgrado l’età piuttosto avanzata, non doveva aver perduto né la sua forza né la sua agilità.
Testa di Pietra e i suoi compagni si guardarono intorno e si accorsero di essere entrati in uno di quei depositi che i coloni canadesi tengono in buon numero sul Champlain, per esercitare il traffico delle pelli con gl’indiani.
Infatti la capanna era ingombra di pellicce d’ogni genere: ve ne erano di lupi, di volpi, di alci, di raccoon od orsi lavoratori, di caribou che somigliano assai alle renne e non mancavano anche delle pelli di bisonte accuratamente conciate dagl’indiani i quali sono veri maestri nel conservare e rendere pieghevoli le loro pellicce, con dei processi semplicissimi e che sono tutti a base di cervelli diluiti con acqua e ben sbattuti.
Vi erano poi casse, barili e barilotti d’ogni tinta che dovevano contenere probabilmente dei viveri e degli oggetti di scambio per gli indiani. Formavano un’enorme catasta in fondo alla sala, ammonticchiati alla rinfusa.
«Voi siete un trafficante, è vero?» chiese Testa di Pietra allo sconosciuto.
«Traffico con i pellerossa.»
«Mestiere pericoloso, signor…»
«Riberac.»
«Ecco un bel nome francese.»
Il trafficante alzò le spalle, sorrise, poi trascinò una tavola nel centro del deposito accendendo un grosso fanale da marina, quantunque veramente il camino proiettasse una luce abbastanza viva.
«Non ho sedie,» disse. «Prendetevi dei barili e asciugatevi come meglio potete al fuoco. Con questo freddo non fa piacere portare indosso tanta acqua.»
«Siamo veramente intirizziti, ma qui dentro regna una bella temperatura e fra qualche ora noi saremo asciutti,» rispose Testa di Pietra.
«Siete stati dunque molto in acqua?»
«Qualche ora e la risacca era pessima.»
«Voi tutti siete gente robusta e non soffrirete per ciò.»
Aprì una cassa, levò alcune bottiglie e parecchi bicchieri e cominciò a versare.
«È gin del migliore, che non vendo agl’indiani. Lo serbo solamente per me e per qualche raro amico. Bevete pure, perché ne sono ben provvisto.»
Aprì poi una seconda cassa e trasse fuori pacchi di tabacco e mazzi di grossi sigari del Maryland, delle gallette e della frutta secca.
«Servitevi,» disse. «Da questo momento vi considero come miei ospiti, anzi come degli amici. Rimarrete qui finché vorrete poiché io solo sono stato la causa del naufragio della vostra fusta, facendo quei segnali.»
Stette un momento silenzioso, poi, guardando Testa di Pietra che si arrosolava dinanzi al braciere e che era tutto occupato ad asciugare la sua famosa pipa, gli chiese a bruciapelo:
«Non eravate in maggior numero?»
«Come fate a saperlo?»
«Perché la vostra barca l’ho veduta navigare un po’ prima che tramontasse il sole. Dev’essere successo qualche combattimento fra di voi poiché più tardi ho udito parecchi colpi di fucile e delle grida furiose.»
«Una parte del mio equipaggio, formato da canadesi, capitanati da un meticcio che era incaricato di guidarci attraverso il lago, si era ribellato e non so ancora come siamo sfuggiti ad un vero massacro poiché non avevamo che delle scuri.»
«E li avete respinti o costretti a sbarcare?» chiese il trafficante il quale pareva s’interessasse vivamente.
«Sono state le onde che li hanno portati via durante il primo scoppio della bufera. Si trovavano sulla prora, che era assai bassa, e uno ad uno li abbiamo veduti sparire.»
«Che siano annegati?»
«Il lago era pessimo in quel momento e per di più i quattro canadesi indossavano vesti pesantissime.»
«Certo. nessuno di quei disgraziati sarà riuscito a raggiungere la costa.»
«Disgraziati!… Canaglie e fior di canaglie!…» gridò Testa di Pietra. «Avevano preparata una vera mina nel ventre della fusta per farci saltare in aria. Fortunatamente avevamo fatto a tempo a gettare in acqua una piccola zattera.»
«Quella che si è arenata alla foce del fiume. Così cattivi erano quegli uomini? Eravate voi il loro comandante?»
«Sì, ed avevo trattato quei bricconi come se fossero dei veri marinai bretoni, e li avevo pagati bene!»
«Voi o qualche altro?»
Testa di Pietra staccò il bicchiere dalle labbra e guardò con diffidenza il trafficante. «Perché da qualche altro?» chiese poi. «Vorreste spiegarvi, signor Riberac?»
«Da qualche generale americano per esempio.»
«A bordo della mia fusta non ve n’era nessuno.»
«In conclusione dove eravate diretti?»
«Verso il forte di Ticonderoga.»
«Ah!… Quello che gl’inglesi ora si preparano, con grandi sforzi, ad espugnare? Si dice che vogliano prendersi una strepitosa rivincita contro Arnold che è il braccio destro di Washington.»
«Mi permettete una domanda?»
«Dite pure.»
«Parteggiate per gli americani o per gl’inglesi?» chiese Testa di Pietra.
«Per nessuno,» rispose con voce secca il trafficante. «Io non mi occupo che dei miei commerci e se vi sono delle persone che sentono il desiderio di trucidarsi, non mi riguarda affatto. Io sono rimasto affatto estraneo a questa guerra maledetta.»
«Perché maledetta?»
«Perché gl’inglesi hanno assoldati gli Uroni e gli Algonchini impedendomi così ormai di vendere un vecchio fucile od un barilotto di polvere o della paccotiglia lucente a buon prezzo. Se si sono già messi sul sentiero di guerra, un giorno o l’altro piomberanno anche qui e mi porteranno via tutto, compresa la capigliatura.»
«Non siete amico di quei terribili guerrieri?»
«Amico!… Fidatevi di quella gente anche quando avete fumato con loro venti volte il calumet della pace! Mi hanno lasciato vivere perché avevano bisogno di vendermi le loro pelli in cambio di armi e liquori. Se non avessi avuto questo magazzino ben fornito, chissà da quanto tempo mi avrebbero scotennato.»
«E, sapendo ora che è ben pieno di ogni grazia di Dio, con la scusa di essersi messi sul sentiero della guerra vi svaligeranno.» disse Testa di Pietra.
«Oh, prevedo la mia rovina,» rispose il trafficante. «Non valeva la pena di passare dieci anni fra queste boscaglie battute da grossi orsi per poi rimanere senza un luigi. Bell’affare che ho fatto!…»
«Venite con noi.»
«Dove?»
«Al forte.»
«Chi ci procurerà un canotto capace di affrontare le collere di questo lago che, se è piccolo, è troppo sovente di cattivo umore? Solamente gl’indiani ne posseggono, ma io non andrò certo ad espormi al pericolo di farmi spaccare la testa con un buon colpo di tomahawh.»
«Sicché saremo anche noi costretti a rimaner qui,» disse il bretone, impallidendo. «Siamo aspettati a Ticonderoga..»
«Affari urgenti?»
«Pressantissmi, mi pare di avervelo detto.»
«Può darsi, ma non ricordo. Io ho sempre il mio cervello occupato nei miei affari e non sempre presto attenzione a quello che mi si dice.»
«Che cosa ci consigliate di fare?»
«Di rimanere qui. Che cosa vi manca? Avete delle splendide e soffici pelli che vi serviranno benissimo da letto. Come ho detto, metto il mio magazzino a vostra disposizione.»
«Non si potrebbe giungere egualmente al forte facendo il giro del lago? Noi non siamo uomini da spaventarci per il freddo.»
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