Carlo Botta - Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 3
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Intanto Willet saltato fuori dal Forte aveva assalito con eguali industria e valore gl'Inglesi negli alloggiamenti loro, ed a prima giunta molti ne uccise, altri cacciò nelle selve, alcuni nel fiume. Ma solo essendo venuto per far diversione in favore d'Harkimer, ottenuto l'intento, si ritrasse di nuovo alle mura, portando seco a trionfo caldaie, coltrici, moschetti, pelli di fiere ed altri arnesi, o necessarj all'uso della guerra, o tenuti cari dagl'Indiani. Vollero i nemici tagliargli il ritorno al Forte, e fecero un'imboscata. Ma egli, che stava vigilante, gli combattè, e fe' star lontani a furia di archibusate e di cannonate a scaglia. Arrivò dentro sano e salvo con tutti i suoi; e per trofeo ammontò le armi e le bagaglie conquistate sotto lo stendardo americano, che sventolava sulle creste della Fortezza. Poco dopo tentò con un altro compagno, chiamato Stockewell felicemente un'assai più pericolosa fazione. Passarono di notte tempo per gli alloggiamenti del nemico, e non rimanendosi al grave pericolo che correvano, nè alla crudeltà dei selvaggi, riuscirono alla larga. Nascondendosi secondo il bisogno nelle profonde selve e nelle paludi corsero il paese per levare genti in aiuto del Forte; azione magnanima, e da non esser mai senza molta lode ricordata.
Il colonnello Saint-Leger, volendo usare la vittoria avuta sull'Harkimer, sotto speranza che ne fosse la guernigione sbigottita, intimò la resa al comandante del Forte, prima con parole per mezzo del colonnello Butler, poscia per iscrittura. Parlò della totale distruzione degli amici loro, dell'impossibilità all'ottener soccorso, della disperazion delle cose. Aggiunse, che Burgoyne, superate e disperse tutte le genti americane, stava ora in Albanìa ricevendo le promesse di soggezione e di fedeltà dei popoli circonvicini. Molto magnificò e le proprie forze, e quelle di Burgoyne Annunziò, che, se venissero a patti, sarebbero verso il presidio tutti quei modi usati, coi quali soglionsi dalle civili nazioni trattare i vinti. Ma, se si volesse in una ostinata ed inutile difesa persistere, sarebbero non solo i soldati del presidio diventati vittima alla bestial rabbia degl'Indiani, che già a mala pena poteva frenare; ma ancora ogni anima vivente, o uomini, o donne, o vecchi, o fanciulli, o infermi, o sani che si fossero, stati sarebbero senza alcuna compassione scarpellati e morti.
Rispose gravemente, e con molta costanza Gausevoort, che gli Stati Uniti d'America dato gli avevano in guardia la Fortezza di Schuyler; che ad ogni rischio, e sino all'estremo spirito intendeva egli di volerla difendere; e che non aveva mai creduto, nè credeva dovere stare, nè curarsi agli effetti, che nascer potessero dall'adempimento del suo dovere. Aveva benissimo conosciuto, che se il capitano inglese avesse avuto forze sufficienti, avrebbe o fatto una modesta chiamata, od assaltato il Forte senza intrattenersi a fare una sì bizzarra braverìa.
L'Inglese vedendo, che le insidie e le minacce erano state senza frutto, volse tutti i suoi pensieri alla oppugnazione. Ma poco stante si accorse, che il Forte era e meglio munito, e meglio difeso di quanto si era persuaso. Sperimentò altresì, che le sue artiglierie non eran di tal portata a poter fare notabile danno da una certa distanza. Perciò pigliò il partito di avvicinarsi colle trincee al Forte, sicchè le artiglierie far potessero sufficiente passata; ed in questo procedeva con grandissima diligenza. Intanto gl'Indiani e per le perdite fatte, e per esser caduti dalle speranze del depredare, ogni dì diventavano più rotti, più precipitosi e più molesti. Ad ogni piè sospinto minacciavano di rubare, e poi di andarsene. Vennero in questo mentre le novelle al campo, che Arnold si avvicinava potente di numero, e con grandissima celerità. Il vero si era, che Schuyler, udito, che si combatteva il Forte del suo nome, aveva spedito Arnold in soccorso con una brigata di stanziali sotto gli ordini del generale Learned, al quale si accostaron poi mille armati alla leggiera mandati da Gates. Procedeva Arnold colla consueta audacia e celerità alla fazione, salendo per le rive del fiume Moacco. Giunto a mezza strada, avendo avuto avviso, che il Gausevoort era molto stretto dal nemico, e sapendo che niuna cosa tanto nuoce al tempo, quanto il tempo, lasciate indietro le genti di grave armatura, con novecento dei più lesti corse più che di passo al Forte. Ebbero tosto gl'Indiani, che stavano di continuo cogli orecchi levati, intenzione della cosa, sia dai loro, sia dalle spie mandate avanti a bello studio dall'Arnold, che molto la magnificavano. Al nome d'Arnold, e nella tempera, in cui già si trovavano, se si sgomentassero, nissuno il domandi. Sopraggiunse loro addosso quell'altra novella, forse per l'affare di Bennington, che Burgoyne con tutto l'esercito era stato tagliato a pezzi. Non istettero più a soprastare. Si levarono a rotta per andarsene. S'affaticarono Saint-Leger e Johnson molto per incoraggiarli e trattenergli, ora dicendo, che gli avrebbero condotti eglino stessi alla battaglia in compagnia delle migliori genti loro; che scegliessero essi medesimi il luogo del combattere; che ordinassero le mosse, come meglio piacesse e paresse loro. In ultimo chiamò Saint-Leger a parlamento i Capi loro, sperando che per l'autorità di questi, e per quella di Johnson, del Claws, e del Butler soprantendenti alle cose indiane da parte del Re, si sarebbero potuti trattenere. Ma mentre deliberavano, gli altri sbiettavano. Pochi rimasero, e minacciavan di peggio, se non si levava il campo. Dovettero gl'Inglesi cedere alla fortuna. Il dì 22 agosto levarono l'assedio, ritirandosi verso il lago Oneida. Le tende, le munizioni, le artiglierie vennero in poter della guernigione, la quale uscita dal Forte diè loro alla coda con grave danno. Ma maggior pericolo sovrastava loro da parte dei feroci alleati, che non da quella de' repubblicani. Mettevano gl'Indiani durante la ritirata, o per me' dire la fuga, a bottino le provvisioni dell'esercito e le robe dei soldati e degli uffiziali. Nè contenti a questo scannavano colle proprie baionette gli sbrancati. Non si potrebbe con degne parole descrivere la miserabilità di questa rotta, il danno, lo squallore e lo spavento delle genti regie. Arrivarono finalmente sul lago, dove trovarono conforto e riposo. Saint-Leger se ne tornò a Monreale, e poscia a Ticonderoga per andarsi a congiungere con Burgoyne. Arnold arrivò al Forte due dì dopo, che era stato sciolto l'assedio. Quivi gli abbracciamenti e le allegrezze per la ricuperata libertà, e per l'ottenuta vittoria furon senza fine tra i soldati del presidio e quei del soccorso.
Pei fatti di Bennington e del Forte Schuyler parve, che la fortuna cominciasse a risguardare con lieto occhio le cose dell'America; e siccome riuscirono inaspettati ai repubblicani, poichè in tutto il corso di questa guerra canadese, dopo l'infelice morte di Mongommery, nulla, che male non fosse, era loro accaduto, così diedero loro molto animo, e da impauriti e sfiducciati ch'erano, diventarono baldanzosi e confidentissimi. Gl'Inglesi per lo contrario ne ricevettero grandissima perturbazione, e molto rimettettero di quella speranza e di quell'ardire, che ai primi favorevoli riguardi della fortuna concetti avevano. Quindi cambiossi affatto l'aspetto delle cose; e quell'esercito, ch'era stato cagione di terrore ai repubblicani, pareva ora a questi che avesse frappoco a diventare preda alle genti loro. L'affare di Bennington specialmente aveva spirato grandissima fiducia in sè stesse alle bande paesane; poichè non solo avevano combattuto, ma sbaragliato e vinto le genti ordinate del Re, o inglesi, o tedesche che si fossero. Quindi non si tenevano da meno che i reggimenti d'ordinanza; e questi dal canto loro, per non iscomparire, ogni diligenza ed ogni maggiore sforzo facevano per mantenere la opinione dell'antica superiorità sopra le milizie. Venuta poi meno a Burgoyne la speranza di poter ottenere le vettovaglie di Bennington, di nuovo si trovava per la carestia in grandissime difficoltà. Ma i prosperi successi avuti dagli Americani sotto le mura del Forte Schuyler, oltre l'aver inanimato le milizie, aveva anche questo altro effetto operato, che liberati dal timore di un'invasione, nel paese de' Moacchi, potettero tutte le forze loro raccorre sulle rive dell'Hudson contro l'esercito di Burgoyne. Quindi era, che i popoli si levavano a romore in tutta la contrada, e, prese le armi, correvano al campo. A ciò eziandio dava occasione l'essere a quei dì terminate le bisogne delle messi, e d'incentivo l'esser arrivato all'esercito il generale Gates, perchè ne pigliasse in luogo di Schuyler il governo. Era Gates salito presso gli Americani a grandissima stima e riputazione, ed il nome suo era cagione, che gli animi loro s'innalzassero a maggiori speranze. Era egli stato tratto dal congresso a generale dell'esercito del Nort nella tornata dei 4 agosto, mentre le cose si ritrovavano in grandissima declinazione. Ma non era arrivato a Still-water, che ai ventuno. Seppe Schuyler per tempo, che gli era mandato lo scambio. Tuttavia da quel buon cittadino ch'egli era, aveva continuato sino all'arrivo di Gates ad usare ogni ingegno per ristorare i danni. Già, come veduto abbiamo, aveva fatto grandissimo frutto, ed inclinava la vittoria a favor suo. Si dolse molto amaramente con Washington, che gli fosse interrotto il corso della fortuna, e che altri avesse a côrre il frutto delle sue fatiche, quella vittoria godendosi, alla quale egli aveva preparata la via. Ma volle il congresso mandare ad un esercito perdente un capitano vittorioso. Inoltre non gli era nascoso, che, se Schuyler era grato ai Jorchesi, era però molto in disdetta dei Massacciuttesi, e degli altri uomini della Nuova-Inghilterra. Il che impediva grandemente, che le genti corressero, con quella alacrità che si desiderava, ad ingrossar l'esercito settentrionale, il quale si trovava allora accampato nelle isole poste là, dove il fiume Moacco mette capo nell'Hudson.
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