Edward Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 7

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Spesso la superstizione ha formato, e consacrato i capricciosi abiti de' Monaci 40 40 Cassiano ha descritto semplicemente, quantunque con diffusione, l'abito monastico dell'Egitto ( Istit. l. I ) a cui Sozomeno ( l. III, c. 14 ) attribuisce qualche allegorico senso, e virtù. : ma talvolta l'apparente loro singolarità nasce anche dall'uniforme attaccamento, che hanno ad una semplice o primitiva maniera di vestire, che le rivoluzioni della moda hanno poi resa ridicola agli occhi degli uomini. Il Padre de' Benedettini espressamente disapprova qualunque idea di particolarità, o distinzione, e sobriamente esorta i suoi discepoli ad abbracciare l'abito comune e proprio de' luoghi dove si trovano 41 41 Regul. Bened. n. 55, in Cod. Regularum Part. 2. p. 51. . Le vesti monastiche degli antichi variavano col clima, e con la loro maniera di vivere; e prendevano coll'istessa indifferenza la pelle di pecora de' contadini Egizi, o il pallio de' Filosofi greci. Facevan uso del lino in Egitto, dove si lavorava comunemente, ed a poco prezzo: ma in Occidente rigettavano questo capo dispendioso di lusso forestiero 42 42 Vedi la regola di Ferreolo Vescovo d'Uzés ( m. 31. in Cod. Regul. p. 2. p. 136 ), e d'Isidoro, Vescovo di Siviglia (n. 33. in Cod. Regul. p. 2. p. 214 ). . I Monaci avevano il costume di tagliarsi, o di radersi i capelli, nascondevano il capo in un cappuccio, per evitare la vista degli oggetti profani; andavano con le gambe e co' piedi nudi, eccettuato il tempo dell'estremo freddo dell'inverno; ed i loro lenti e deboli passi erano sostenuti da un lungo bastone. L'aspetto d'un vero anacoreta era orrido e disgustoso: ogni sensazione dispiacevole all'uomo, si credeva gradita a Dio; e l'angelica regola di Tabenna condannava il salutevol costume di bagnarsi le membra nell'acqua, o d'ungerle con olio 43 43 Si dava qualche particolar permissione per le mani e per i piedi: Totum autem corpus nemo unguet, nisi causa infirmitatis, nec lavabitur aqua nudo corpore nisi languor perspicuus sit . ( Regul. Pachom. 92. Part. 1. p. 78 ). . Gli austeri Monaci dormivano sulla terra sopra una dura stoia, o su rozzi panni; e l'istesso fascio di foglie di palma serviva loro per sedere il giorno, e di capezzale la notte. Le prime lor celle erano basse ed anguste capanne formate de' più tenui materiali che, mediante una regolar distribuzione di strade, facevano un grosso e popolato villaggio, il quale nel comune recinto conteneva una Chiesa, uno spedale, talvolta una libreria, alcune manifatture necessarie, un giardino ed una fontana, o conserva d'acqua fresca. Trenta, o quaranta fratelli componevano una famiglia, nel vitto e nella disciplina separata dalle altre, ed i grandi Monasteri dell'Egitto eran composti di trenta, o quaranta famiglie.

Nel linguaggio de' Monaci, piacere e delitto eran termini sinonimi, ed essi avevan conosciuto per esperienza, che i rigorosi digiuni, e l'astinenza nel cibo sono i più efficaci preservativi contro i desiderj impuri della carne 44 44 S. Girolamo esprime con forti ma indiscrete frasi l'uso più importante del digiuno, e dell'astinenza: Non quod Deus universitatis creator et Dominus, intestinorum nostrorum rugitu, et inanitate ventris, pulmonisque ardore delectetur, sed quod aliter pudicitia tuta esse non possit . ( Oper. Tom. I. pag. 137. ad Eustoch .). Vedi le collezioni 12, e 22. di Cassiano de castitate, e de illusionibus nocturnis . . Le regole d'astinenza, ch'essi stabilirono o praticarono, non erano uniformi, o perpetue; la lieta solennità della Pentecoste veniva bilanciata dalla straordinaria mortificazione della Quaresima; il fervore de' nuovi monasteri appoco appoco s'andò rilassando, ed il vorace appetito de' Galli non poteva imitare la paziente e temperata virtù degli Egizi 45 45 Edacitas in Graecis gula est, in Gallis natura . ( Dialog. I. c. 4. pag 521 ). Cassiano chiaramente confessa, che non si può imitare nella Gallia la perfetta norma dell'astinenza, per causa dell' aerum temperies, e qualitas nostrae fragilitatis ( Inst. 4. 11 ). Fra le regole occidentali, quella di Colombano è la più austera; egli era stato educato in mezzo alla povertà dell'Irlanda, forse tanto rigida ed inflessibile, quanto l'astinente virtù dell'Egitto. La regola d'Isidoro di Siviglia è la più dolce: nelle feste concede l'uso della carne. . I discepoli d'Antonio, e di Pacomio eran contenti della lor giornaliera porzione 46 46 «Quelli, che bevono solamente acqua, e non hanno liquore nutritivo, dovrebbero avere almeno una libbra e mezza ( 24 once ) di pane il giorno» Stat. delle Carceri p. 40 . di Howard. di dodici once di pane, o piuttosto di biscotto 47 47 Vedi Cassiano Collat. l. II. 19, 20, 21 . Ai piccoli pani, o biscotti di sei once l'uno, si diede il nome di Paximacia (Roswayde Onomastic. pag. 1045 ), Pacomio però concesse a' suoi Monaci qualche estensione nella quantità del loro cibo; ma gli faceva lavorare in proporzione di quello che mangiavano (Pallad. in hist. Lausiac. c. 38, 39. in vit. Patr. l. VIII. p. 736. etc. ). , ch'essi dividevano ne' due frugali pasti del mezzogiorno, e della sera. Stimavasi un merito, e quasi un dovere, l'astenersi da' vegetabili cotti, che si davano al refettorio, ma la straordinaria bontà dell'Abbate alle volte accordava loro il lusso del formaggio, delle frutte, della insalata, e di piccoli pesci secchi del Nilo 48 48 Vedasi il banchetto, a cui fu invitato Cassiano ( Collat. VIII. 1 ) da Sereno, Abbate Egiziano. . A grado a grado s'accordò, o si prese una maggior porzione di pesce di mare e di fiume: ma l'uso della carne fu per lungo tempo ristretto agli ammalati, ed a' viaggiatori; e quando questo appoco appoco prevalse nei Monasteri meno rigorosi d'Europa, vi s'introdusse una singolar distinzione, come se gli uccelli, o salvatici o domestici, fossero stati meno profani de' grossi animali de' campi. L'acqua era la pura ed innocente bevanda de' primitivi Monaci; ed il fondatore de' Benedettini disapprova la quotidiana porzione di mezza pinta di vino, che l'intemperanza del secolo 49 49 Vedi la regola di S. Benedetto n. 39, 40. ( in Cod. Regul. P. II. pag. 41, 42 ). Licet legamus vinum omnino Monachorum non esse, sed quia nostris temporibus id Monachis persuaderi non potest ; egli concede loro un'hemina romana, misura che si può determinare per mezzo delle Tavole dell'Arbuthnot. l'aveva costretto a permettere. Le vigne d'Italia potevano facilmente somministrare tal misura; ed i suoi vittoriosi discepoli, che passarono le Alpi, il Reno, ed il Baltico, richiesero, in luogo del vino, un'adequata compensazione di birra, o di sidro.

Il candidato, che aspirava alla virtù della povertà Evangelica, si spogliava, nel primo suo ingresso in una comunità regolare, dell'idea e fino del nome di ogni esclusivo o separato possesso 50 50 Tali espressioni, come il mio libro, la mia veste, le mie scarpe (Cassiano Instit. l. IV. c. 13 ) erano proibite fra Monaci occidentali, con severità non minore, che fra gli orientali; ( Cod. Regul. P. II. p. 174, 235, 288 ), e la Regola di Colombano li puniva con sei colpi di disciplina. L'ironico Autore dell'opera intitolata Ordres Monastiques , che pone in ridicolo la folle scrupolosità de' conventi moderni, sembra, che non sappia, che gli antichi erano ugualmente assurdi. . I fratelli si sostentavano per mezzo del lavoro delle proprie mani, ed il dovere di lavorare veniva caldamente raccomandato come una penitenza, come un esercizio, e come il mezzo più lodevole di procurarsi la quotidiana lor sussistenza 51 51 Due gran Maestri della scienza ecclesiastica, il P. Tommassino ( Discipl. de l'Eglis. Tom. III. p. 1090, 1139 ) ed il P. Mabillon ( Etudes Monastiq. Tom. I. p. 116, 155 ) hanno seriamente esaminato il lavoro manuale dei Monaci, che il primo risguarda come un merito, ed il secondo come un dovere . . Venivano diligentemente coltivati dalle lor mani i giardini ed i campi, che l'industria loro spesse volte avea tratto dalle foreste e dalle paludi. Essi facevano, senza ripugnanza, i più bassi ufizi di schiavi e di domestici; e si esercitavano dentro i recinti de' grandi Monasteri le varie arti ch'erano necessarie a provvederli di abiti, di utensili e di abitazioni. Gli studi monastici, per la maggior parte, son serviti ad accrescere, piuttosto che a dissipar la caligine della superstizione. Pure la curiosità, o lo zelo di alcuni eruditi solitari ha coltivato le scienze ecclesiastiche ed anche le profane: e la posterità dee riconoscer con gratitudine, che le loro instancabili penne, ci hanno conservato e moltiplicato i monumenti della Greca e Romana Letteratura 52 52 Il Mabillon ( Erud. Monast. Tom. I. pag. 47, 55 ) ha raccolto molti curiosi fatti per provare i lavori letterari de' suoi predecessori, sì in Oriente, che in Occidente. Si copiavano libri negli antichi Monasteri d'Egitto (Cassiano Instit. l. IV c. 12 ), e da' Discepoli di S. Martino ( Sulp. Sever. in vit. Martin. c. 7. p. 473 ). Cassiodoro ha dato gran materia per gli studi de' Monaci: e noi non ci scandalizzeremo, se la loro penna talvolta da Grisostomo ed Agostino, passò ad Omero e Virgilio. . Ma la più umile industria de' Monaci, specialmente d'Egitto, si contentava della tacita e sedentaria occupazione di fare de' sandali di legno, o d'intrecciare foglie di palme per farne stoie e panieri. Il lavoro superfluo, che non s'impiegava nell'uso domestico, serviva, mediante il commercio, a supplire a' bisogni della Comunità: i barchetti di Tabenna e degli altri monasteri della Tebaide, discendevano pel Nilo fino ad Alessandria; ed in un mercato cristiano, la santità degli artefici poteva dare un pregio maggiore all'intrinseco valore dell'opere.

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