Antonio Ghislanzoni - Racconti e novelle
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– Basta!.. basta!.. con comodo… uno alla volta!.. troppa felicità!.. – interruppi io, accelerando il passo colla mia donna sul braccio. A queste frasi concitate e convulse tenne dietro un mostruoso silenzio. Da quel momento io mi sentii accalappiato. Io comprendeva che quel mio adultero amore non poteva avere altra soluzione fuorchè… il matrimonio. Infatti, noi attraversammo la città come due consorti legittimi; io mi lasciai condurre alla casa della giovane donna, strinsi conoscenza colla zia, dichiarai ad essa le mie buone intenzioni… e di là a quattro mesi divenni il consorte legittimo della signora Amalia Ferrarini maestra di prima classe alle scuole di Bassano Porrone!
Autobiografia di un ex-cantante
Or fanno trentadue anni, io era il più bel ragazzo della Valassina. Al paese mi chiamavano il Pirletta , perchè nei balli non v'era alcuno che mi vincesse. Mio padre era fattore del conte Bavoso, e poteva, nella sua condizione, chiamarsi un uomo agiato.
All'età di diciotto anni, l'organista del paese, sentendomi cantare le litanie, scoperse che io aveva una bellissima voce di tenore – una di quelle voci – diceva egli – che possono rendere in un anno da cento a duecentomila franchi.
Una tale scoperta, riferita a mio padre, non destò in lui veruna emozione; ma un giorno, mentre io stava nel giardino ripiantando dei cavoli e cantando alla distesa un'aria paesana, la contessa Bavoso si fermò estatica ad ascoltarmi.
La contessa era maniaca per la musica, e suonava il pianoforte come sanno suonare le contesse. Quando ebbi finito di ripiantare i miei cavoli, sentii chiamarmi a nome.
– Pirletta – mi disse la contessa – l'organista non mi ha ingannata – tu possiedi realmente una voce delle più rare… Tutto sta che alla voce si accoppino le altre disposizioni indispensabili a ben riuscire nell'arte: Quanto alla figura (e mi squadrava dal capo al piede attraverso l'occhialino) non c'è malaccio; ma ho timore che tu manchi di orecchio…
Portai ingenuamente le mani alle orecchie – la contessa sorrise, e, avviandosi verso la villa, mi invitò gentilmente a seguirla, chiamandomi non so ben quante volte imbecille.
Entrati nella gran sala, la contessa Bavoso andò a sedere al pianoforte. «Vediamo, mi disse, fin dove sai montare…»
Io non osava avanzarmi. La contessa si diede a percuotere il cembalo, e, dopo avermi raccomandato di spalancare per bene la bocca, mi invitò a riprodurre colla voce i suoni dei tasti.
Il mio orecchio era perfetto, e la contessa fu talmente sorpresa della mia intonazione, che volgendosi al conte, il quale era entrato nel salotto in sul finire dell'esperimento: «Sarebbe un peccato, gli disse, che tanto tesoro andasse perduto!» Bisogna assolutamente che questo ragazzo si dedichi al canto – e noi penseremo a farlo entrare nel Conservatorio.
Figuratevi la mia meraviglia, la mia gioia! Riferii a mio padre quanto era accaduto – egli crollò la testa di mal garbo, esclamando: «Purchè ci pensino loro!.. purchè io non abbia a sborsare un quattrino!» E quando seppe di là a pochi giorni, che il conte e la contessa si incaricavano di farmi istruire a loro spese, il buon uomo lasciò fare. Dopo tutto, egli avrebbe preferito che io fossi rimasto al paese a dirigere l'allevamento dei bigatti e la fabbricazione dei formaggini.
Io era al colmo della felicità. L'idea di recarmi a Milano, rivestito e ripulito, a fare la mia bella figura di zerbinotto elegante – la speranza di potere, nello spazio di pochi anni, realizzare una bella fortuna, e tornando al paese, acquistare delle possessioni, fabbricarmi un palazzo e menare splendida vita; tutto ciò mi esaltava lo spirito a tal segno, che io correva l'aperta campagna, misurava coll'occhio le terre coltive, sceglieva le posizioni più acconcie per edificarvi i miei castelli – cantava, gesticolava tutto il giorno, pregustando colla mia imaginazione di diciotto anni tutte le voluttà di un avvenire dorato.
E davvero c'era in me la vocazione, c'era la stoffa dell'artista. Vi basti il sapere che già da due anni io era innamorato. Fra le cameriere della contessa Bavoso c'era una brunetta chiamata la Savina, una strega di bellezza e di furberia. Era nata al paese, e da fanciulli avevamo giuocato insieme a gatta cieca , al dammelo e prendilo , al fuori e dentro e ad altri sollazzi innocenti. Ma dopo un anno passato a Milano al servizio della contessa, aveste veduto che arie da gran dama! Quand'ella tornava alla villa, nei due mesi dell'autunno, ci guardava tutti con un fare da sultana come volesse dire: ve' là questi zotici… questi bifolchi!.. Appena degnava rispondere al mio saluto; ed essendomi una volta arrischiato ad offrirle un mazzetto di garofani, mi volse la schiena esclamando: «Levati dalle mani quei guanti di letame se vuoi che le signore accettino i tuoi fiori!»
Orbene: non appena si sparse la nuova che il conte e la contessa Bavoso si erano incaricati di condurmi a Milano per farmi educare nella musica, la Savina mutò improvvisamente di modi a mio riguardo. Una mattina, mentre tutti dormivano ed io era disceso nell'orto a fantasticare sul mio brillante avvenire, quella strega mi venne incontro tutta bella e sorridente per congratularsi della mia buona fortuna. – Spero che a Milano ci vedremo – diss'ella, frugandomi nell'anima colle sue ladre pupille. Naturalmente, tu verrai a trovare la contessa… e poi… Milano è grande. Tutto sta che una volta divenuto gran signore, ti degni ancora di scambiare un saluto con noi… gente bassa… persone di servizio…
Io mi sentiva una maledetta voglia di saltarle al collo e di rassicurarla energicamente del mio amore e della mia eterna fedeltà. Non osai tanto in quel primo abboccamento; ma le occhiate e le assicurazioni di simpatia ch'io m'ebbi dalla scaltra figliuola posero il colmo alla mia esaltazione.
Nel paese, già tutti mi trattavano con rispetto e devozione. L'organista andava ripetendo che di là a dieci anni sarei tornato milionario. Io gli prometteva che, qualora i suoi pronostici si fossero realizzati, avrei fatto costruire un nuovo organo nella chiesa parrocchiale a tutta mia spesa.
Da molti anni si agitava nel consiglio comunale e nella fabbriceria il progetto di un nuovo e grandioso campanile; si aspettava, per mandare ad effetto quel vasto disegno, che il comune e la fabbriceria adunassero il denaro occorrente. Il Sindaco, uomo di larghe vedute, dopo avermi interpellato sulle mie disposizioni, propose al consiglio di differire l'impresa fino a che io fossi in grado di concorrervi co' miei capitali. I consiglieri, non avendo di meglio a suggerire, riconobbero che il sindaco aveva pienamente ragione, e votarono unanimi il seguente ordine del giorno:
«Noi sottoscritti.
»Considerando che le casse del comune e della fabbriceria sono affatto vuote pel momento; abbiamo deliberato di prorogare per dieci anni la erezione del grandioso campanile già da sei lustri ideato e discusso, nella fiducia che in questo lasso di tempo un nostro illustre e benemerito concittadino, il quale fin d'ora si mostra animato dalle migliori intenzioni a tale riguardo, possa adunare e fornire la somma occorrente acciò il grandioso monumento riesca degno in tutto e per tutto della nostra e della ammirazione dei posteri.»
La notizia di questa deliberazione suscitò delle polemiche tra i villani. I più, affidandosi alle promesse dell'organista e d'altri personaggi autorevoli, si tennero persuasi che di là a dieci anni i loro voti sarebbero esauditi. Altri invece accolsero la notizia con una significante crollatina di capo. «Oh! sta a vedere – dicevano – che sarà lui… proprio lui… a fornirci il denaro pel campanile – il Pirletta!..»
Al primo di novembre, si doveva partire per Milano. Il mio equipaggio era completo. Il conte Bavoso mi aveva ceduti i suoi abiti usati, che ridotti pel mio dosso dal sartore del villaggio, mi andavano a meraviglia Abbracciai mio padre colle lagrime agli occhi: mi congedai pulitamente dal curato, dal sindaco, da tutte le autorità del luogo, e salii fra le acclamazioni dei villani dietro la carrozza della contessa. Imaginate il mio tripudio quando vidi la Savina collocarsi al mio fianco, e pensai che durante un viaggio di otto ore avrei potuto intrattenermi con lei nel più stretto dei colloqui possibili!
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