Antonio Ghislanzoni - Racconti e novelle

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Antonio Ghislanzoni

Racconti e novelle

DEDICA

Poichè piace al mio ottimo amico Edoardo Sonzogno raccogliere in un solo volume e pubblicare queste mie Novelle da tanti anni disperse e vaganti, io profitto della occasione per sciogliere un debito di riconoscenza.

Desidero che i miei contemporanei siano informati, come e qualmente abbia esistito a Milano un esercente di Caffè-restaurant, il quale ad un giovane orribilmente compromesso nella opinione pubblica dalla sua duplice professione di giornalista e di poeta, per oltre un anno diede a credenza il pranzo e la cena, trattandolo con quella lautezza e garbatezza, che ordinariamente vien riserbata ai consumatori milionari. Questo esercente fenomenale si chiama Ferdinando Fumagalli – un vero galantuomo e gentiluomo – già proprietario del Caffè della Accademia, ed ora gerente cointeressato del Caffè Biffi nella Galleria Vittorio Emanuele.

A lui dunque io voglio dedicato il presente volume – a lui, che ravvivando nel 1854 con eccellenti costolette e squisitissimi vini la mia fantasia estenuata da lunghe inedie, fu in certa guisa mio collaboratore e ispiratore.

Questo attestato di pubblica riconoscenza e di cordialissimo affetto, ch'io porgo all'amico Fumagalli, animerà gli esercenti ad aprire, meno ritrosi che nol furono in passato, i loro libri di credito alla classe diseredata dei poeti.

Tutto sta che questi ultimi non si illudano di soverchio, e tengano ben in mente questa circostanza, per me favorevolissima, che il mio sovventore e creditore cortesissimo non era uno svizzero.

A. Ghislanzoni.

Dietro una Valanga

La neve cadeva a larghi fiocchi.

Franz e Joseph salivano il tortuoso sentiero della valle, conversando lietamente come due villeggianti che muovano ad una escursione di piacere in una giornata di bel tempo.

Franz diceva a Joseph:

Fra due ore avremo raggiunto il villaggio. Animo dunque! Siamo prossimi alla meta. Proseguendo di questo passo, prima di mezzodì saremo fra le braccia de' nostri cari. In casa nostra troveremo un buon fuoco, una buona zuppa e una gran festa.

– Sul fuoco, sulla zuppa quasi ci conto anch'io – rispondeva Joseph tristamente – ma un uomo che torna dall'America senza un quattrino nelle tasche, è assai difficile che trovi in famiglia una festosa accoglienza.

– Tu fosti sempre un benedetto figliuolo! Se avessi dato retta a' miei consigli, nei cinque anni che abbiamo passati laggiù, ti saresti indubbiamente arricchito. Non si può dire che la fortuna ti sia stata nemica. Hai guadagnato più di me; e, se oggi, tornando al paese, non hai la consolazione di portare alla tua famiglia un buon portafogli ricolmo di banconote, tu solo ne hai colpa. Per far denaro, ci vuole della economia, ci vogliono delle annegazioni e dei sacrifizi. – Quand'io, or fanno cinque anni, lasciava il villaggio, aveva detto a mio padre: tu presto sarai vecchio, tu hai sposo una parte del tuo patrimonio per darmi una educazione; il paesello non offre risorse – io andrò in America ad esercitarvi la mia professione di medico-chirurgo, e il giorno in cui vi annunzierò per lettera il mio ritorno, voi potrete contare sovra un portafogli ricco di cinquanta mila lire che io stesso verrò a deporre nelle vostre mani, se il buon Dio mi farà la grazia di tornare sano e salvo al paese. – Il portafogli, come tu sai, lo tengo rinchiuso nella mia valigia, e alla somma promessa non manca un quattrino. Per non guastare il mio piccolo patrimonio, io ho perfino ricusato di mangiare una zuppa all'ultimo albergo dove abbiamo passata la notte, mentre tu – sempre uguale a te stesso – hai speso gli ultimi tuoi spiccioli per quattro belle grives che sentivano il ginepro a distanza di tre camere. Ah! il profumo di quei volatili mi tentava atrocemente! Eppure – fedele a miei principî – ho saputo anche stavolta resistere e il mio peculio rimase intatto. In America, segnatamente nei primi anni, io ne ho sofferti dei digiuni! Mentre tu banchettavi spensieratamente colle belle figliuole di Buenos-Ayres, io me ne stava rinchiuso nella mia cameruccia disadorna, a rosicchiarmi, pel mio pranzo, una mezza dozzina di datteri ammuffiti! Ed ecco di qual maniera è avvenuto, che, mentre io riporto al paese un capitale più che sufficiente per assicurarmi una esistenza agiata e tranquilla… tu invece…

– Tu invece! tu invece!.. Queste prediche, mio caro Franz, cominciano a seccarmi… Eppoi – permetti che io te lo dica – non è ancor giunto il momento in cui ti sia lecito menar vanto del tuo sistema. Fatto è che, fino a ieri sera, io ho passato la mia vita più lietamente di te… Tu non hai fatto che soffrire e tiranneggiare i tuoi istinti pel corso di cinque anni – io all'incontro, non ho a dolermi di essermi rifiutato verun comodo o diletto della vita. Se infino ad oggi io fui l'uomo più beato della terra, e tu fosti, per tuo proprio volere, il più travagliato e miserabile, non veggo ragione perchè io debba invidiarti, o perchè tu abbia a menar vanto di esser stato più saggio di me. Quanto all'avvenire… vedremo! In ogni modo, nessuno potrà distruggere questo fatto, che io ho passato assai bene i miei cinque anni di America.

I due amici camminarono alcun tempo in silenzio. Franz con voce pacata riaperse il colloquio.

– È vero… perdona se ti ho fatto de' rimproveri… Alla fine, non è detto che tu sia un uomo rovinato, perchè non hai saputo metter da parte un capitaletto per l'età dei reumatismi e della gotta. Tu sei ancora nel fiore dell'età – hai talento – hai pratica degli affari – e con queste belle doti si può far bene nel paese nostro come altrove.

– E ci conto seriamente.

– Tu hai dunque intenzione di riprendere fra noi il tuo commercio?

– Senza dubbio. Dopo cinque anni di esperienze fatte laggiù, fra quei bravi Americani, io spero bene di saperne tanto da menar a bevere questi piccoli negozianti del cantone che passano per onniveggenti, come i guerci nel paese degli orbi.

– Vuoi permettermi di darti un consiglio?

– Dì, pure.

– Per riuscire perfetto commerciante è necessario che tu badi a correggerti di un grave difetto…

– Sentiamo!

– Tu sei troppo tenero di cuore…

– Come a dire?

– Tu ti lasci, qualche volta, troppo spesso, dominare dal sentimento. Non vi è cosa più rovinosa per un uomo di affari. In presenza della speculazione il fratello, il collega, l'amico debbono sparire… Quando uno agisce nella sfera delle sue attribuzioni commerciali, deve quasi dimenticare di esser uomo. Da questo lato tu hai sempre dato prova di una debolezza imperdonabile. Ti ricorderò un fatto su mille. Allorquando, all'epoca della febbre gialla, per essere fuggiti dalla città quasi tutti i medici; io mi faceva pagare dieci ed anche venti dollari per ogni visita, sicchè in poche settimane io arrotondava la bella somma che oggi riporto al paese; che facevi tu, mio povero Joseph, per usufruttare i benefizi della situazione? A quell'epoca, c'era grande ricerca di Melange e di Fernet – tu ne avevi colmi i magazzini… Animo, dunque! Profitta del buon vento! Rincarisci sul prezzo! In luogo di dieci, domanda cento, duecento franchi per ogni bottiglia… Ed ecco, in meno di un mese, tu hai realizzato un benefizio di centomila franchi. – Ma no! Il mio buon Joseph si lascia vincere dal sentimento… Egli regala agli ospedali qualche migliaio di bottiglie, riduce i prezzi in favore delle classi meno agiate, dona gratis la merce a quanti gliela domandano nella lingua del paese… Infine…

– Infine… doveva io, in mezzo a tanto disastro?..

– E qual'è di grazia la buona operazione commerciale che non abbia per base qualche disastro pubblico o qualche sventura privata?..

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