Antonio Ghislanzoni - Racconti politici

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Antonio Ghislanzoni

Racconti politici

I Volontarii Italiani

INTRODUZIONE

Questo racconto fu scritto durante il preludio di quella epopea che prometteva all'Italia la completa attuazione del programma politico-nazionale.

Fu scritto nelle prime settimane del giugno 1866, allorquando la fiducia era piena e l'entusiasmo senza limite.

Le sorti della guerra si svolsero meno propizie alle armi italiane per una fatalità misteriosa che non osiamo interrogare. Tesori immensi di entusiasmo, di sacrifizio, di fede e di valore andarono sprecati – Ma forse perchè l'esercito italiano non potè vantare le grandi vittorie, perchè Garibaldi e i suoi quarantamila non ottennero di far stupire l'Europa come i Mille di Marsala, dovremo noi disconoscere l'eroismo dei soldati e dei volontari che ebbero a combattere le disastrose battaglie del 1866?

La missione assegnata ai volontari non poteva esser più ardua. Conquistare palmo per palmo le roccie inaccessibili del Tirolo, sfidare i nemici nei loro covi più formidabili, e per giunta logorarsi nei digiuni e nelle veglie assiderate – tali furono le battaglie dei volontari Garibaldini nel 1866.

Ma io non intendo numerare gli episodi gloriosi di quella difficile campagna. La mia trilogia non è che una storia di passioni generose, il preludio fisiologico di tutte le rivoluzioni, di tutte le guerre italiane.

Ho meditato i diversi sentimenti che spinsero l'Italiano a combattere volontariamente le battaglie contro l'Austria. Fra questi, emergono principalissimi il sentimento dell' odio , comune a quanti patirono oltraggi e ingiustizie dal dispotismo straniero – il sentimento elevato del dovere nazionale , che investì le classi più intelligenti e più colte – e da ultimo, nei giovani spiriti, la poesia dell'entusiasmo ispirata da un nobile ardore di gloria, da un indefinibile trasporto verso la vita agitata e avventurosa, dalla emulazione, dal culto di un eroe. – Questi sentimenti io mi sono proposto di tradurre in tre brevi episodii, dei quali ciascuno può fare da sè, mentre formano, riuniti, una specie di trilogia, la quale può a buon diritto intitolarsi: Trilogia dei militi volontari…

È ben vero che ad ingrossare le file dei volontari, concorsero, nel 1866, anche elementi più atti a dissolvere che non a corroborare quel nobile esercito.

Ma di questi non spetta a noi tener conto.

Noi cantiamo al nobili cuori i nobili affetti. – Abbracciando gli eroi ed i martiri, noi dimentichiamo nel loro fango gli insetti ed i rettili che si incontrano dappertutto.

PARTE PRIMA

L'odio

I

C'è un paesetto in Val di Intelvi che si compone di cinque o sei case rustiche. Gli abitanti son tutti contadini, ad eccezione di un prete, il quale non è parroco, non è cappellano, non porta verun titolo che definisca il suo grado nella gerarchia ecclesiastica – è il prete del paese. S'egli non sapesse leggere il breviario e masticare gli oremus della messa, lo si direbbe un bifolco mascherato cogli abiti del sacrista. I suoi grossi scarponi perdono le legaccie, le sue brache non hanno colore. Da otto anni il suo collare consiste in una grossa cinghia di pelle assicurata dietro l'occipite da una fibbia. Egli ereditò quel distintivo pretesco dal suo ultimo cane bracco; un cane che fu ucciso da una palla tedesca nell'autunno del 1848, quando gli austriaci piombarono nella povera valle a esercitarvi le loro feroci rappresaglie. – Quel prete, per la santa memoria del suo bracco, non ha mai cessato di esecrare gli austriaci. Un uomo eccellente – e a mio giudizio – uno dei preti meglio accetti al Signore. Il suo nome è Don Remondo, ma i più lo chiamavano il papa di Val d'Intelvi.

Nel paesetto c'è una piccola osteria – vale a dire una casa rustica, dove si vende del vino, abitata da una famiglia di tre individui: un vecchio di settant'anni, sua moglie, e un ragazzetto di sedici anni circa, biondo di capelli e gracile come una fanciulla. Il vecchio si chiama Gregorio, la moglie Veronica, il ragazzo Ernani. Questo ultimo nome rappresenta il romanticismo dei tempi moderni infiltrato nella prosa patriarcale di quella antica famiglia.

In sul finire dell'aprile 1866, don Remondo entrò nel cortile dell'osteria colla Gazzetta nelle mani – ordinò un quintino Valtellina , e sedette presso un vecchio tavolo a leggere avidamente.

Quando Ernani dopo alcuni minuti venne a servirgli da bere – il prete alzò gli occhi dal foglio, e volgendosi al ragazzo – ci siamo! gli disse – questa volta si fa davvero… La campagna va ad aprirsi, hanno chiamato i contingenti, e dicono che già a quest'ora si vanno ad iscrivere parecchi volontari nell'esercito…

Gli occhi del ragazzo sfavillarono.

– Ah! nell'esercito…! sclamò il vecchio Gregorio, che era entrato nel cortile con un carico enorme di legna sulla testa – nell'esercito!.. Ma là dentro non c'è da far bene per noi… Non sanno che farne dei soldati che hanno passati i sessanta… e meno ancora dei ragazzi che non hanno toccato i sedici anni!

– Aspetta un poco, Gregorio!.. lasciami finire – disse il prete, riprendendo la lettura – lasciami finire ti dico… Vediamo le ultime notizie… i dispacci… le corrispondenze… particolari… Ci scrivono da Berlino… Ci scrivono da Parigi… Ci scrivono da Bruxelles… Ci scrivono da Caprera…

Il prete abbassò la voce, ma cogli occhi divorava le cifre.

– Oh! corpo del sacratissimo… del sacratissimo!.. Sta a vedere che vuol mangiarsele tutte lui le notizie da Caprera… questo bagolone della dottrina !.. Ma non sa, don Remondo, che quando si tratta di papà Garibaldi… di lui… corpo del sacratissimo… sacratissimo…

– Quante bestemmie per nulla! – interruppe il prete senza affettazione. To' vuoi sentire che cosa scrivono da Caprera…? Siamo qui per servirla…! Metti a terra quella legna… che deve pesarti sulla testa… La notizia è buona… anzi eccellente!.. e bisogna che tu ti assesti un poco a tuo comodo per meglio assaporarla… Bravo! così va fatto! Vieni qua: mettiti a sedere… e lascia in pace i santi e la madonna… se vuoi che tutto vada per bene.

Gregorio aveva scaricato a terra il suo enorme fascio di legna – e fattosi dappresso al tavolo, si era posto a cavalcioni di una panca, giungendo le mani sotto il mento, e sporgendo la bocca semiaperta verso il prete.

Don Remondo colla sua voce più solenne lesse quanto segue:

«Ci scrivono da Caprera che il generale Garibaldi gode ottima salute… Egli ha ricevuto una lettera di un alto personaggio che lo ha messo di buon umore. Ad alcuni suoi amici, che sono andati a visitarlo, dichiarò di esser pronto ad assumere il comando dei volontarii al primo scoppiare della guerra. Noi crediamo sapere da ottima fonte che nel Consiglio dei Ministri si è già deciso di chiamare i volontarii e il loro invincibile condottiero non appena le operazioni della leva saranno terminate».

Il prete, finita la lettura, guardò in faccia a Gregorio aspettandosi una eruzione di entusiasmo violento. Ma il vecchio Gregorio pareva impietrito.

Dopo alcuni minuti, il vecchio levò lo sguardo verso sua moglie che era venuta ad ascoltare la lettura dietro le spalle del prete – quell'occhiata pareva una interrogazione.

Poi, con accento misterioso e carezzevole disse ad Ernani:

– Figliuolo, scendi in cantina!.. Cavane un buon litro di quello che piace a don Remondo… Ora comincio a crederci anch'io alla guerra… se si muove lui!.. E bisogna pensarci… bisogna pensarci seriamente: non è vero don Remondo?

E quando il ragazzo fu tanto lontano che non potesse udire:

– Bisogna consigliarci… bisogna deciderci – o io, o tutti e due…

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