Antonio Caccianiga - La famiglia Bonifazio; racconto

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Antonio Caccianiga

La famiglia Bonifazio; racconto

I

Il capitano Bonifazio e il maestro Zecchini erano sempre insieme, ma non andavano mai d'accordo. Il primo era un uomo d'azione e non da ciarle; ligio alla disciplina militare si era abituato ad obbedire ciecamente; il secondo avvezzo alla cattedra voleva sempre ragionare a diritto o a torto, come faceva alla scuola. Egli la pretendeva a filosofo, e amava la discussione; l'altro si schermiva girando la posizione con tattica; come nelle evoluzioni militari.

Ogni giorno alla stessa ora andavano a fare la passeggiata per le strade più remote e tortuose dei campi. Il capitano serio e silenzioso, il maestro col sorriso sarcastico sulle labbra, coll'idea fissa nel principio fondamentale d'una sua particolare filosofia, che soleva riassumere in queste poche parole: – l'uomo è un asino. Egli difendeva questa teoria a spada tratta ad ogni occasione, e colla storia alla mano, cominciando a citare la condotta di Adamo nel paradiso terrestre, e proseguendo coll'esame di tutte le vicende umane, dalla più remota antichità fino ai nostri giorni. – Leggete la storia, egli ripeteva sovente, non troverete che sommissioni di popoli intieri alle violenze d'un solo individuo, o di pochi; non vedrete che guerre, stragi, menzogne, utopie delle quali gli uomini furono vittime. I selvaggi hanno un capo che li comanda; in tutte le antiche nazioni si trova la schiavitù, questa degradazione dello stato umano; e perfino i popoli moderni, i cittadini che si credono liberi, portano sulle spalle un tal peso di obblighi e di tasse, che supera di gran lunga la soma del grano portata dall'asino del mugnaio.

I potenti, i padroni, quelli che mettono il basto e la cavezza agli altri, hanno mandato alla tortura la scienza, hanno arsa sul rogo la ragione, hanno condannata al patibolo la giustizia e la verità. E quegli stessi che si credono superiori e indipendenti dalle potenze della terra sono schiavi delle loro passioni, sono vittime dell'amore e dell'odio, dell'avidità o dell'orgoglio. L'uomo è un asino! nessuno eccettuato, e non vi sarà mai possibile di provarmi il contrario.

Il capitano crollava le spalle, e gli rispondeva in francese: — Mauvaise plaisanterie! … e poi traduceva: – Scherzi senza sugo! e rivolto al maestro gli faceva le osservazioni seguenti:

– Voi avete sempre vissuto in questo villaggio, come un ragno nel buco; io ho girato il mondo a tappe militari, ho vissuto nelle grandi capitali, ho ammirato le meraviglie del genio umano, e la vostra assurda teoria mi fa ridere di compassione.

– Voi mi parlate di eccezioni, le quali non fanno che confermare la regola, gli rispondeva il maestro. L'uomo di genio è tanto raro quanto l'uomo felice. Conoscete la storiella della camicia dell'uomo felice? Si voleva trovare questa camicia, e pagarla a qualunque prezzo. Si andò a cercarla in tutti i paesi della terra, la difficoltà pareva insormontabile, quando finalmente si è trovato l'uomo felice… ma era senza camicia!..

– Voi uscite dall'argomento. Ritorniamo alla vostra assurda teoria. Io non avrei che a snocciolarvi una lunga filza di genii per vedere se avreste il coraggio di trattarli da asini; ma mi basterà citarvene uno solo; – e così dicendo, il capitano Bonifazio si tolse la pipa dalla bocca, si levò il cappello, alzò la testa, e sfolgorando il compagno cogli occhi scintillanti, esclamò imperiosamente: – Ditemi se Napoleone il grande fu un asino?..

Il maestro pareva esitante, il capitano alzò il bastone in atto di minaccia, l'altro ebbe paura di quell'argomento perentorio e rispose in fretta:

– È un'eccezione!.. un'eccezione!

Il capitano si calmò, fecero qualche passo in silenzio, poi il maestro tirandosi alquanto in disparte, soggiunse:

– Napoleone è un'eccezione!.. tuttavia…

– Tuttavia?..

– Ma sì, tuttavia, dopo d'aver conquistata quasi intieramente l'Europa, ha tutto perduto, ed è andato a morire prigioniero, sopra uno scoglio in mezzo dell'oceano!

La bomba era slanciata, e andò a colpire la lingua del capitano che restò morta sul colpo. Per salvare il resto dovette raccogliere tutte le sue forze disperse, e quel giorno non parlarono più della teoria prediletta del maestro.

Il capitano Bonifazio aveva militato sotto Napoleone, ed era uno dei pochi reduci della catastrofe della Beresina. Testimonio dell'eroismo degli Italiani nelle guerre del primo regno d'Italia non poteva rassegnarsi alla dominazione austriaca, e viveva ritirato in campagna, per non vedere i Tedeschi, ed anche per incontrare il meno che fosse possibile i suoi compatriotti che disprezzava per la pecoraggine colla quale subivano il giogo straniero.

Il maestro Zecchini era figlio d'un ricco signore, il quale dopo di aver consumato quasi tutto l'avito censo, era morto lasciandolo povero, e con una educazione incompleta, per cui fu costretto di fare il maestro comunale per vivere. Dallo sfacello della sostanza paterna si era salvata una fattoria, con pochi campi annessi, che divennero il domicilio stabile del maestro, della cui modica rendita viveva, colla giunta d'un misero stipendio.

Il capitano aveva ereditato dalla sua famiglia parecchie buone terre ed una bella villa signorile, nello stesso villaggio del maestro, vicino a Treviso, nella pianura lodata fino dai tempi antichi che ha per orizzonte le cime nevose delle Alpi, e una verde cintura di colline sparse di castelli, d'abazie a di villaggi.

Erano diventati entrambi agricoltori per forza; uno avrebbe preferito il mestiere delle armi l'altro i piaceri della città, ma i casi della vita li avevano costretti a rinunziare ai loro gusti e a ritirarsi in campagna. L'amore dei campi venne più tardi, dopo la lunga consuetudine, dopo le attrattive della natura e la necessità del lavoro. Il suolo coltivato attira il coltivatore il quale vi si fissa, come l'albero colle radici.

Il capitano visse i primi anni nella solitudine; dopo lo sbalordimento delle guerre napoleoniche, dopo le prove ardimentose de' suoi commilitoni, dopo i gloriosi fatti d'armi che onorarono gl'Italiani in varie parti d'Europa, egli si trovava sorpreso ed umiliato di dover sopportare la dipendenza d'un popolo che giudicava inferiore, per meriti militari e civili, ai suoi compatriotti; ridotti in schiavitù da trattati diplomatici, non contratti da essi anzi contrari alla loro volontà, e pur troppo tollerati, con colpevole indifferenza ed inerzia nei momenti decisivi.

L'antica repubblica veneta degenerata nel lungo ozio e nella vita molle e gaudente, aveva lasciato i caratteri fiacchi, e dopo le rapide prove dei vari governi succeduti al suo dominio, i nobili e i preti preferivano l'Austria: il grosso della popolazione restava indifferente, mancava d'educazione politica e di energia. I pochi avanzi degli eserciti napoleonici sentivano troppo tardi il dolore della patria perduta, ed il bisogno dell'indipendenza nazionale.

Il governo austriaco entrato come liberatore, si era fissato stabilmente, passando dalle promesse alle minaccie, perseguitando e condannando come un delitto di Stato l'amore di patria, ispirato dalla natura e dalla storia.

Agli ufficiali delle guerre europee, lasciati in disparte, non rimaneva altro partito che quello di consolarsi della schiavitù colla memoria dei fatti compiuti, e colla lontana speranza di ritornare in campo, a tempo propizio.

Erano rari superstiti di grandi avventure, ma bastavano a tener viva la scintilla del patriottismo, a spargere le idee, ad apparecchiare le forze necessarie a rivendicare i diritti conculcati della patria. E intanto raccontavano quella storia di rapide e meravigliose conquiste, così precipitosamente perdute, e ne raccoglievano le immagini con religiosa devozione.

Tutte le pareti della casa del capitano Bonifazio, erano ornate di gloriosi ricordi. Statue, busti, ritratti di Napoleone, in tutti i costumi, dal costume adamitico scolpito da Canova, fino a quello col manto e la corona; ce n'erano a piedi, a cavallo, e sul trono. Ma la preferita era la statuetta di gesso, colla semplice divisa dei cacciatori della guardia, col piccolo cappello senza galloni, cogli stivali alla scudiera, le braccia incrociate sul petto, in atto d'osservazione.

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