Antonio Ghislanzoni - Racconti e novelle

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Difficile mi sarebbe esprimere ciò che io provai, all'avvicinarsi della catastrofe. Il mio turbamento era tale, che io non poteva a meno di chiedere a me stesso, se qualche cosa di somigliante all'amore si fosse impossessato di me. Nel mirare la gioia del bell'Arturo, nell'udire le sue esclamazioni grottesche, io sentiva uno spasimo non mai provato.

Io non poteva darmi pace all'idea che quello stupido animale fosse predestinato al possesso di una donna, ch'egli più volte mi aveva dipinta quale un angelo di bellezza e che io, attraverso le grazie seducenti del suo epistolario, aveva tanto ammirata. Io cominciai a sentire il rimorso della mia complicità. Il desiderio di impedire quel colloquio pareva a me suggerito dagli impulsi della gelosia. – Era io dunque innamorato? Questa domanda mi affannava e mi irritava. E quando io mi studiava di volgerla in celia, sentiva che i miei sforzi erano vani. Che non avrei tentato per mandare a vuoto quell'abboccamento, per rompere le fila di una trama da cui potevano derivare mille calamità ad una donna tanto simpatica per elevatezza di spirito e squisitezza di sentimento? Essendo in mio potere il salvarla, mi pareva di commettere un delitto assistendo con tanta indifferenza al pericolo che io vedeva sovrastarle, e cooperando io stesso alla sua perdizione.

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Tali presso a poco erano i miei pensieri nei due giorni che precedettero l'abboccamento. E forse io avrei subito ceduto alla tentazione di giuocare un mal tiro all'amico, se non mi fosse balenata alla mente la speranza che quel colloquio potesse riuscirgli fatale.

– Come mai, pensava io, potrà ella, una donna di animo sì delicato e sensibile, una donna sì colta e gentile, non avvedersi, al primo ricambio di parole, d'aver a fare con un bruto? Ed io mi figurava lo stupore di lei nello intendere le frasi sconnesse, le gagliofferie, gli idiotismi di quel melenso adoratore, il quale nelle sue lettere si era mostrato (perdonate la modestia) così poetico e commovente. Non era a prevedersi che l'incanto sarebbe sparito? che l'ardore suscitato dalla mia eloquenza si sarebbe spento alle prime parole profferite da colui?.. che colpita di sorpresa e di stupore, la signora avrebbe scandagliato d'uno sguardo intelligente e profondo la fisonomia del suo adoratore, e sotto la epidermide del gentiluomo discoperto il cretino?..

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Le mie previsioni quasi in tutto si avverarono. Due giorni dopo quell'abboccamento, il Della Valle ricevette della signora una lettera dalla quale io potei scorgere un regresso di passione. Ella tornava da capo a parlare di sacri doveri, di rimorsi, di pentimenti, di pericoli. Si mostrava risoluta nel proposito di non accondiscendere più mai ad un convegno che avrebbe potuto comprometterla in faccia al mondo ed al marito, precipitarla in un abisso di sventure. Nuovamente implorava le armi a combattere una passione che poteva trascinarla alla colpa. «Vediamoci da lontano, diceva ella; parliamoci a mezzo dello scritto, dove il sentimento suole purificarsi e poetizarsi in una forma di linguaggio più castigata e più adorna. Vuoi che io ti dica tutto l'animo mio? Stringendo la tua mano, respirando la tua parola, ho sentito d'aver a fare con un uomo, leggendo le tue lettere io gustava l'ineffabile illusione di essere amata da un angelo.»

– Che razza di discorsi hai tu rivolti a quella povera signora? domandai al mio ebete cliente, con piglio fra il brusco ed il faceto.

– A dire la verità non saprei nemmen io… siccome per via della via … e siccome per venir presto al comprendonio … parendomi che anche lei, ecc., ecc.

– Capisco, capisco… Se questo fu il tuo modo di esprimerti, immagino che il colloquio non sarà andato per le lunghe…

E l'altro, vedendomi ridere, mi guardava e rideva a sua volta, colla espressione più franca dell'imbecille.

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La lettera della signora, soprattutto quelle adorabili parole — io poteva illudermi di essere amata da un angelo – mi infiammarono la fantasia. Mi pareva che i raggi di quell'amore, deviando dal punto a cui erano diretti, anelassero ad una meta ignorata; che mentre, per effetto di una strana illusione ottica, quella donna credeva di amare il signor Arturo Della-Valle, il di lei cuore fosse invece attratto verso un altro ideale, verso colui che sapeva parlarle il linguaggio del sentimento e della poesia.

– Bisogna che io conosca… che io veda questa donna! Tale fu il pensiero che mi spinse a riprendere l'epistolario, e ad impetrare un secondo abboccamento.

E questo pensiero mascherava una determinazione colpevole, indegna, lo confesso, di un uomo leale, ma che allora, sotto gli impulsi della passione, mi pareva onestissima. Io era determinato a presentarmi in luogo di Arturo a quella donna, e rivelandole il vero autore delle lettere che tanto l'avevano impressionata e ammaliata, domandarle… Che cosa?.. Io stesso lo ignorava… In quella crisi di eccitamento appassionato, io non poteva prevedere lo scioglimento del dramma… Ma quand'anche la catastrofe non mi avesse promesso altro risultato fuor quello di troncare un equivoco mostruoso, di risparmiare ad una bella e amabile donna la vergogna di soccombere ad un fatuo, io non avrei indietreggiato nell'impresa.

La mia mente era in preda alla esaltazione; io non vedeva ciò che vi era di indelicato e di sleale nel mio modo di agire. Mi posi dunque all'opera con ardore – meditai per bene il mio piano strategico, e senza preoccuparmi dell'avvenire, corsi direttamente alla mia meta.

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La corrispondenza epistolare fu ripresa alacremente, ed io perorai tanto bene per ottenere un secondo abboccamento, che dopo lo scambio di una decina di lettere, la signora accondiscese. Il luogo fissato pel ritrovo fu una stradicciuola nelle vicinanze del Conservatorio di musica, dove a certe ore del giorno non si incontra anima viva. La situazione era stata scelta da me, ed era quella che meglio si addiceva alla effettuazione del mio piano strategico. Io mi era prefisso di collocarmi sovra un'altura del bastione, dalla quale avrei potuto spiare le mosse dei due innamorati. Al momento della separazione, come avviene sempre in tali casi, i due amanti si sarebbero allontanati per opposto cammino. – Dalle alture, ove io contava stabilire il mio quartiere di osservazione, nulla più facile che piombare improvvisamente alle spalle della signora, seguirla, investirla, agguantarla… e, profittando della sua sorpresa, del suo turbamento, indurla, buono o malgrado, a porgermi orecchio. Voi sapete quanto io fossi sventato a quell'epoca, e con quale spensieratezza io corressi alle avventure di amore. Felici tempi della irriflessione e degli improvvidi ardimenti! Non vi scandolezzate, o miei ottimi amici, se mi permetto di rimpiangere quelle deliziose follie. Il matrimonio ci ha tramutati – noi apparteniamo oggimai alla classe rispettabile degli uomini morali, degli uomini di polso – noi occupiamo ciò che suol chiamarsi una posizione sociale , e il mondo, che prima del nostro matrimonio ci guardava con diffidenza e disprezzo, oggi comincia ad accordarci la sua stima, ad accoglierci con rispetto e venerazione… Ma pure, se in un lucido intervallo di antica gaiezza, noi gettiamo uno sguardo al passato per raffrontarlo al presente, difficilmente riusciamo a comprimere un sospiro all'indirizzo degli anni vissuti. Chi ci ridona la sventatezza dei nostri anni giovanili? Il mondo ci chiamava scapestrati, vagabondi, gente da nulla… E infatti, noi commettevamo, ridendo, piangendo qualche volta, delle enormi follie, riprovate dalle leggi e dalla sana morale … È vero – la nostra condotta non era regolare; confessiamolo francamente, non era sempre onestissima… Ma i nostri peccati erano frutto di quella santa inscienza del bene e del male, che costituiva, nel paradiso terrestre, la felicità dei nostri primi parenti – peccati che non lasciano rimorsi nè dolori, e la cui ricordanza, anche al presente, non può destarci nell'anima veruna amarezza, quando non la accompagni il rammarico di qualche omissione…

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