Mikhail Bulgakov - Il Maestro e Margherita

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— No! — rispose Nikanor Ivanovič con voce terribile. Lo hanno messo lí i miei nemici!

— Capita, — acconsentí il primo, e aggiunse con la stessa dolcezza: — Be’, bisogna consegnare gli altri.

— Non ne ho! Giuro davanti a Dio che non ne ho mai avuti! — gridò disperato il presidente.

Si gettò verso il comò aprí con fracasso un cassetto, e ne estrasse la cartella, gridando frasi sconnesse:

— Ecco il contratto… quel verme di interprete mi ha rifilato… Korov’ev… con gli occhiali a molla…

Aprí la cartella, vi guardò dentro, vi infilò la mano, illividí e lasciò cadere la cartella nella minestra. Non c’era niente: né la lettera di Stepa, né il contratto, né il passaporto dello straniero, né il denaro, né il biglietto di favore. Insomma niente, tranne il metro pieghevole.

— Compagni! — urlò frenetico il presidente. — Pigliateli! In questa casa c’è lo spirito maligno!

Qui non si sa che cosa saltasse in testa a Pelageja Antonovna fatto sta che, alzando le braccia al cielo, esclamò:

— Confessa, Ivanyc! Ti ridurranno la pena!

Con gli occhi iniettati di sangue, Nikanor Ivanovič alzò i pugni sulla testa della moglie, rantolando:

— Oh, cretina maledetta!

Poi le forze gli mancarono, e si sedette, avendo evidentemente deciso di rassegnarsi all’inevitabile.

In quel frattempo, Timofej Kondrat’evič Kvascov, sul pianerottolo, appoggiava ora l’occhio ora l’orecchio al buco della serratura della porta del presidente, struggendosi di curiosità.

Cinque minuti dopo, gli inquilini della casa che si trovavano in cortile, videro il presidente dirigersi difilato verso il portone, accompagnato da due persone. Dicevano che Nikanor Ivanovič aveva cambiato faccia, che barcollava come un ubriaco, e che borbottava qualcosa.

Un’ora dopo, nell’appartamento n. 11, nel momento in cui Timofej Kondrat’evič raccontava agli altri, andando in sollucchero, come avessero messo in gattabuia il presidente, entrò uno sconosciuto il quale chiamò in anticamera Timofej con un movimento del dito, gli disse qualcosa e scomparve con lui.

CAPITOLO DECIMO

Notizie da Jalta

Mentre a Nikanor Ivanovič succedeva questa disgrazia sempre sulla Sadovaja, a poca distanza dal 302 bis, nell’ufficio di Rimskij, direttore finanziario del Varietà, si trovavano due persone: Rimskij stesso e Varenucha, amministratore del teatro.

Il grande ufficio, sito al primo piano del teatro, aveva due finestre sulla Sadovaja, e una terza, proprio alle spalle del direttore seduto alla sua scrivania, che dava sul giardino estivo del Varietà, dove si trovavano il bar, il tirassegno, e un palcoscenico all’aperto. L’arredamento dell’ufficio comprendeva, oltre alla scrivania, dei vecchi manifesti appesi al muro, un tavolino con una caraffa d’acqua, quattro poltrone e, in un angolo, un supporto su cui stava l’antico bozzetto impolverato di uno spettacolo. S’intende che c’era anche una vecchia cassaforte scrostata di piccole dimensioni, sulla sinistra di Rimskij, vicino alla scrivania.

Sin dal mattino, Rimskij era di cattivo umore, mentre Varenucha era, al contrario, animatissimo e attivo in modo particolarmente irrequieto. Però la sua energia non trovava sfogo.

Varenucha si era nascosto nell’ufficio del direttore finanziario per sfuggire ai postulanti di biglietti di favore che gli avvelenavano l’esistenza, soprattutto quando il programma cambiava. Oggi era proprio una di quelle giornate. Non appena squillava il telefono, Varenucha prendeva il ricevitore e mentiva:

— Chi? Varenucha? Non c’è. È fuori teatro.

— Per favore, telefona ancora una volta a Lichodeev, disse con irritazione Rimskij.

— Ma se non è in casa. Ho già mandato Karpov, nell’appartamento non c’è nessuno.

— Il diavolo se lo porti! — sibilava Rimskij facendo scorrere le dita sulla calcolatrice.

La porta si aprí, e un inserviente trascinò dentro un grosso pacco di manifesti supplementari appena stampati; sui fogli verdi era impresso a grosse lettere rosse

Ogni giorno da oggi al Teatro di Varietà

fuori programma

IL PROFESSOR WOLAND

Sedute di magia nera e totale smascheramento della medesima

Allontanandosi dal manifesto che aveva buttato sul bozzetto, Varenucha lo ammirò e ordinò all’inserviente di farli immediatamente affiggere tutti.

— Bene… dà nell’occhio… — osservò Varenucha quando l’inserviente si fu allontanato.

— A me invece questa fantasia non piace per niente, brontolò Rimskij, guardando con malanimo il manifesto attraverso gli occhiali cerchiati di corno, — e mi stupisco che gli abbiano dato il permesso per queste rappresentazioni.

— No, Grigorij Danilovič, non dirlo! È una mossa molto sottile. Tutto il sugo sta nello smascheramento.

— Non so, non so, io non ci vedo alcun sugo… ne inventa sempre una!… Almeno ci avesse fatto vedere questo mago! Tu almeno l’hai visto? Dove l’avrà pescato, il diavolo lo sa!

Si scoprí che neppure Varenucha aveva mai visto il mago. Ieri, Stepa («sembrava pazzo», secondo Rimskij) era arrivato di corsa dal direttore finanziario con una bozza di contratto già redatta, aveva dato ordine di copiarlo immediatamente e di pagare Woland. Il mago poi era scomparso, e nessuno l’aveva visto, tranne Stepa.

Rimskij tirò fuori l’orologio, vide che segnava le due e cinque, e andò su tutte le furie. C’era di che! Lichodeev aveva telefonato verso le undici, dicendo che sarebbe giunto di li a mezz’ora, e non solo non era arrivato, ma era pure scomparso da casa.

— Ho tutto bloccato! — ruggiva Rimskij, puntando il dito verso il mucchio di documenti che aspettavano la firma.

— Non sarà mica andato a finire sotto un tram, come Berlioz? — diceva Varenucha tenendo incollato l’orecchio al ricevitore, in cui si sentivano lunghi, inutili squilli.

— Non sarebbe male… — disse Rimskij a denti stretti con voce che a stento si poteva sentire.

In quell’istante entrò nell’ufficio una donna in divisa, col berretto a visiera, la gonna nera e scarpette basse. Dalla piccola borsa attaccata alla cintura, la donna trasse un quadratino bianco e un quaderno, e disse:

— È qui il Varietà? C’è un telegramma lampo per voi. Firmi qui.

Varenucha fece uno scarabocchio nel quaderno della donna, e non appena la porta le si chiuse dietro, aprí la busta. Dopo aver letto il telegramma, cominciò a sbattere le palpebre e passò il foglio a Rimskij.

Il contenuto del telegramma era il seguente: «DA JALTA A MOSCA — VARIETÀ — OGGI ORE UNDICI E MEZZO PRESENTATOSI A PUBBLICA SICUREZZA ALIENATO CASTANO CAMICIA NOTTE PANTALONI SENZA SCARPE DICHIARANDOSI LICHODEEV DIRETTORE VARIETÀ STOP TELEGRAFATE PUBBLICA SICUREZZA JALTA DOVE TROVASI DIRETTORE LICHODEEV».

— Cose dell’altro mondo! — esclamò Rimskij, e soggiunse: — Altra sorpresa!

— Uno Pseudodemetrio! [10] Usurpatore del trono di Russia l 605-6 — esclamò Varenucha e disse nel ricevitore: — Telegrammi? Addebitare al Varietà. Telegramma lampo. Pronti? «PUBBLICA SICUREZZA JALTA — ’ DIRETTORE LICHODEEV TROVASI MOSCA — Firmato: DIRETTORE FINANZIARIO RIMSKIJ»…

Senza tener conto della comunicazione sull’impostore di Jalta, Varenucha si rimise al telefono per cercare Stepa a casaccio, senza naturalmente trovarlo.

Nel preciso momento in cui Varenucha, col ricevitore in mano, rifletteva dove avrebbe ancora potuto telefonare, entrò la stessa donna che aveva portato il primo telegramma, e consegnò a Varenucha un’altra busta. Varenucha si affrettò ad aprirla, lesse lo scritto e fischiò.

— Che c’è ancora? — chiese Rimskij, con una smorfia nervosa.

Varenucha gli porse in silenzio il telegramma, e il direttore finanziario vi lesse: «SUPPLICO CREDERE STOP CAPITATO JALTA CAUSA IPNOTISMO WOLAND STOP TELEGRAFATE PUBBLICA SICUREZZA CONFERMA IDENTITÀ — Firmato: LICHODEEV».

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