Giacomo Casanova - Il Duello
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Il vero amico non sa far nulla che ad intera soddisfazione dell'amico, e crede mal fatto tutto ciò che a qualcun altro sembrerebbe meglio fatto in diversa guisa. Il vero amico è ammirabile negli affari, ne' quali interesse o gloria impedisce l'interamente spiegarsi. Facilissimo è il fargli vedere e capire ciò che non si vuole nè mostrargli, nè dirgli, ed a cagione di quella riserva non si offende, nè s'impiega con meno calore di quello con cui si sarebbe impiegato, se l'amico con lui si fosse affatto spiegato, affidandosi alla di lui discrezione.
Il vero amico in somma non può essere contento di sé medesimo che tanto quanto rende soddisfatto colui per il qual opera, non avendo altro interesse in ciò che fa, se non il solo dell'amico per cui s'impegna.
Il falso amico, all'opposto, è sempre mal soddisfatto della maniera con cui è impiegato; abbonda di tacite riflessioni; si forma sempre qualche interesse personale nell'affare che gli viene appoggiato; ed ha sempre qualche segreta mira che non ardirebbe confessare. Quando fa d'uopo penetrare il senso sostanziale della cosa, l'eseguisce ad verbum, e, quando non conviene staccarsi in modo alcuno dalla parola, va ghiribizzando raffinamenti. Egli ha sempre o mal letto, o mal inteso, e con lui nessuno si è mai abbastanza spiegato. Posto ch'egli ebbe in sicuro l'involto, pensò a desinare delicatamente, onde diede sopra di ciò gli ordini opportuni e mandò a pregare due dotti giovani cavalieri, affettuosi fratelli, che l'onoravano della loro amicizia, di portarsi a pranzar seco a mezzogiorno. Le vivande squisite, il buon vino e la buona compagnia di persone scelte, e sopra tutto bene affette, compongono un nutrimento che colloca un uomo sano nel sommo grado di quella perfezione di cui è capace. Un pasto tale mette in un fermo equilibrio i fluidi, corrobora i solidi, dà tutto il necessario vigore a tutte le facoltà fisiche ed una letizia allo spirito che sveglia tutte le virtù, le quali, unite all'eccitato coraggio, costituiscono quell'individuo attissimo ad intraprendere qualunque importante azione, nella quale abbia bisogno di tutto se stesso, e sopra tutto di non aver a rimproverarsi qualche mancamento se non riesce con felicità, onde gli esaminatori dell'azione possano dopo l'avvenimento dire ch'egli si regolò male.
Ciò era noto al veneziano: egli sapea che le facoltà del corpo e dello spirito rimangono a cagione del mangiare e del bere sopite ed ammorzate in quelli ch'eccessivamente ne usano, onde sopravvien loro, dopo preso il nutrimento, quel letargo che chiamasi sonno, del quale la natura non avrebbe quel pronto bisogno, se non l'avessero stancata, oppressa e mortificata col soverchio, grossolano, o mal ammannito mangiare. La cucina francese, che giustamente gode dell'applauso universale, non genera, in quelli che ne conoscono i pregi, nè intempestivo sonno, nè indigestione, nè pentimento in chi senza ingordigia sa gustarne le delizie. Non v'è uomo, non v'è donna che non sia, dopo un delicato pranzo più bella, più eloquente, più animata, più cortese e più giudiziosa e più presente a se stessa, feconda di bei pensieri e di peregrine invenzioni atte a procurar onesti e leciti piaceri a questa misera umanità che, se si lascia andare abbandonata a se stessa, è una fonte inesausta di miserie, di noje e di affannosi dissapori.
Siccome dunque procede dal buon cibo la salute del corpo, non si dovrà dubitare che da esso non derivi anche la tranquillità dello spirito, che non può aver altro moto che quello che riceve dalle impressioni fisiche. Guai poi a quelli che si sono meritati al mondo il nome che li disegna per mangiatori. Rari sono fra questi quelli che sappiano cosa sia ben mangiare; l'ingordigia è il loro nume, e se li contempliamo non discerniamo nè nel loro corpo, nè nel loro spirito, verun segno del felice nutrimento di cui io qui sopra feci l'elogio. Il soverchio mangiare genera malattie, accorcia la vita e rintuzza le facoltà dell'anima.
Dulcia se in bilem vertent, stomacoque tumultum Lenta feret pituita. Vides ut pallidus omnis Cœna desurgat dubia? quin corpus onustum Hesternis vitiis animum quoque pregravat una, Atque affigit humo divinæ particulam auræ.
Dopo aver ben pranzato ed amalgamato il cibo con puro vino di Borgogna, egli pregò la compagnia di andarsene. Il giorno di corriere questa preghiera non può parer incivile. Restato solo, si mise in punto di non fare aspettare il Postòli che, secondo l'accordo, poco potea stare a comparire. Egli arrivò all'ora stabilita a gran trotto di sei cavalli, che tiravano una carrozza inglese da quattro persone. Scese presto il veneziano le scale e si trovò alla portiera del legno, mentre il Postòli era per uscirne. Nel legno si ritrovava oltr'esso un ciamberlano ajutante di campo generale del re ed uno de' suoi cacciatori.
L'aiutante generale, che sedea presso il Postòli, cedette il loco al veneziano, sedendosi sul d'innanzi; ma questo, tenendo già il piede sullo staffone del cocchio, sospese l'entrarvi quando in un'occhiata vide, oltre i postiglioni, cacciatori, volanti, staffieri e paggi, anche un altro ajutante generale a cavallo con un servo che avea alla mano due cavalli bardati. Egli rivolse allora il capo e disse a' due suoi servi, che erano per montar dietro la carrozza, che nol seguissero, ma stessero là ad aspettar i suoi ordini. Il gran panettiere, udendo ciò, gli disse: Lasciate che vi seguano, poiché potrebbe avvenire che aveste bisogno di essi; il veneziano gli rispose: — giacché non posso condur meco un numero di servi eguale al vostro, non voglio neppure que' due miserabili; voi ne avete abbastanza per far servire anche me, se ne avessi bisogno. Posso sperarlo? — Sì, egli rispose, e vi prometto da cavalier d'onore, che vi farò servire in preferenza di me medesimo. E, ciò dicendo, gli porse la mano, che l'altro strinse entrando in carrozza e ponendosi presso di lui.
Partirono subito, e non seppe dove andassero, nè si curò di domandarlo.
Non erano ancora fuori della città, quando parve al veneziano una civiltà quella di rompere il silenzio. Egli domandò dunque al Postòli se pensava di far la sua dimora in Varsavia nella futura estate; alla qual questione egli rispose: Così avevo divisato di fare, ma voi forse sarete cagione che dovrò fare altrimenti.
Il veneziano gli rispose che sperava di non aver ad esser cagione di cosa alcuna, che fosse per dispiacergli. - M'immagino già, rispose l'altro, che abbiate carattere di gentiluomo, o che abbiate servito in guerra… — Il veneziano, interrompendolo, gli disse che non si era mai trovato tanto nobile quanto in quel giorno; ma perché, soggiunse egli, guardando il Postòli in viso, mi fate voi questa dimanda?
— Non so perché, rispose l'altro vivacemente e sorridendo, per non sapere che altro dire: non ne parliamo più, vi prego. E non se ne parlò più. Malgrado la molta neve i cavalli, correndo assai bene, arrivarono due ore e mezza avanti notte a Wola, ampio giardino appartenente al conte di Bruhl, gran generale dell'artiglieria della corona, che allora trovavasi a Dresda.
Inoltratosi nel giardino il Postòli, con l'altro a fianco e seguito da tutta la sua comitiva, si fermò sotto una pergolata di figura ovale, non più lunga di dieci pertiche, che avea nel mezzo una tavola di pietra. Su questa tavola il suo cacciatore, cui egli fece un cenno, depose un paio di pistole di lunga misura e brillanti dal forbito acciajo, e con esse una picciola ferriera ed un astuccio, d'onde quell'uomo trasse polve, palle e bilancia, con una specie di mulinello necessario a caricare quell'arme. Dopo ch'ei mostrò ch'eran vuote ai due principali attori, che attentissimi stavano guardando il di lui lavoro, scelse due palle adattate e di egualissimo peso e calibro, e pesò due eguali quantità di polvere, ed indi le caricò. Caricate che furono, il gran panattiere con viso cortese pregò il veneziano di dar di mano a quella di quell'arme che più gli piacesse, essend'egli per servirsi dell'altra. La voce allora dell'ajutante generale del re impedì il veneziano dal prontamente scegliere. Qui si tratta, diss'egli in tedesco, di un duello, e ciò io non soffrirò. - Voi non dovete sapere, risposegli il Braniscki, di che si tratti; tacete e state a vedere, e quando avrete veduto potrete parlare. - Non posso ignorar nulla, replicò l'altro, siamo nella starostia di Varsavia, io sono oggi di guardia, mi avete con inganno levato dalla corte per rendermi complice di un delitto che mi tirerà addosso lo sdegno di S. M. Alle vostre idee, giacché mi avete fatto venir qui, io mi oppongo. - Come volete opporvi? disse l'altro sorridendo: il re vi perdonerà quando saprà che voi siete stato presente al fatto per sorpresa, e pel rimanente acchetatevi, poiché prendo sopra di me tutte le conseguenze dell'affare, cui per buone ragioni vi voglio presente. Avete inteso? Scostatevi dunque due passi e lasciateci fare. Son cavaliere d'onore e debbo dar soddisfazione a chiunque crede aver dritto di domandarmela, e voglio dimostrar a quest'italiano "que je sais payer de ma personne," che so sempre bastar a me medesimo. - Tocca dunque a voi signor C……. (replicò al veneziano l'ajutante generale) a schivar questo duello: vi invito a rimettere ogni vostra cagione di lagnanza a S. M., e vi avviso che qui non potete battervi, poiché siete nella regia starostia. Il veneziano allora rispose che non pensava a battersi ma a difendersi, il che avrebbe fatto anche se fosse in chiesa; ma che se si trattava di dar un segno della sua venerazione al re, (e ciò dicendo, levossi il cappello) rimettendosi a lui pel compenso di un torto che il signor Postòli gli avea fatto, era pronto a tutta la sommissione purché a ciò l'invitasse il medesimo Postòli, e ch'era anzi pronto a non pretender soddisfazione ulteriore, se egli volea allora, lui presente, dirgli che gli dispiacea di avergli detto jeri quelle oltraggiose parole. Con faccia brusca allora il Postòli, guardando fisso in faccia il veneziano, gli disse: Monsieur! je ne suis pas venu ici pour raisonner, mais pour me battre, — io non venni in questo luogo per discorrere, ma per battermi. - L'ajutante generale allora levò gli occhi al cielo e, percotendosi con la sua destra la fronte, ritirossi due passi. Il Postòli con aria serena levossi la pelliccia, che un paggio raccolse, e si slacciò la spada che consegnò allo stesso paggio. L'altro si vergognò di non imitarlo: fece anch'esso lo stesso e consegnò la sua spada allo stesso paggio, ma con dolore, poiché non sapea come l'affare potesse andare, e così oprando rimanea disarmato.
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