Giacomo Casanova - Il Duello
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Il veneziano baciò ambi i biglietti, e bisognoso di riposo congedò la compagnia e si mise a letto.
Nel giorno seguente il Postòli mandò un suo uffiziale a complimentarlo, a portargli la sua spada, ad informarsi di sua salute ed a fargli sapere che la ferita da lui riportata non era giudicata mortale, ma bensì bisognosa di lunga cura, poiché v'era gran laceramento di tegumenti. Fu fatto dal veneziano il contraccambio, e questa reciproca visita si fece ogni giorno.
Visibile in tutte le combinazioni è la divina provvidenza, ed ingrato è colui che non vi riflette e non vuol riconoscerla. Il Postòli non perì in quel duello per aver fatto ciò che il veneziano non fece, e questo sarebbe probabilmente restato sul suolo, se avesse fatto ciò che al Postòli parve bene di fare. Tosto che il Braniski appuntò con l'altro l'ora del combattimento, e che ne fu certo, andò a confessarsi ed a comunicarsi ed udì messa con la più profonda divozione, poi stette due ore solo e non volle prendere cibo di sorte alcuna. L'evento dimostrò ch'ei dovette la vita al non aver desinato; se avesse mangiato, la palla gli avrebbe forato a traverso i tumidi intestini, e sarebbe morto. Il veneziano a digiuno avrebbe parlato in guisa affatto diversa, e non avrebbe fatto nell'altro quella impressione che, per poco che l'abbia alterato, diminuì in lui l'altra abilità, nota a tutti, ch'egli avea per colpire con palla di pistola nel taglio d'un coltello ogni volta che volea, sicché la palla rimanea tagliata. Il veneziano con la pistola non si era mai esercitato, e ad altro non si affidò, quando si risorse a cimentarsi, che alla scienza che avea, che altra linea la palla espulsa non potea descrivere che la retta; sicuro dunque di mirar dritto e di aver impedito con un buon pranzo la possibilità del tremito del suo polso, andò a battersi ed ottenne vittoria.
Discorse assai inconsideratamente un certo ragionatore, che volea sostenere che il veneziano avrebbe fatto un'azione più che eroica e forse anche una assai brillante fortuna, se avesse tirato il suo colpo non al corpo del Postòli ma all'aria.
A me pare che quando questo caso di tirar il colpo all'aria sopravvenne a questo mondo, sia sopravvenuto condotto dalla combinazione, e mai premeditato; e se premeditato ei fu, sostengo che qualunque uomo, che andò a battersi covando in sua mente questo progetto, fu un pazzo da catena, poiché il primo precetto che si dà a chi va a cimentarsi è di procurar più presto che può di ridurre il nemico impotente ad offendere.
L'arte di ridur l'avversario a scaricar le sue armi per divenir di lui padrone, appartiene a chi si batte a colpo di pistola a cavallo, dove non si può scaricare che guadagnando la groppa, poiché la testa del cavallo copre il cavaliere, ed uccidere il cavallo è una viltà, ma a piedi il giuoco è diverso.
Egli è come alla spada: afferrate l'armi, ciascuno pensa a sé, ma il cortese non spara se non vede l'avversario in atto di appostar la sua, poiché appostare e tirare è un solo tempo. Il veneziano disse all'altro, tenendo la bocca della sua pistola contro terra, che tirasse il primo, per confonderlo, dandoli in quel critico momento un segno di rispetto, il quale pochi uomini hanno la forza di pensare, ma il riporsi il cappello, l'appostar e 'l tirare fu un sol tempo: e l'altro avrebbe certamente tirato il primo, se non avesse perduto il tempo ad allungar la sua guardia: tempo che il veneziano sarebbe stato uno sciocco se glielo avesse concesso.
Che se poi il Postòli avesse tirato subito e fallato il colpo, allora posso, io che conosco il veneziano, assicurare il lettore che, nell'istante, quello di correre sopra lui sparando il colpo all'aria ed abbracciandolo amichevolmente sarebbe stato in lui un solo movimento. Queste circostanze tutte eventuali dimostrano che il tirar il colpo all'aria non può ragionevolmente mai esser l'effetto di un progetto premeditato. Ma chi può sapere che il Postòli, dopo veduto il colpo tirato all'aria, non avesse preteso di ricominciar il duello!
Con certa superba gente le eroiche azioni vanno in danno di chi le fa. Saggio è colui che schiva tutte le occasioni di pari cimenti, ma chi vi si mette, a nessuna cosa dee tanto pensare quanto a disfarsi del nemico.
Resta ad esaminarsi qual sia quello di questi due combattenti che abbia, prima di battersi, dato segno di maggior religione cristiana. Il gran panattiere andò a confessarsi; ma, se disse tutto, non capisco come possa essere stato assolto; e se non disse tutto, non intendo come egli possa essere rimasto in sua coscienza soddisfatto di una assoluzione carpita. Mi fu detto che ad un uomo di guerra si trova facilmente confessore, che permette ch'ei vada a battersi e modo provisionis gli dà anche innanzi tratto l'assoluzione in articulo mortis. Questo può forse essere; ma il duello tra questi due era affatto fuori della sfera di quelli che la religione una volta permettea, cioè quando regnava lo spirito della cavalleria errante; spirito che in certi bravi regna ancora. M'immagino che il Braniscki abbia detto al confessore che il suo onore esigea che andasse a battersi, e dovendo l'onore essere dal guerriero preferito alla stessa vita, egli avrà trovato un confessore assai docile. Così la cosa debb'essere; ma resto attonito di quella coscienza che persuade di aver legittimamente ottenuta l'assoluzione.
Seppi poi in qual guisa ragionò il veneziano, il quale, cristiano cattolico, amava per lo meno quanto il Postòli l'anima sua, ed il quale non sarebbe certamente andato a battersi se fosse stato sicuro di restar morto, certissimo poi essendo che l'anima sua sarebbe andata nel foco eterno uscendo del suo corpo. Ecco la breve giaculatoria ch'ei fece a Dio nel suo pensiero. Io so, o Dio, che non posso andarmi a battere che in disgrazia vostra, poiché vado ad espormi alla prossima occasione di divenir omicida; abbiate dunque misericordia dell'anima mia, facendo ch'io non rimanga ucciso; poiché, se perissi sul fatto, conosco che non mi è neppure lecito di pregarvi ora di esentarmi dalle pene eterne dell'inferno. Concedetemi, o Dio, il tempo e la forza di pentirmi di quel peccato che per superbia vado adesso spontaneamente a commettere.
Anche questa preghiera è assurda e contraddicente; prima, perché è cosa ridicola che un uomo preghi il sovrano dei sovrani di una grazia nel tempo medesimo che sa esser a lui nota l'intenzione che ha di offenderlo; poi, perch'egli non ha bisogno di domandar perdono di un delitto ch'è padrone di non commettere; onde ne segue che commettendolo divien doppiamente reo, se temerario aspira a quel perdono. Ciò non ostante, la religione del veneziano mi sembra meno irragionevole di quella dell'altro.
Nel giorno seguente si presentò al convento un gesuita; egli si nominò confessore di Monsignor Czartoryski vescovo di Posnania, e domandò di abboccarsi con lui da solo a solo. Fatto dar luogo agli astanti, gli disse che veniva a nome di Monsignore per assolverlo dalle censure ecclesiastiche, nelle quali era incorso avendo fatto duello. Il veneziano il ringraziò, e gli disse che non si credea scomunicato, poiché sapea di non aver fatto duello. Qui vi fu una non breve seria contestazione tra lui e 'l gesuita sulla questione, se avesse fatto duello o no, la quale non si sarebbe facilmente terminata, se il gesuita non avesse escogitato un mezzo termine, che non dispiacque al preteso scomunicato.
Ecco la formula con la quale confessò il suo delitto. Se ad onta che a me non sembra duello, il mio conflitto col gran panattiere della corona fu veramente duello, me ne confesso, me ne pento e domando dalla santa madre chiesa l'assoluzione del mio peccato e la riabilitazione della mia persona nella comunione de' fedeli. Detto ciò il discreto padre l'assolse, e se ne andò. Il veneziano, per buone ragioni, comunicò per lettera questo fatto al principe palatino di Russia. Gli premea che il suo affare non potesse rigorosamente essere riconosciuto per duello; ed in fatti egli a rigore non ne avea tutti i requisiti.
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