CHLODNIK (POLACCO)
60 gr circa di vitello magro tagliato a pezzettini e cotto in acqua sufficiente a coprirlo; 60 gr circa di bietole lesse e passate al setaccio, mettere da parte l’acqua di cottura; 1 cucchiaino di aglio di serpe tagliato a striscioline minuscole; 1 cucchiaino di aneto in polvere; 10 gamberoni, oppure 16 gamberi; 1 cucchiaino di sale, mezzo cucchiaino di pepe; 1 cetriolo pelato, senza semi, tagliato a fettine sottili; 2 tazze di panna intera acida; 6 uova sode tagliate a fette.
Aggiungere il cetriolo alle bietole e alla loro acqua di cottura, poi la carne di vitello e il suo sugo. Aggiungere gradatamente la panna acida, l’aneto, sale e pepe, l’aglio di serpe, i gamberoni o gamberi. Aggiungere le uova facendo molta attenzione. Servire ghiacciato.
CACIK (TURCO)
6 cetrioli pelati, senza semi e tagliati a fette; 6 tazze di yogurt intero; 1 cucchiaino di sale; 6 cucchiai di olio di sesamo o di un altro olio leggero. Mescolare bene e servire ben ghiacciato.
TARATA (GRECA)
3 peperoni verdi, pelati e senza semi; 6 melanzane, pelate e senza semi. Cuocere piano in 6 cucchiai di olio d’oliva senza friggere. Schiacciare i peperoni e le melanzane fino a ottenere una purée e mescolare con 4 tazze di yogurt intero. Aggiungere 1 cucchiaio di sale, mezzo cucchiaino di pepe, un pizzino di caienna, un pizzico di menta in polvere e 2 spicchi d’aglio pestati. Servire ghiacciata.
Avevo già completato questo capitolo, quando mi giunsero altre notizie riguardanti il gazpacho da Santiago del Cile, in Sud America. Erano stati i conquistadores a portare la ricetta nel Nuovo Mondo insieme con i cavalli? Marta Brunet, una famosa scrittrice cilena, di origine spagnola, o meglio, catalana, parla del gazpacho come di un piatto normalmente consumato dai mulattieri spagnoli. E in effetti, in questa versione, si tratta proprio di un pasto, più che di una minestra. Questi mulattieri, dice la señora Marta, si portano dietro nei loro viaggi un piatto di terracotta, con aglio, olio d’oliva, pomodori e cetrioli, e anche del pane secco da sbriciolare. Fermi sul bordo della strada, prendono due sassi e schiacciano l’aglio con un po’ di sale, poi aggiungono l’olio e strofinano il tutto sul piatto di terracotta. Poi affettano i pomodori e i cetrioli e li mettono a strati alterni nel piatto, aggiungendo, tra uno strato e l’altro, il pane sbriciolato. Sopra i quattro strati spargono altro pane sbriciolato e altro olio. Poi prendono un panno bagnato e lo avvolgono intorno al piatto, che lasciano al sole. L’acqua di cui è intriso il panno evapora, ed evaporando cuoce il contenuto del piatto: quando il panno è asciutto, il pasto è pronto. Elementare, caro Watson.
Ricette scoperte grazie a zia Pauline e lady Godiva
Quando, nel 1916, Gertrude Stein cominciò a guidare zia Pauline per conto dell’American Fund for French Wounded, si rivelò un’autista responsabile, se non proprio esperta. Sapeva far di tutto, tranne marcia indietro. Disse che si sarebbe comportata come l’esercito francese, non si sarebbe mai messa nella situazione di dover fare una cosa del genere. Far consegne negli ospedali di Parigi e dei sobborghi non presentava difficoltà, perché il traffico civile era praticamente inesistente. Un giorno ci fu chiesto di portare dei pacchi in un ospedale militare a Montereau, dove ci saremmo poi fermate per colazione. L’incombenza ci prese parecchio tempo, e quando arrivammo nel cortile della locanda che ci era stata consigliata lo trovammo pieno di automezzi militari. Quando Gertrude Stein propose di lasciare zia Pauline, così era stato battezzato (con vino bianco, non champagne) il nostro furgone, all’ingresso del cortile, io protestai. Avrebbe sbarrato l’uscita. Ma non possiamo lasciarlo in strada, disse lei. Sarebbe veramente tentare la fortuna. La grande sala da pranzo era piena di ufficiali. La colazione fu molto buona, considerato il fatto che si era in tempo di guerra. Stavamo aspettando il caffè quando un ufficiale venne al nostro tavolo e, con un saluto militare, disse, È vostro il furgone con la Croce Rossa all’entrata del cortile? Oh sì, rispondemmo noi all’unisono, orgogliose. Purtroppo blocca l’uscita, disse lui, e i nostri automezzi non riescono a passare. Temo di essere costretto a chiedervi di fare marcia indietro. Oh no, esclamò Gertrude Stein, questo non posso proprio farlo. Come se le avesse chiesto di commettere un peccato mortale. Forse, continuò lui, se veniste con me potrei aiutarvi. E così fu. Ma nemmeno quell’episodio riuscì a convincere Gertrude Stein a imparare a fare marcia indietro.
Se zia Pauline ci aveva portato a Montereau durante la sua prima avventura, dopo fece anche di meglio. Il comitato dell’American Fund ci aveva chiesto di aprire un deposito per la distribuzione a vari dipartimenti con sede centrale a Perpignan. Zia Pauline, Modello T, che Dio la benedica, non andava a più di cinquanta all’ora, e così arrivavamo sempre alle locande, agli alberghi e ai ristoranti in ritardo per i pasti. Ma a Saulieu ci servirono per colazione panade veloutée , crocchette di prosciutto e pêches flambées . Tutto cotto molto bene, con attenzione e delicatezza. Mi feci dare la ricetta delle PESCHE ALLA FIAMMA
È preferibile usare pesche fresche, però vanno bene anche quelle in scatola. Prendetene 6, fresche, e immergetele per qualche minuto in acqua bollente, poi sbucciatele. Cuocetele in 1 tazza e mezzo d’acqua a fuoco lento per 3 o 4 minuti. Mettetele in uno scaldavivande, aggiungete un quarto di tazza di zucchero e tre quarti di tazza di brandy di pesche. Portate in tavola e accendete il fuoco sotto lo scaldavivande. Quando lo sciroppo starà per bollire, dategli fuoco e versatelo sulle pesche. Servite le pesche alla fiamma. È un dolce semplice, saporito e di grande effetto.
Entrando in sala da pranzo, avevo notato un uomo il cui aspetto mi aveva preoccupato, aveva tutta l’aria di un tedesco. Di tanto in tanto succedeva che qualche ufficiale tedesco prigioniero scappasse. Quando il maître d’hôtel venne a ricevere i nostri complimenti per l’ottima cucina, gli chiesi chi fosse quell’uomo e lui disse che si trattava del proprietario dell’albergo, appena tornato dalla Germania dov’era stato trattenuto come prigioniero civile. Per molti anni era stato lo chef del Kaiser, il che spiegava non soltanto l’ottima qualità della sua cucina ma anche gli abiti che mi avevano tratta in inganno.
Zia Pauline impiegò parecchi giorni a portarci a Lione, dove avremmo fatto colazione al famoso ristorante della Mère Fillioux. Lione era un centro gastronomico famoso per certi piatti, e il menu della Mère Fillioux era tipico della città. A Lione e nei dintorni, negli alberghi e nei ristoranti, c’è l’abitudine di presentare menu completi chiamati le diner fin e le dejeuner fin , la cena e la colazione di prima scelta. Gustammo la colazione di prima scelta, composta da lavarets au beurre , cuori di carciofo con fegato grasso tartufato, cappone al vapore con quenelles e tarte Louise . I mercati e i negozi di Lione offrono un’eccellente scelta di cibi. Il pesce servito a colazione viene pescato la mattina stessa, frutta e verdura sono appena colte, cosa importantissima per la preparazione dei piatti. La Mère Fillioux era una donna piccola e robusta in grembiulone bianco inamidato, con in mano un coltello corto e stretto ma dall’aspetto temibile, che girava tra i tavoli a trinciare il pollo. Un compito che era suo piacere e privilegio, e che non delegava mai a nessuno. Era bravissima. Infilava una forchetta nel volatile al punto giusto con un colpo secco. Né lei né il piatto si spostavano di un millimetro, e via cosce, ali, petti, in meno di un minuto, poi se ne andava. A guerra finita, trinciò per otto di noi un grosso pollo con la stessa tecnica e lo stesso minimo sforzo. Quando la bestia arrivò in tavola, lei si avvicinò e passò una mano a circa tre centimetri sopra i piatti per vedere se erano alla temperatura giusta. Poco dopo tornò da noi, e con il suo coltellino trinciò il volatile più grosso e bianco che avessi mai visto. C’era sempre un pollo intero dedicato a ogni tavolo, anche se occupato da una sola persona. Non badare a piccole economie dava al ristorante un certo tono. Indubbiamente gli avanzi dei polli servivano come ripieno per le quenelles , preparate fresche ogni mattina.
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