Paolo Villaggio - Fantozzi
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Aveva scelto con cura l'ora: le 13,30. Fantozzi si mise al volante della sua utilitaria e disse alla moglie: “Vedi che abbiamo scelto l'ora giusta… le strade sono desert…”. Non finì la frase perché fu travolto da una paurosa onda di piena di utilitarie dirette ai grandi magazzini.
Fu subito un inferno di clacson, lampeggiamenti, ululati. Si erano stabiliti fra gli automobilisti, in quel dolce clima natalizio, dei rapporti di violenza tribale: cedere di un metro era un trauma psicologico e così ci si batteva ferocemente per guadagnare dieci centimetri sul “nemico”, il tutto a piccoli maligni balzi, con i motori imballati, guardandosi negli occhi con odio.
Si sentivano le bestemmie e le qualifiche più orrende sulle professioni delle rispettive madri: di fondo il ruggito dei motori. I semafori non si rispettavano più e al grande incrocio col Corso le utilitarie avevano formato una croce uncinata bloccandosi completamente.
Fantozzi al centro dell'incrocio se ne stava pallido, pervaso da un leggero tremito, con le mani sudate strette al volante. Rimase bloccato quasi due ore: la signora Pina lo guardava turbata. Gli si affiancò minacciosamente, fino quasi a toccarlo, una grossa cilindrata. A Fantozzi cedettero i nervi: balzò a terra, si avventò verso il guidatore dell'altra auto e gli urlò in faccia: “Gran cornuto!”. Era il suo direttore generale!
Alla quarta ora di ingorgo gli automobilisti della croce uncinata decisero di abbandonare le vetture. Percorsero incolonnati sotto la neve quasi un chilometro a piedi. Appena Fantozzi entrò nell'atrio accogliente e riscaldato dei grandi magazzini, l'altoparlante annunciò: “Signori, si chiude”. I commessi in un lampo coprirono i banchi con dei teli, lui fece appena in tempo a scaraventarsi fuori: tanto grande era stata la velocità dei commessi che alcuni clienti erano rimasti addirittura imprigionati sotto i cancelli.
Fantozzi andò allora ai mercati generali. “Vieni” disse alla moglie. “Quest'anno voglio comperare l'albero.”
Si perdettero quasi subito. Fantozzi ritrovò la moglie che veniva incoraggiata da alcune venditrici sconosciute: quando sopraggiunse le donne erano ormai arrivate alla amara conclusione che “gli uomini sono tutti uguali…”.
Andarono verso il settore degli alberi natalizi. Ne avanzava uno solo, tutto pendente da una parte, Fantozzi lo comperò ugualmente, intaccando finalmente la preziosissima busta.
“Ora voglio il tacchino!” disse Fantozzi più allegro e reggendo con le braccia il vaso dell'albero di Natale storto si diressero verso un chiosco illuminato, pieno di tacchini e di polli appesi. “Voglio questo” disse Fantozzi indicando un tacchino congelato. “Quant'è?” “Dodicimila!” disse il pollivendolo. La signora Pina lo guardò spaventata ma lui disse: “sì… in fondo Natale viene una volta sola all'anno”.
Poggiò il vaso dell'albero storto per terra e si mise la mano nella tasca esterna del cappotto, dove aveva spostato la busta. Impallidì, cercò nelle altre tasche, si tolse il cappotto, si tolse la giacca, si mise in mutande, cercò sotto le ascelle. Il pollivendolo, che aveva gente, si spazientì: “si faccia più in là lei, per favore, non vede che li intralcia?… se non vuol comperare il tacchino non è necessario che faccia la commedia”.
Fantozzi non rispose: in mutande, col basco in testa e reggendo sempre l'albero di Natale storto, rifece il percorso all'interno del mercato fino al venditore di alberi. Lo seguiva la moglie con i suoi vestiti. Lui domandava con lo sguardo allucinato a tutti: “Ha visto una busta gialla, per favore?”. Pochi gli rispondevano, i più lo scambiarono per un pazzo. All'uscita un gruppo di signore impellicciate, che stavano per salire su di una macchina bianca piena di fanali, vedendolo scoppiarono a ridere.
Fantozzi tornò a casa a piedi perché la macchina era ancora bloccata nella croce uncinata. Nevicava molto, ora. Lui era in mutande. col suo albero di Natale fra le braccia.
A casa la signora Pina gli preparò una minestra calda. Lui si sedette a tavola con uno sguardo da pazzo e diede la prima cucchiaiata. La moglie lo guardò e gli disse: “Buon Natale, amore!”. In quel momento l'albero si abbatté sulla tavola con violenza, centrò Fantozzi in piena nuca e lui tuffò la faccia nella minestra rovente. Si provocò ustioni di quarto grado. Non gli uscì un lamento: più tardi, nel buio della stanza da letto, pare che abbia pianto in silenzio con grande dignità.
FANTOZZI AL VEGLIONE DI CAPODANNO
Fantozzi non poteva neppure dire che i veglioni di fine anno li odiava, anche perché non c'era mai stato, lui, ad un vero veglione.
Al massimo, per il passato, aveva brindato con un po' di spumante e il panettone davanti alla TV in casa dei vicini di pianerottolo, ma erano state soluzioni dell'ultimo momento, di ripiego, frutto di una disperata solidarietà umana. Quest'anno invece, invitato dal solito collega di ufficio Fracchia, Fantozzi ha partecipato al “Veglionissimo di San Silvestro con cenone di mezzanotte — Suona l'orchestra del maestro Mario Canello — Canta Pasquale Coppola della radiotelevisione tedesca — Cavalieri (cena compresa) lire 5.000, dame 3.000”. Il tutto alla Unione velocipedistica.
Fantozzi aveva dormito tutto il pomeriggio del 31. Un sonno inquieto e pieno di incubi. Si era svegliato improvvisamente alle sette di sera, aveva guardato l'orologio: si era vestito a gran velocità e si era scaraventato giù dalle scale diretto in ufficio. In portineria aveva incontrato la signora Pina, sua moglie, che rientrava dal parrucchiere (non ci andava mai, ma quella era una grande occasione). Si guardarono con grande curiosità: lui perché non l'aveva quasi riconosciuta così conciata e lei perché aveva capito che il marito stava per andare in ufficio, per errore, la notte dell'ultimo dell'anno. Non si dissero nulla, ma rientrarono a casa.
Alle 8 di sera Fantozzi era già pronto: vestito scuro, cravatta d'argento e le solite scarpe strette abbinate a quell'abito. Era tutta roba comprata fatta, che gli andava quasi bene, tranne le scarpe: il commesso del negozio non aveva capito che lui aveva il piede suino (cioè uno zoccolo in piena regola) e aveva quindi bisogno, semmai, di un maniscalco e di esser ferrato. Non che la serata fosse cominciata per il meglio: perché, facendosi la barba prima di vestirsi, Fantozzi aveva mancato le basette (una alta e l'altra bassa) e poi, nel tentativo di rimediare, con un colpo di rasoio di sicurezza si era quasi staccato l'orecchia destra. La signora Pina aveva rimediato con due punti di filo color carne.
Prima di uscire, alle 8 e 30, Fantozzi disse alla moglie: “Dammi il cappotto nuovo!”. Sì, questa era la grande novità: usciva per la prima volta in pubblico con un cappottone nuovo che gli era costato 38.000 lire.
Stranamente arrivarono al veglione al momento giusto. Lui non voleva lasciare il cappotto al guardaroba (una volta a teatro gliene avevano fatto fuori uno) ma la guardarobiera glielo strappò quasi di dosso e gli diede un bigliettino bianco con un numero. Entrarono timorosi nella sala. Era una palestra piena di festoni colorati con un freddo quasi polare e c'erano delle coppie “disuguali” che ballavano. L'orchestra del maestro Canello faceva un rumore d'inferno. Cercarono disorientati Fracchia e il suo gruppo e alla fine con gran sollievo lo trovarono. A Fantozzi capitò un posto sotto una finestra con uno “spiffero” da cella frigorifera e la cena cominciò: malissimo, perché un cameriere, distrutto da una giornata particolarmente difficile, gli coricò letteralmente sulla schiena un intero capretto alla cacciatora e tutto il sugo gli colò dentro la camicia bianca. Fantozzi volò alla toilette e, aiutato dalla moglie, cercò di salvarsi con del borotalco.
La serata era cominciata da 3 minuti quando il maestro Canello, che aveva un altro impegno in un'altra palestra, disse improvvisamente, in un momento di silenzio: “Mancano 10 minuti alla mezzanotte”. Furono distribuiti dai camerieri delle stelle filanti, trombette e i cappellucci di cartone.
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