Paolo Villaggio - Fantozzi

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Da un paio di settimane le folle negli stadi sembrano impazzite e si fanno giustizia da sé. Ci sono stati precedenti famosi: uno a Bergamo e un altro addirittura a Torino, la città più “inglese” d'Italia.

Domenica scorsa la squadra di Fantozzi ha disputato uno degli incontri chiave del campionato. La sera avanti Fantozzi era andato dal suo farmacista di fiducia, al quale aveva fatto credere che il giorno dopo doveva fare un lungo spostamento in macchina. Aveva dunque bisogno di pilloline per star sveglio. Il farmacista gli fornì un tubetto di “Non dormir”; e quando, consegnandoglielo, lo ammonì: “Stia attento ché sono anfetamine!” gli occhi di Fantozzi ebbero un lampo di soddisfazione. Nella notte trafficò a lungo con le pastiglie, con le quali fece un infernale torrone con lo zucchero filato. L'indomani per l'emozione non mangiò neppure. All'una e trenta si recò all'entrata dei giocatori, a tutti stringeva la mano e consegnava un pezzetto del “torrone”.

Sarà stato per il torrone drogato o per una serie di circostanze straordinarie, ma domenica la squadra che si batteva sempre per non retrocedere e abitualmente perdeva, fece una partita straordinaria: al 1° minuto della ripresa Bulbem, il gigantesco centravanti che era l'idolo di Fantozzi, aveva segnato un gol al volo meraviglioso.

Con questo risultato si andò avanti in un entusiasmo incontenibile fino al 40° della ripresa. Fantozzi nel suo angolo sembrava impazzito e abbracciava gli amici occasionali dei popolari. Al 41° l'imprevedibile: Caropini, ala sinistra della squadra avversaria, scende in contropiede, entra in area, inciampa sulla palla e va lungo disteso. L'arbitro fischia il rigore, tira lo stesso Caropini: rete!

Nello stadio si era fatto un gran silenzio. Tutti guardavano un omino in basco e cappotto color vino che scendeva in trance dai popolari.

Aiutandosi con l'ombrello l'omino scavalca la rete di cinta, cade dall'altra parte, rimane impigliato con una falda del pastrano ad un palo di ferro. Si sentì in tutto lo stadio un tremendo crack di stoffa strappata. La gente cominciò a ridere perché l'invasore aveva lasciato mezzo cappotto sulla rete di cinta.

Con la vista annebbiata, incitato scherzosamente da tutto lo stadio, Fantozzi cominciò a correre verso il centro del campo, dopo sei metri inciampò nell'ombrello e andò lungo disteso, e qui lo stadio scoppiò in un boato di risate. Lui si rialzò per avanzare ancora mentre i fotografi impazziti lo immortalavano.

Ma qui Bulbem, il suo idolo, gli andò incontro e gli sparò un cazzotto che lo ridusse una maschera di sangue. E tutto lo stadio allora capì e si era fatto un silenzio orrendo mentre due carabinieri lo portavano verso gli spogliatoi.

L'indomani tutti i giornali riportarono in prima pagina la sua foto con la notizia che la sua squadra era stata dichiarata perdente per 2 a 0 e il campo squalificato per un turno: “per frenare questi atti di teppismo” diceva l'articolista. Quanto poi ai giocatori, essi furono tutti squalificati perché al controllo antidoping erano risultati positivi, per via del famoso torrone caramellato.

Fantozzi non andò in ufficio per una settimana: aveva paura delle reazioni dei colleghi, che lo avevano visto sulle prime pagine di tutti i giornali. Nelle settimane seguenti il suo rendimento sul lavoro si abbassò al punto che la società decise di sottoporlo al controllo antidoping. Gli fecero vari esami, ma al posto di anfetamine trovarono solo tracce di pasta e fagioli (che era poi la base della sua alimentazione). Purtroppo, di tutta la faccenda l'aspetto più pauroso fu che Fantozzi dovette affrontare il resto dell'inverno senza cappotto.

FANTOZZI E LO SCI

La sua prima esperienza di un fine settimana sulle nevi Fantozzi l'ha fatta a Limone Piemonte. Arrivò il sabato pomeriggio. La montagna era tutta verde di prati. (La neve scompare quando arrivano i non abbienti: questa è la regola.)

Tutti subito in un grazioso albergo che sa di legno di pino. Una grappa al bar e via verso i campetti e alle sciovie. Alcuni, come il Fantozzi e il ragionier Fracchia, che non avevano gli sci, furono mandati ad affittarli in un negozietto fuori del paese. Un omino guardò con diffidenza gli scarponi giganteschi di Fracchia (pagati 25 mila sanguinose lire) e sentenziò con decisione: “Quelli non servono a nulla!”. Fracchia allora, che alla partenza si era dichiarato uno sciatore provetto, abbassò la testa e confessò pubblicamente essere quella la prima volta in vita sua che vedeva la neve. L'omino gli prese la misura dei terrificanti scarponi e gli misurò la statura, dopo di che adattò e gli consegnò un paio di sci di 12 metri di lunghezza, con colossali racchette da neve di canna d'India come se ne usavano nelle prime spedizioni polari. Fracchia d'altronde aveva tutto l'aspetto esteriore di un vecchio esploratore polare. Si era fatto prestare da un suo amico, certo Filini, un colossale paio di calzoni alla zuava foggia 1923, kolbacco e impermeabile con cintura arrotolato in vita che fungeva da giacca a vento. Fracchia dunque prese gli sci e provò a portarli come si porta della legna da ardere, cioè a braccia tese in avanti col paio di sci stesi sopra. L'omino gli insegnò la giusta posizione (sci bilanciati sulla spalla destra, con le punte in avanti). Si fece aiutare e disse “arrivederci!”. Voltò i tacchi, eseguì un brusco dietrofront per uscire e fece crollare con le code degli sci una vetrata di metri 12 per 4!

Arrivarono sul campetto all'imbrunire: c'erano 40° sotto zero e tirava un vento gelido. I “gitanti” avevano nella maggioranza perse le orecchie. Alla sciovia a gancio di legno c'era una coda di due chilometri. Si infilarono gli sci e si misero in coda. Tutti avanzavano lentamente: sembrava la ritirata di Russia alla Beresina. A un tratto, senza logico motivo e avvisaglie di sorta, Fracchia si schiantò sull'erba. Rimase a lottare in un groviglio di sci, racchette, fiaschi di cognac e calzoni alla zuava per quasi un'ora, senza la solidarietà di nessuno: nemmeno uno che gli tendesse una racchetta per aiutarlo. Alla fine di quella sterile lotta si arrese e pianse, con la faccia adagiata in un'atroce poltiglia di fango, erba e neve sporca.

Fantozzi in coda si avvicinava intanto con ansia al gancio di legno dello skilift. Un gancio gli arrivò finalmente a portata di mano, lui lo afferrò e sì infilò con violenza dentro la biglietteria: aveva preso il gancio che scendeva! Come Dio volle il Fantozzi riuscì a sistemarsi su uno dei ganci dello skilift. Era uno skilift a forma di àncora di legno, ciascuno con due posti. A fianco di Fantozzi saliva uno sciatore inglese sconosciuto, che lo guardava con sospetto per aver visto la strana manovra dello sfondamento della biglietteria.

Fantozzi si innervosì per quello sguardo e a metà percorso incominciò a vibrare come un frullatore. Poi all'improvviso fece una sforbiciata e volò all'indietro. L'inglese, sbilanciato, fece altri quattro o cinque metri urlando e quindi perse a sua volta lo skilift. I due rimasero a giacere sui solchi della sciovia. Si dovette fermare tutto l'impianto perché sul posto dove erano caduti i due si era formato un cumulo gigantesco di sciatori. L'impianto fu riattivato verso mezzanotte al lume di torce: ma tutto il sabato era intanto volato via, per questi incidenti.

La domenica mattina salirono in alta montagna. Era una giornata senza sole e anche senza neve. Si erano portati dal rifugio la famosa grappa di prugna ed è a questo punto che cominciarono a capire la bellezza del week-end bianco. Alla quindicesima grappa Fracchia si alzò di scatto e disse: “Signori, io mi faccio una volata in sci fino a valle”. Unì l'atto alle parole: salì sugli sci e partì a 180 all'ora. Si infilò in un canalone a forma di trampolino olimpionico e stabilì il nuovo record italiano di salto. Del ragionier Fracchia, dell'ufficio sinistri, non si seppe mai più nulla: lo avevano visto scendere nell'erba sciando a grande velocità e infilarsi con decisione in una fitta boscaglia.

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