Paolo Villaggio - Fantozzi

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Paolo Villaggio

FANTOZZI

PREMESSA

Io non so scrivere in italiano. Nel parlare mi arrangio, anche perché astutamente sposto sempre la discussione su cinque argomenti già collaudati: il passaggio dal socialismo al comunismo, nuovi esempi di cinema underground americano, il secolo di Luigi XIV, magia e ipnotismo, sud-est asiatico. Non sono ancora “franato” sull'astrologia, ma una volta ho parlato per un'intera sera di Godard, ma sinceramente l'ho fatto solo quella volta, ed ero quasi ubriaco.

Nei cinque argomenti “collaudati” sono magnifico. Riesco ad intrappolare salotti romani, tavolate di ristoranti milanesi alla moda, settori interi di D.C. 9 voli AZ Roma-Milano, sulle condizioni di vita degli operai della catena di montaggio della Ducati o sulla rivoluzione culturale. Uso tecniche raffinate. Si parla di vacanze a Porto Rotondo? Beh, il passaggio alla catena di montaggio della Ducati è di una facilita irrisoria. Ecco la tecnica. Si lascia partire il più indifeso e meno importante dei presenti che si lamenta della scomodità della toilette su uno yacht tipo “ISCHIA” (queste tecniche non vanno mai usate coi potenti coi quali vi consiglio di essere vischiosi, servili e sempre d'accordo anche su posizioni “fasciste”) e poi all'improvviso gli si fa con un sorriso sarcastico la domanda: “Lei sa quanto tempo ha per andare al cesso un operaio della catena di montaggio della Ducati?”.

Questo un caso facile, ma una volta sono riuscito a portare al sud-est asiatico uno che mi stava spiegando come si fa un babà al rum. Ma non va dimenticato che io sono di una intelligenza mostruosa e di una abilità rivoltante. Però non so scrivere. Soprattutto non conosco l'uso del punto e virgola. Quando si usa? Non lo sa nessuno!

Gli italiani non sanno scrivere. Ho visto dei funzionari “tentare” delle lettere e insabbiarsi su una serie di premesse, di coordinate e subordinate dalle quali non sono più usciti.

I poveracci cominciano le lettere con dei: “A conoscenza, ed essendo ed avendo avuto notizia, nonostante che noi fottimo già da tempo dell'avviso…” qui molti strappano il foglio piangendo.

Un'esperienza poi agghiacciante e fare una semplice denuncia di smarrimento patente ad un commissariato di polizia. Si comincia con “Il sottoscritto tal dei tali” e si arriva dopo quattro ore fatalmente a “avendo stato lo scrivente quanto sopra già… ” e qui si viene arrestati per oltraggio alla bandiera o per bestemmia in luogo pubblico.

Io uso lo stile dei commissariati di PS e quando l'Editore Rizzoli mi ha proposto di scrivere un “libro” su Fantozzi ero in malafede prima di accettare con entusiasmo. Poi mi hanno mandato un anticipo. Ed ecco il libro. Ma non è un libro assolutamente, e solo la raccolta delle storie di Fantozzi che ho scritto per L'Europeo, con qualche punto e virgola in più, buttato giù a caso. Scrivere non sarà mai il mio mestiere, è una cosa fatta per gioco.

Con Fantozzi ho cercato di raccontare l'avventura di chi vive in quella sezione della vita attraverso la quale tutti (tranne i figli dei potentissimi) passano o sono passati: il momento in cui si è sotto padrone. Molti ne vengono fuori con onore, molti ci sono passati a vent'anni, altri a trenta, molti ci rimangono per sempre e sono la maggior parte. Fantozzi è uno di questi.

Nel suo mondo il padrone non è più una persona fisica, ma un'astrazione kafkiana, e la società, il mondo. E di questa struttura lui ha paura sempre e comunque perché sa che è una struttura-società che non ha bisogno di lui e che non lo difenderà mai abbastanza. Questo per lo meno qui da noi. Ma questo rischia di diventare un discorso politico troppo serio per uno “scherzo” quale deve essere tutta questa faccenda del “libro” e mi fermo qui. Mi rendo anche sinistramente conto che stavo andando verso uno dei cinque argomenti “collaudati”…

Roma, luglio '71

FANTOZZI VA A PASSEGGIO CON LA SIGNORINA SILVANI

In fondo, a Fantozzi, la signorina Silvani, che lavorava su in contabilità, piaceva abbastanza. Non era certo una bellezza, anzi a voler essere un po' severi era un “mostrino” di gamba corta all'italiana, denti da coniglietto e capelli tinti, ma certo più viva di sua moglie signora Pina, della quale lui odiava la rassegnazione nel subire il loro tragico ménage matrimoniale senza speranze, ma soprattutto più giovane.

Ecco l'idea di avere a che fare con una donna che aveva dodici anni meno di lui lo solleticava molto.

Domenica pomeriggio la invitò per una passeggiata e lei aveva accettato.

Aveva cominciato a intrigare con la Pina già da venerdì sera, dicendole che domenica pomeriggio c'era una partita che lo interessava e che ci sarebbe andato con i colleghi. Gli intrighi di questo tipo con sua moglie erano un po' inutili, perché lei avrebbe “bevuto” con occhio spento qualunque balla.

Si era comperato per l'occasione una bottiglietta di profumo dal tabaccaio sotto casa, e quando all'una e trenta di domenica salutò sua moglie, questa fiutò l'aria e disse: “Ti profumi per andare alla partita?” lui sobbalzò e tentò: “Chi? Io profumarmi? Ma cosa dici… È il dopobarba nuovo”. La signora Pina non fece commenti e sembrava una statua di sale, lui la guardò mentre scendeva la prima rampa di scale e la vide orrenda, e si sforzò di ricordare, senza riuscirvi, perché diavolo si era innamorato di quel curioso animale domestico.

L'appuntamento con la signorina Silvani era alle due sotto casa di lei. Era già pronta che l'aspettava con un abitino verde con la gonna molto corta. Aveva sbagliato il trucco dell'occhio destro e sembrava un po' strabica. Lui le aprì cavallerescamente (cosa che con sua moglie non faceva da quindici anni) la porta della macchina, la fece accomodare sul sedile e si richiuse violentemente la portiera sul pollice. Cominciò a bussare disperatamente sul vetro con la mano libera per farsi aprire, ma più bussava e più la signorina Silvani, credendo che fosse un modo affettuoso di salutarla, bussava anche lei con le nocche sorridendo. Quando lui svenne lei scese dalla macchina e aiutata da alcuni passanti lo coricò sul sedile. Dopo un'ora lui si riprese e con tono eroico disse: “Non è nulla! Dove vuole andare?”. “Alla città vecchia,” fece lei trillante “i bassifondi li trovo molto affascinanti.” Lui posteggiò la macchina vicino al quartiere malfamato e scesero. Mentre si avvicinavano all'epicentro della malavita, lui le spiegava che nulla gli faceva paura, che l'aveva ben visto lei nell'episodio di poco prima, che lui sopportava benissimo il dolore fisico e che non aveva paura di nulla. Il dito intanto era diventato un dito da “marina” e gli faceva un male da urlare.

Passarono vicino a un gruppo di giovinastri. Uno disse forte: “Che cesso quella donna con quell'imbecille!”. Tutti risero e lui sperò che la signorina Silvani non avesse sentito, anzi per precauzione alzò ancora di più la voce. “Guarda che dice a te, sai,” incalzò un altro giovinastro “e ti dice che la tua amichetta è un cesso!”. E questa volta glielo urlò quasi in faccia.

“La prego, dica qualcosa!” fece la signorina Silvani. A lui tremavano le ginocchia e aveva 680 pulsazioni al secondo. “Ripeta se ha il coraggio!” e la voce gli uscì per caso dalla gola. E quello: “Siete due cessi e tu un gran vigliacco!!”. E gli mollò un pugno tremendo sul labbro superiore che subito cominciò a sanguinare. “Badi come parla!” disse Fantozzi. E il giovinastro: “Ma io non parlo imbecille, io ti spacco la faccia!”. E gli sparò un secondo tremendo pugno sulla ferita. “Guardi che se osa alzare le mani io la…” Non finì la frase perché il giovinastro gli strappò la manica della giacca e la gettò sghignazzando al gruppo che la accolse con applausi. “Cerchiamo di parlare” disse Fantozzi con la vista annebbiata, e il giovinastro gli prese il naso con due dita e glielo cominciò a girare lentamente come una vite. “Provi a mettermi le mani addosso e le faccio vedere” disse Fantozzi con un fil di voce, e quello gli strappò tutta la parte anteriore della giacca e la buttò per terra, poi con sadica lentezza gli strappò la camicia in quattro pezzi, gli sputò in faccia, gli diede un calcio tremendo all'osso sacro e gli urlò dietro, mentre lui si allontanava: “Vai, fila prima che ti ammazzi di botte!”. Lui riprese la passeggiata con la signorina, continuando con un leggero tremito nella voce il discorso interrotto, senza commentare l'episodio.

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