Paolo Villaggio - Caro direttore, ci scrivo…
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- Название:Caro direttore, ci scrivo…
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La benzina che muove i santi è il narcisismo, la mania di specchiarsi nella propria vanità: si fanno amare, ma non amano.
Più che occuparsi del prossimo, si occupano di se stessi.
La santità diventa un mestiere nobile, stimato, che ti conferisce rispetto, potere, carisma e quindi anche molto denaro.
Sono terribili i santi.
Non li amo perché, non essendo competitivi, costruiscono la loro felicità su un piedistallo, che è il dolore dei sofferenti: handicappati, tossici, mostri e malati.
In un viaggio in India, a Calcutta, con mia moglie, sono andato a trovare suor Teresa nel suo famoso lebbrosario.
Un posto atroce, di dolore, in una città che è inimmaginabile, l'inferno.
Mi sono reso conto quasi subito che era, sì, accettata da tutti, perché grande organizzatrice, infaticabile, inesauribile, ma in fondo non era amata, perché tutto il suo gran darsi da fare era viziato dalla vanità e dall'ossessiva aspirazione alla santità.
Quindi, oltre all'orrore per le cose che ho visto, ho provato anche fastidio per queste finalità profondamente egoistiche della santa.
Che ha già una facile beatificazione in corso, e lo sa, un posto prenotato in paradiso, e lo sa, e ha raggiunto prudentemente — casomai non ci fosse nulla dopo — il suo bravo paradiso narcisistico che la rende felice in terra.
Come tutti gli altri grandi della storia, Napoleone, Hitler, Stalin, Churchill, si è anche genialmente costruita un'immagine adatta al suo personaggio: la suorina piccola, col vestito bianco e lo scialle bianco e azzurro, è già famosa come Madonna Ciccone, la Gioconda e Marilyn.
Ricordo che tanti anni fa giravo per il grande Erg algerino, il deserto che si estende per cinquemila chilometri da Algeri fino alle montagne dell'Hoggàr.
Ho incontrato, a duemila chilometri a sud di Ghardaja, una bella signora belga sui cinquant'anni, che tornava, dopo trent'anni di Africa, a Bruges dove stava la sua famiglia.
Abbiamo cenato insieme a lume di candela a bordo piscina dell'Hotel Transàt di Ouarglà. Sono stata il braccio destro per trent'anni di Albert Schweitzer, lo stregone bianco di Lambaréné! mi ha detto senza orgoglio, ma solo perché gli avevo chiesto che mai avesse fatto nel a vita. E com'era? ho chiesto io, curiosissimo.
E lei: Non ho voglia di rispondere, la prego.
E io a insistere: Ma mi dica di lui una cosa sola, la prego, un'unica frase che riassuma il grand'uomo, mi dica com'era!
E lei secca: Sì, se vuole, sì… ma poi non ne parliamo più! Era una carogna, che scappava dalla sua perfidia, e si era rifugiato nella santità.
E di Lambaréné non abbiamo più parlato, ma ci siamo scolati due bottiglie di Vieux Thiber Rosée gelato, un magnifico vino algerino.
Attualmente in Italia sta imperversando un'ondata di finta bontà.
In tivù, per esempio, la cosiddetta tivù del dolore ha un notevole successo di audience.
In queste trasmissioni, degli abili disgrazieri ti impongono ogni sera a casa gente che scappa e viene braccata con maligno accanimento nei modi più diversi: chi li ha visti? telefoni gialli, caffè italiani, piazza Italia, giornate in pretura, ecc., con un grande spreco di malattie più o meno terminali e fatti nostri che sono in realtà delle autentiche sciagure familiari.
Il motivo vero di tanta fortuna è che la maggior parte di noi fa una vita di merda e in tanta mediocre tristezza si consola con i dolori altrui: mal comune mezzo gaudio.
P.S.
Vorrei tanto essere invitato a un ballo di Carnevale di malati terminali: mi sentirei quasi un uomo fortunato!
21 febbraio'93Io sono una merdaccia
La lettera di ieri sulla vanità del volontariato mi ha attirato addosso un sacco di maledizioni.
E tutti a dire che sono una merdaccia.
Purtroppo è vero, io sono una merdaccia, e ce l'ho anche scritto sul passaporto.
Pensate che un tempo ce l'avevo solo nei segni particolari, e adesso invece anche nella professione.
E così la pensano tutti quelli che mi sfiorano, e temo che persino mia moglie anche se non lo dice nell'intimo lo pensa.
Da ragazzino, io ho fatto l'unica recita della mia vita.
Il pezzo che facevamo si chiamava Incantesimo nell'azzurro del cielo d'argento.
Nel cartellone c'era scritto: Personaggi e interpreti: il principe, Paolo Tramontana; la principessa, Tea Cardini; una merda, Ugo Fantozzi.
Questo ruolo io l'ho fatto per tutta la vita sorridendo solo coi denti: anzi tutti i miei amici per strada mi gridavano: Dai merdaccia, fai la merda, e io allora mi muovevo come una merda, tenevo la testa bassa e passeggiavo come una merda, e lo facevo solo per essere accettato. Io non voglio assolutamente dire che i volontari non sono santi, anzi la loro opera è utilissima e fondamentale in uno stato come il nostro che non esiste.
Ma data la mia tragica condizione, non possono sempre schiacciarmi con l'abissale differenza di qualità morali che c'è tra me e loro.
Santi, santoni, santissimi, vi chiedo di essere solo un po' più santi di quel che già siete, e di non farmi sentire sempre un topo di fogna.
Un grande santo non mi deve mai far sentire la merdaccia che purtroppo sono, e voi tutti vi prego, non fatemi sanguinare di più di quel che merito.
Però con tutti questi santi che ci sono in giro, io non so più a che santo votarmi e ho deciso di rivolgermi per una gran supplica alla più alta autorità della gerarchia cattolica: saltando il Papa, mi rivolgo direttamente a lui, Dio in persona.
Io credo disperatamente in Lui.
Lui ha creato tutto, ha montato questa immane baracca, e ora che le cose vanno male non ci deve assolutamente abbandonare nel o schifo nel quale ci troviamo tutti.
Lei Dottore deve assolutamente darci una mano.
Signor Dio, c'è un sacco di gente che sta malissimo e Lei che le cose le sa dovrebbe tenerne conto. Molti poi addirittura non credono neppure in Lei: e credere, per chi soffre, è di grande conforto. Quindi Lei si deve manifestare! O comparendo sulla spalla di Scalfaro al Quirinale alla festa del 2 giugno, o moltiplicando pani e pesci a Mogadiscio, vicino al porto, ogni giorno per un anno intero. Forse Lei non lo fa perché tanti di quei poveracci sono musulmani: ma tenga conto che nemmeno Allah, benché clemente e misericordioso, lì non si è mai fatto vivo. Il di Lei rappresentante sulla terra, il signor Papa, continua a predicare ai politici la moralità, a tuonare contro il lusso e la ricchezza che non portano alla felicità, e contro il consumismo, a invitarci a recuperare i venerandi valori paleocristiani, ad assicurarci che la vera felicità sta nella privazione, e che è importante essere, non avere.
Ma questo glielo devo pur dire, perché Lei forse non lo sa: il signor Papa non vive in miseria.
La sua corte è una corte quasi medievale, è la corte più fastosa del mondo, dove, fino a poco tempo fa, era in uso la sedia gestatoria e il bacio della pantofola.
Pensi, e non mi sento in colpa se faccio la spia, che basterebbe vendere anche solo un terzo delle ricchezze vaticane per sfamare l'intero Corno d'Africa.
Mi si dice da più parti che non si può scherzare con Lei, che non si può pronunciare il suo nome invano, ma mi scusi, se Lei non accetta neppure delle piccole battute come queste, allora, mi scusi di nuovo, vuol proprio dire che Lei non è spiritoso.
E allora mi crolla il mondo addosso.
Insomma, mi creda eccellenza, Lei deve essere, se vuole mantenere la sua autorità, superiore, spiritoso, e anche generoso, nel saper perdonare le mie tragiche pochezze mentali e il mio scadente umorismo.
La prego, signor Dio, mi dia una mano, veramente non so più come chiederlo, vorrei anche approfittare di questo nostro incontro per raccontarLe di Tangentopoli e della nostra indignazione, ma sarebbe un discorso lunghissimo e ho già troppo abusato del suo tempo prezioso.
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