Paolo Villaggio - Caro direttore, ci scrivo…

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Gli indios sono morti quasi tutti.

Spero però che Sacchi ci faccia vincere almeno la qualificazione al mondiale americano, anche senza i tre olandesi, ai quali deve molto della sua fama, e il suo attuale stipendio.

Che il Milan vinca la coppa dei campioni.

E poi vorrei rivolgere una particolare preghiera all'avvocato Agnelli.

Che per una volta si dimentichi di essere stato vestito alla marinara ed educato ad Harvard e si fermi almeno una volta, ma una volta sola, la scongiuro avvocato lo faccia per noi, un venti secondi non di più, a dirci la sua senza avanzare implacabile infastidito, quando all'uscita della tribuna dello stadio delle Alpi viene braccato dalla troupe della Domenica sportiva.

Io so cosa è una troupe televisiva: sono almeno sei persone che devono indietreggiare al a stessa velocità.

Con cavi, parco lampade, due telecamere, i microfoni, i fili, il microfonista rischiando tutti ogni volta una nucata rimbombante sull'asfalto.

D'accordo siamo una razza inferiore, lo si sa, ma almeno una volta ci faccia il regalo magnifico di non ricordarci la nostra condizione.

Vorrei poi che Bugno vincesse il Tour de France, che Chiappucci arrivasse secondo e Coppino Chioccioli terzo come ai tempi d'oro della mia infanzia di Gino, Fausto e Fiorenzo Magni.

Che Alberto Tomba vincesse la coppa del mondo, che un italiano (non importa chi, anche il presidente Scalfaro) vincesse il titolo mondiale di formula uno al volante di una rossa di Maranello, e che gli Abbagnale diventassero immortali.

Per il resto, che vada al diavolo pure tutto, e cambi pure tutto, tanto non ci saremo più quando sarà cambiato troppo.

Voi in fondo l'avete capito che per noi poveri sudditi disperati da poltrona televisiva, goffi vecchibambini che gli anni non maturano, non resta altro che questo andare e venire di sogni.

Buon anno a tutti, vi abbraccio con molto affetto, soprattutto i giovani.

3 gennaio '93

Invidia

Io ho una fottuta invidia per i santi, i grandi uomini, i potenti, le belle donne e per tutti quelli che sembrano felici e riusciti nella vita.

L'invidia è la mia malattia.

Morirò d'invidia.

È un sentimento maledetto, nascosto nei miei cromosomi (si scrive così?).

La dottrina cattolica lo include tra i sette peccati capitali.

Però è l'unico di cui mi vergogno, e che cerco di mascherare: in pubblico, della fortuna degli altri quasi mi rallegro.

Insomma ogni giorno fingo di non invidiare nessuno.

Invece invidio chiunque: i vicini di casa, i colleghi, posso invidiare anche una persona che amo come mia moglie, se solo fa qualcosa meglio di me.

Più invidio, più cerco di mutilare gli altri per abbassarli al mio livello, con ogni mezzo, la maldicenza, la delazione, sempre fingendo amicizia e sollecitudine; e se non ho fatti sgradevoli da propalare, li invento con la faccia e i toni onesti di un brav'uomo sinceramente preoccupato della persona che sta facendo a pezzi.

Mi auguro che vadano male le cose degli altri.

Godo dei loro insuccessi.

Un dramma perché l'amore si può dichiarare, scrivere sui muri.

I grandi poeti sono stati largamente ispirati dall'amore per una donna, o per un uomo come Marcel Proust, che nel suo illeggibile capolavoro contrabbanda per la signorina Albertina scomparsa il suo autista, malauguratamente licenziato dai genitori.

Dell'odio ci si può liberare, uccidendo l'oggetto di un sentimento così intenso.

Ma l'invidia la devi nascondere dentro di te, e allora si accumula, si gonfia a dismisura, e ti può portare ometti normali e insicuri a sterminare a fucilate un intero paese.

Chi soffre d'invidia deve liberarsi di questa penosa malattia.

Come? Vomitatela, esorcizzatela scendendo in strada anche di notte completamente nudi gridatela verso le finestre dei vostri vicini, urlatela, sempre nudi, di giorno, in metrò, ai semafori del vostro quartiere, mescolati ai pulitori di vetro polacchi o ai venditori di accendini dello Sri Lanka. Insomma, dite a tutti che siete morbosamente invidiosi.

Alla fine i vigili vi porteranno alla neuro, ma sarà una grande liberazione, e tornando a casa avrete una gradevole sensazione di pace.

Io invidio Arbore perché è un genio della televisione e mi illudo che abbia, come Celentano, solo il senso del momento e del pubblico.

Invidio Sgarbi perché temo sia candido e coraggioso, quasi come Pasolini, e mi illudo che faccia la fine di Marianini, e si consumi negli anni futuri al rango di macchietta di insultatore televisivo. Invidio Benigni, Nuti, TroiSi Verdone, Moretti, Nichetti e Frizzi, e mi illudo che il loro successo finisca già l'anno prossimo.

L'unico che non invidio, sinceramente, è Paolo Villaggio, perché spero di conoscerlo bene e so che è una gran merdaccia, peggio di me, invidioso come una ballerina di fila, anzi vi giuro che mi fa quasi pena.

Invidio Di Pietro perché ormai è un eroe nazionale: è l'onestone, con la faccia semplice e dura del cow-boy molisano.

Negli ascolti tivù batte anche il fenomeno Mike, potrebbe fare impazzire tutte le dattilografe e le massaie d'Italia.

Potrebbe diventare Presidente della Repubblica, Papa o Re.

In ogni sondaggio è il più votato.

Con chi faresti un viaggio? Numero uno Di Pietro.

A chi affideresti tutti i tuoi risparmi? Numero uno Di Pietro.

Con chi scoperesti? Sempre implacabilmente lui.

Ha vinto il gatto di TvSorrisi e canzoni 1992.

In quanto a copertine ha quasi raggiunto Alba Parietti.

Ma la Parietti ci vive della sua popolarità, il suo mestiere la costringe alla vanità.

Più copertine uguale più soldi.

Però, a volte, quando è troppo appagata, la vanità diventa pericolosa.

Può modificare la rettitudine di un uomo.

Certo, Di Pietro è sorvegliato dai giornalisti, ma qualche pericolo lo corre.

II rischio vero è che chi non ha qualità, in una società copertinistica e competitiva come la nostra, per emergere debba rifugiarsi o nella follia, o nell'alcolismo, o nella tossicodipendenza, o nella violenza da curva sud o da naziskin.

Insomma diventare un animale asociale.

Santi, divi, copertinisti, abbiate pietà di noi merdacce.

Vi ammiro, vi invidio, vorrei essere solo come voi, ma non fate sanguinare ogni giorno la mia invidia.

Non fatemi sentire sempre di più di una casta inferiore.

Siete riusciti nella vita, intelligenti, potenti, ricchi, e scopate chi volete (se ce la fate), ma abbiate pietà di me! Siate umani, non mi condannate ad aspettare la morte di fronte alla Ruota della fortuna, che tanto in Paradiso non mi ci mandano, perché purtroppo non credo nemmeno in Dio.

10 gennaio '93

Riciclaggio

Se in questi prossimi due anni, sotto le violente spalllate dell'inchiesta mani pulite e (piaccia o no a noi fratelli della Grande Sinistra) del vento leghista del Nord, ma soprattutto sotto la pressione esasperata dell'opinione pubblica, dovesse disgregarsi il gran castello costruito dalla partitocrazia, ci troveremmo un problema in più da risolvere.

Che mestiere gli facciamo fare ai segretari dei partiti, ai bracci destri e sinistri, ministri e ministrori, insomma a tutta quel a ganga di persone che hanno governato per tanti anni? Bisogna riconoscere che lo hanno fatto con un criterio molto singolare, ormai questa è storia vecchia.

Ma soprattutto il potere personale è stata la loro mania.

Avevano il controllo assoluto di tutto, e le mani in pasta e in ogni tipo di pantano: servizi segreti, italiani e stranieri, camorra, mafia, logge piduiste, alleanze trasversali e le solite tettone di plastica, con le labbra al silicone e i denti di porcellana, che portavano in giro a nostre spese.

Fratelli della Grande Sinistra, vedete, ripeto ossessivamente le solite cose, ma se lo faccio, credetemi, è che sono esasperato come una vecchia ballerina turca il cui marito è scappato con un giovane studente di Oxford.

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