Alessandra Grosso - Scala E Cristallo

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riportarlo in questo mondo. Quest’ultimo, dopo la bruciatura

sul rogo, era tornato con una sete di sangue sempre maggiore.

Vendetta indossava una maglia a brandelli su cui si poteva

leggere ancora il suo nome: era scritto in gesso bianco e

contornato con il rosso delle sue vittime.

I due killer sentirono subito la presenza di due umani e

si nascosero nell’oscurità senza proferir parola, senza un

solo momento di esitazione. Conoscevano la nostra paura, erano

in grado di fiutarla, e percepivano nell’aria ogni odore,

insicurezza. Sapevano già che c’erano due anime buone vaganti

che avevano perso l’orientamento.

Io e l’altra me eravamo felici di essere insieme ma

proprio quella sensazione ci tradì, nel senso che inizialmente

avevamo perlustrato con timore le antiche rovine con i merli

rovinati e decadenti, ma poi, forse, ci eravamo fatte prendere

dall’entusiasmo ed eravamo andate avanti, ma senza una mappa.

Molte volte ci eravamo ritrovate in vicoli ciechi, e alla

fine, dopo aver girato in tondo più volte, ci eravamo rese

conto di esserci perse.

Non sapendo più come tornare indietro dovevamo cercare di

uscire. Le rovine erano sempre meno danneggiate e più

compatte, come se fossimo entrate in un’ala relativamente più

nuova. I muri erano spessi, grigi e umidi, l’acqua colava dal

soffitto creando delle pozze per terra.

Dentro quel dedalo vi erano grandi stanze semivuote,

grigie, umide e oscure. A volte la condensa si depositava sul

muro, altre si formava una nebbiolina distante da noi.

Incuriosite, cercavamo di capire cosa originasse la nebbia e

perché ci sentissimo terribilmente spiate.

In quel dedalo misterioso due sentimenti opposti

permeavano le nostre anime: timore e voglia di esplorare.

La volontà di esplorazione di nuovi territori è una spinta

che si avverte specialmente durante la pubertà, e in qualche

modo noi eravamo di nuovo delle adolescenti, nostro malgrado

alle prese con nuove esplorazioni.

Le nostre emozioni erano contrastanti ma sapevamo che,

sebbene il pericolo fosse imminente, eravamo esseri umani e

dovevamo mangiare Erano giorni di magra ma avevamo ancora delle riserve di - фото 12

dovevamo mangiare. Erano giorni di magra ma avevamo ancora

delle riserve di carne secca perché quando l’altra me stessa

era fuori dalle rovine, aveva cacciato e raccolto bacche.

Ci ritirammo in un angolino a masticare quella parca mensa

che ai miei occhi non poteva che essere prelibata. I nostri

denti funzionarono come lame che tagliano tutto e la nostra

pietanza scomparve in fretta. Ripulimmo la zona e continuammo

il nostro pellegrinaggio sperando di non fare brutti incontri.

Durante il viaggio avevamo ripreso a vedere immagini orrende

disegnate, scritte che ci spingevano ad andare via, a

scappare, ma dove potevamo scappare?

Dove potevamo trovare un rifugio? Come potevamo uscire da

quel dedalo?

Proseguimmo e fortunatamente trovammo armi e proiettili;

li prendemmo pensando che in futuro avrebbero potuto esserci

utili.

Rinvenimmo anche una sorta di accampamento distrutto.

Sembrava fosse stato attaccato e che i cadaveri fossero stati

trascinati via: si vedevano chiaramente le strisce di sangue

provocate dal trascinamento dei corpi, tuttavia non trovammo

nessuna delle vittime.

Raccogliemmo tutte le armi possibili e anche il piccolo

kit del pronto soccorso: non sapevamo cosa ci aspettava e per

questo ci volevamo preparare. Se avessero voluto uccidere

queste due donne sole, be’, avrebbero dovuto faticare.

Eravamo armate e, sperando di aiutare quelli che erano

stati attaccati, avanzammo seguendo le strisce di sangue.

Tuttavia, presto iniziammo a temere il peggio per i poveri

malcapitati: dovevano aver perso molto sangue e la loro fine o

era già avvenuta oppure era molto vicina.

Seguimmo le strisce di sangue lungo la grande stanza, poi

passammo a un luogo più stretto e oscuro. Solo alcune fiaccole

illuminavano la strada, ma noi avevamo già deciso il nostro

percorso e ci facemmo forza l’una con l’altra.

Dall’angusto corridoio si presentava un passaggio più

ampio con soffitti altissimi che conteneva al centro un altro

stanzone murato. Lì per lì non vedemmo l’entrata, e fu questa

la nostra fortuna perché, sentendo il nostro odore, i mostri

uscirono per cercarci senza sapere esattamente dove fossimo, e

noi potemmo nasconderci subito lungo una roccia.

Erano orrendi e sporchi, macchiati di sangue.

Semplicemente agghiaccianti. Stavano litigando, lo capivo

perché si lanciavano strani raggi e palle infuocate che

percuotevano i loro corpi; se colpiti, si lamentavano con urla

baritonali e terribili.

Non erano urla comprensibili a noi, ma ipotizzavo avessero

iniziato a litigare e farsi i dispetti probabilmente perché

era troppo tempo che erano da soli e si annoiavano.

La lotta continuava e iniziavano a non fiutare più l’aria,

ma solo a litigare tra di loro sempre in modo più

appassionato. Forse avevano perso interesse per noi.

Si stavano facendo male l’uno con l’altro: era il momento

di attaccare e di cercare eventuali sopravvissuti. Avremmo

potuto ancora salvarli o tentare di farlo, pensavo speranzosa.

Tuttavia non vi erano molte speranze, ma se fossero stati

attaccati da poco, magari il kit di pronto soccorso avrebbe

potuto aiutarci.

Decidemmo quindi di prendere i mostri alle spalle e di

sparare mirando alle loro ferite; di indebolirli, se non

ucciderli.

Immaginavo chiaramente il nostro impegno, il nostro

avanzare silenzioso.

Iniziammo a sparare un secondo prima che si accorgessero

di noi. Le nostre pallottole, nonostante le loro dimensioni

mastodontiche, erano dolorose. Gli scaricammo addosso tutto

quello che potemmo, ma poi tutto finì male.

Vidi la fine, la vidi negli occhi scuri della donna che

era stata mortalmente ferita ed era esattamente uguale a me;

potevo vedere con i suoi occhi e percepire la vita che la

stava abbandonando lentamente. Tuttavia dovevo andarmene. Lei

capì che dovevo scappare e nei suoi occhi vidi il perdono e la

comprensione. La mia fuga era capita, giustificata.

Nei giorni a venire avrei sognato e sentito tutto il

dolore di quella creatura provenuta da molto lontano che

giammai avrei rivisto, la mia stessa immagine proveniente da

una dimensione diversa. Avrei sentito il gelido impatto

generato dal vortice infuocato che mi risucchiava, avrei

sentito il contatto con il freddo pavimento rudimentale, avrei

guardato in alto sapendo che non c’era più speranza in questo

mondo.

Nonostante tutto i mostri erano ancora vivi e potevano

farmi del male: dovevo lasciare da sola la mia compagna di

avventure appena trovata.

Per cercare di ucciderli lei si diede fuoco, facendo

saltare in aria i proiettili che erano rimasti. Ciò creò un

immenso dolore ai mostri che sembrarono urlare, gemere e

ruggire di rabbia e frustrazione e dolore. Li avevo visti in

ginocchio con la coda dell’occhio e dentro di me sperai di

essermene liberata.

Attraversai il largo passaggio e mi ritrovai nella stanza

dove Dannazione e Vendetta torturavano i prigionieri e li

sacrificavano a qualche divinità degli inferi.

Diversi corpi erano stati scannati e impiccati al

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