Lev Tolstoj - Guerra e pace. Ediz. integrale

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Scritto tra il 1863 e il 1869 e pubblicato per la prima volta tra il 1865 e il 1869 sulla rivista Russkij Vestnik, riguarda principalmente la storia di due famiglie, i Bolkonskij e i Rostov, tra le guerre napoleoniche, la campagna napoleonica in Russia del 1812 e la fondazione delle prime società segrete russe. Per la precisione con cui i diversissimi piani del racconto si innestano all'interno del grande disegno monologico e filosofico dell'autore Lev Tolstoj, Guerra e pace potrebbe definirsi la più grande prova di epica moderna, e un vero e proprio «miracolo» espressivo e tecnico. Guerra e pace è considerato da molti critici un romanzo storico, in quanto offre un ampio affresco della nobiltà russa nel periodo napoleonico.

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I Francesi, secondo l’informatore, passato il ponte di Vienna, si avanzavano a marce forzate su Znaim, precedendo i Russi di cento verste. Afferrando Znaim prima dei Francesi, si potea avere fondata speranza di salvar l’armata; dando loro il tempo di giunger prima, significava affrontare la sicura vergogna d’una disfatta irreparabile. Se non che, precorrere con tutta l’armata i Francesi era impossibile. La strada da Vienna a Znaim era più breve ed assai più praticabile di quella che bisognava battere partendo da Krems.

Ricevuta la notizia, la notte stessa Kutusow spiccò un’avanguardia di quattromila uomini, sotto il comando di Bagration, dalla via Krems-Znaim sulla via Vienna-Znaim. Bagration dovea coprire la prefissa distanza in una sola marcia, fermarsi facendo fronte a Vienna, e se gli veniva fatto di anticipare sui Francesi, contendere loro il passo per quanto era possibile. Tutto il resto dell’esercito con gl’impedimenti mosse per Znaim sotto gli ordini dello stesso Kutusow.

Percorrendo quarantacinque verste fra monti impervii, con soldati affamati e scalzi, in una notte burrascosa, perdendo un terzo dell’effettivo in uomini stanchi e spedati, Bagration arrivò ad Hollabrunn sulla via Vienna-Znaim alcune ore prima dei Francesi, che venivano da Vienna. A Kutusow, per raggiungere Znaim, toccava ancora marciare altre ventiquattr’ore; epperò, per salvar l’armata, Bagration con soli quattromila soldati affamati ed esausti, doveva, per lo spazio di ventiquattr’ore, trattenere tutto l’esercito nemico a Hollabrunn. L’impresa evidentemente era impossibile. Ma il capriccio del destino fece possibile l’impossibile. Il successo dello stratagemma, che avea dato il ponte di Vienna in mano dei Francesi, invogliò Murat a tentare un simile inganno con Kutusow. Incontrando ad Hollabrunn il debole distaccamento di Bagration, Murat credette aver di fronte l’intera armata di Kutusow. Per annientarla con sicurezza, pensò di aspettare le altre truppe ancora in marcia da Vienna, e a tale scopo propose un armistizio di tre giorni, a condizione che l’una e l’altra armata conservassero le rispettive posizioni e non si movessero di un passo, Assicurò esser già in corso trattative di pace, epperò doversi risparmiare una vana effusione di sangue. Il generale austriaco conte Nostiz, che occupava gli avamposti, prestò fede al parlamentario di Murat e indietreggiò, scoprendo così il distaccamento di Bagration. Un secondo parlamentario, con lo stesso mandato del primo, si presentò al fronte del distaccamento. Bagration rispose non avere il diritto di accettare o respingere un armistizio, e della proposta fattagli mandò subito avviso a Kutusow per mezzo d’un aiutante.

L’armistizio era per Kutusow l’unico mezzo di guadagnar tempo, di far riposare gli stanchi soldati di Bagration e di far passare carri e bagagli (il cui movimento era nascosto ai Francesi) in un’ultima tappa su Znaim. La proposta offriva l’inattesa possibilità di salvar l’armata. Senza indugiare un momento, fu spedito al campo nemico il generale aiutante Vinzengherode, col mandato non solo di accettar l’armistizio ma di presentare i patti di una capitolazione. Agli aiutanti di Kutusow fu ordinato di sollecitare in tutti i modi il movimento dei carriaggi sulla via Krems-Znaim. Solo il distaccamento di Bagration, coprendo il detto movimento e quello di tutta l’armata, doveva rimanere immobile davanti ad un nemico otto volte più forte.

Le previsioni si avverarono appuntino. L’offerta d’una capitolazione, che a nulla obbligava, fece guadagnare il tempo voluto, traendo Murat in un errore che di lì a poco sarebbe apparso patente. Non appena Bonaparte, che trovavasi a Schönbrunn a 25 verste da Hollabrunn, ebbe fra le mani il rapporto di Murat e il progetto di armistizio e di capitolazione, riconobbe l’inganno e scrisse al suo generale la lettera seguente:

«Al principe Murat.

Schönbrunn, 25 brumaio anno XIV (16 Novembre 1805, alle ore otto del mattino)

«Non so trovar parole per esprimervi la mia indignazione. Voi non siete che comandante dell’avanguardia, e non avete il diritto di conchiudere un armistizio senza mio ordine. Voi mi fate perdere il frutto d’una campagna. Rompete immediatamente l’armistizio e attaccate il nemico. Gli farete dichiarare che il generale, il quale ha firmato la capitolazione, non era in diritto di farlo; che questo diritto appartiene esclusivamente all’imperatore di Russia.

«Quante volte l’imperatore di Russia ratificasse la detta convenzione, io la ratificherei; ma questa non è che un’astuzia: marciate, distruggete l’armata russa; siete in grado di catturarle bagagli e artiglieria. L’aiutante di campo dell’imperatore di Russia è un gaglioffo. Gli ufficiali non sono nulla, quando non hanno facoltà; e costui non ne aveva. Gli Austriaci si son lasciati prendere al laccio pel passaggio del ponte di Vienna; voi vi lasciate mettere nel sacco da un aiutante dell’imperatore.

«NAPOLEONE.»

Un aiutante partì a briglia sciolta, latore di questa lettera minacciosa a Murat. Lo stesso Bonaparte, non fidandosi dei suoi generali, mosse con tutta la Guardia pel campo di battaglia, temendo non gli sfuggisse la vittima designata. E intanto i quattromila uomini di Bagration, accesi allegramente i loro fuochi, si asciugavano, si scaldavano, preparavano il rancio per la prima volta dopo tre giorni, nessuno sospettando della bufera imminente.

XV

Alle quattro di sera, ottenutane licenza da Kutusow, il principe Andrea arrivò a Grunt e si presentò a Bagration. L’aiutante di Bonaparte non aveva ancora raggiunto Murat, epperò non c’era indizio di battaglia. Fra la gente di Bagration, ignara del corso generale degli eventi, si discorreva di pace, senza però prestarvi fede. Anche di battaglia si parlava, ma non si credeva che fosse imminente.

Bagration accolse assai benignamente l’aiutante favorito di Kutusow, e gli disse che probabilmente la sera stessa o il giorno appresso si sarebbe impegnato l’azione. Se così gli talentava, vi prendesse parte; se no, sorvegliasse nella retroguardia l’ordine di ritirata, il che anche importava moltissimo.

— Del resto, per oggi, assai probabilmente, non ci sarà nulla, – conchiuse Bagration, come per rassicurarlo.

«Se è uno dei soliti bellimbusti di stato maggiore, – pensò, – mandati al campo per buscarsi una croce, anche alla retroguardia la riceverà lo stesso; se invece vuol rimanere con me, faccia pure... un bravo ufficiale non è mai di troppo.»

Il principe Andrea, senz’altro rispondere, domandò il permesso di visitare la posizione e la distribuzione delle truppe, per sapere, in caso di ordini da eseguire, dove dirigersi. L’ufficiale di servizio, bell’uomo, azzimato, con un anello di brillanti all’indice della sinistra, si offrì di accompagnarlo.

Da tutte le parti emergevano ufficiali inzuppati, di malumore, cercanti qua e là qualche cosa, e soldati che si tiravan dietro dal villaggio porte, banchi, palizzate.

— Non ci si libera da questa gente, – disse l’ufficiale. – I comandanti non sanno stringere i freni. Ecco qua... C’è assemblea plenaria sotto la tenda del cuciniere. Proprio stamane, m’è toccato scacciarli tutti: siam da capo, come vedete. Andiamo, principe... Tanto, una lavata di capo non sarà buttata via.

— Andiamo, prenderò anch’io un po’ di pane e di formaggio...

— E perchè non dirmelo prima, principe? Vi avrei offerto io da refocillarvi.

Smontarono di sella ed entrarono nella tenda. Vari ufficiali, stanchi e rossi in viso, sedevano ad una tavola, mangiando e bevendo.

— Ma che roba è questa, signori! – gridò l’ufficiale in tono di rimprovero, come chi sia costretto a ripetere un ordine già dato. – Non è lecito abbandonar così il posto. Il principe ha ordinato che nessuno venga qui... Ah, eccovi anche voi, capitano! – e si volgeva ad un piccolo, sudicio, magro ufficiale di artiglieria, senza scarpe (le avea messe ad asciugare al fuoco), con le sole calze, il quale, alzatosi all’apparire dei due visitatori, atteggiava le labbra ad un sorriso poco naturale.

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