Lev Tolstoj - Guerra e pace. Ediz. integrale

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Guerra e pace. Ediz. integrale: краткое содержание, описание и аннотация

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Scritto tra il 1863 e il 1869 e pubblicato per la prima volta tra il 1865 e il 1869 sulla rivista Russkij Vestnik, riguarda principalmente la storia di due famiglie, i Bolkonskij e i Rostov, tra le guerre napoleoniche, la campagna napoleonica in Russia del 1812 e la fondazione delle prime società segrete russe. Per la precisione con cui i diversissimi piani del racconto si innestano all'interno del grande disegno monologico e filosofico dell'autore Lev Tolstoj, Guerra e pace potrebbe definirsi la più grande prova di epica moderna, e un vero e proprio «miracolo» espressivo e tecnico. Guerra e pace è considerato da molti critici un romanzo storico, in quanto offre un ampio affresco della nobiltà russa nel periodo napoleonico.

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Soldati e ufficiali, a quello strepito, parvero rianimarsi. Tutti sorsero in piedi, e seguirono con occhi intenti i movimenti dei nostri e quelli del nemico. Il sole si sprigionò in quell’istante dalle nuvole, e lo scoppio giocondo della granata si confuse con l’improvviso sfolgorio del sole in uno slancio concorde di esultanza guerriera.

VII

Due palle nemiche eran già passate sibilando sul ponte. Qui la ressa era grande. Nel mezzo stava Nesvizki, il quale, smontato dal cavallo, era premuto contro il parapetto. Rideva e guardava indietro al suo cosacco, che teneva due cavalli per la briglia. Non appena tentava di dare un passo e di spingersi oltre, soldati e furgoni lo respingevano e tornavano a schiacciarlo, nè egli poteva altro fare che sorridere.

— Ohè! paesano, a te dico! – gridò il cosacco ad un soldato del treno che guidava un carro, aprendosi a stento la via tra i pedoni che si stringevano alle ruote e ai cavalli, – ohè! Aspetta, perdiana!... Vedi che passa il generale!

Ma il soldato, sordo all’appello, urlava come un ossesso agli uomini che gli sbarravano la strada:

— A voi, camerati! appoggiate a sinistra! largo! bada! occhio alle ruote!

I camerati però, stretti spalla a spalla, impacciati dagli zaini, imbrogliandosi con le baionette, procedevano sempre in massa compatta. Guardando in giù dal parapetto, Nesvizki vedeva le rapide onde gorgoglianti dell’Enns, che frangendosi contro i piloni del ponte, s’incalzavano l’una con l’altra. Altre onde vive e tumultuose scorrevano sul ponte; erano soldati, caschi, berretti, zaini, baionette, lunghe canne luccicanti, facce rozze e stanche, piedi strascicati e guazzanti nella melma attaccaticcia. A momenti, da quelle onde uniformi, quasi uno spruzzo di bianca spuma, emergeva un mantello di ufficiale; a momenti anche pareva che esse trascinassero nell’assidua corrente una leggiera sverza o una trave massiccia: un ussaro appiedato, un borghese, un attendente, un furgone carico di bagagli.

— Maledetti! – esclamò il cosacco. – Gli è come avessero sfondato la steccaia!... E non finiscono, per tutti i diavoli!

— Saranno un milioncino meno uno, – motteggiò un buontempone che passava. Un vecchio caporale, che gli camminava sulle calcagna, diceva ad un suo camerata:

— Adesso che l’ amico ci scalda il ponte, non c’è verso di grattarsi la pancia. Avanti!

— Ma dove diamine s’è ficcato il cacciavite? – gridava un attendente, correndo dietro un carro e frugando sotto il copertone di tela incatramata.

Altri ed altri soldati seguivano, evidentemente un po’ brilli.

— Bisognava vederlo, con che gusto gli ha dato del calcio nei denti! – contava allegramente un soldato, col bavero del cappotto rialzato, agitando le braccia.

— Bel boccone di prosciutto una culatta ferrata.

E via anche questi, sicchè a Nesvizki non venne fatto di sapere chi avesse tirato il colpo e chi l’avesse assaggiato.

— Eh via, che furia! – brontolava stizzito un sottufficiale. – Per un colpo a polvere che il nemico ha tirato, sta a vedere che hanno a cader come mosche!

— Quando la palla m’ha rasentato, – diceva un soldato dalla bocca enorme, trattenendosi a stento dal ridere, – mi si è accapponata la pelle. Parola d’onore, ho avuto una tremarella dell’altro mondo!

E pareva vantarsi dello spavento provato.

Anche questi passò. Seguì un carro, affatto dissimile dai precedenti. Era un carretto tedesco, tirato da due cavalli, e carico, a quanto pareva, di una intiera casa. Lo guidava un grasso e biondo tedesco, e si tirava dietro, legata per la cavezza, una bella vacca screziata dalle enormi mammelle. Sopra un piumino sedevano una donna con in braccio un bambino poppante, una vecchia e una giovanetta dalle guance rubiconde. Erano abitanti, cui era stato permesso di lasciar la città. Tutti gli occhi dei soldati si volsero, naturalmente, alle donne, e mentre il carretto passava, non mancarono motti ed osservazioni. Su tutte le bocche errava un sorriso, che tradiva una certa licenza di pensieri tutt’altro che guerreschi.

— Vedi un po’! anche lei, la salsicciona, fa fagotto!

— Vendimi la mammina, – diceva un altro soldato al Tedesco, il quale, abbassati gli occhi, impaurito ed offeso, allungava il passo.

— Eh, eh! come s’è strebbiata e azzimata!

— E che bocconcino quell’altra!... tutta sangue e latte!

— Pagheresti qualcosa tu per farle compagnia...

— Oh! ne ho visto io delle donne, paesano!

— Dove andate? – domandò un ufficiale di fanteria, occhieggiando la giovanetta. Mangiava una mela e masticando il boccone, volgeva la parola al Tedesco. Questi chiuse gli occhi e fè segno di non aver capito.

— Ne vuoi?... Prendi, – disse l’ufficiale, offrendo la mela alla fanciulla. Questa sorrise e accettò. Anche Nesvizki, come gli altri, non toglieva gli occhi dalle donne. Passate che furono, ricominciò la stessa sfilata di soldati, gli stessi discorsi si alternarono, le stesse grida suonarono. Di botto tutta quella massa umana si arrestò. Come spesso segue, alla discesa del ponte, i cavalli di un furgone si appoggiarono sulle groppe, epperò tutta la folla fu costretta a fare alto.

— Ancora una fermata!... Che confusione! – si gridava da varie parti. – Non spingete, accidenti! Un po’ di pazienza... Non c’è pericolo che salti il ponte... Anche lì, povero ufficiale, te lo hanno ammaccato contro il parapetto...

A questo punto, Nesvizki udì uno strepito nuovo, che rapidamente si avvicinava, e poi un tonfo fragoroso e un violento spruzzo delle acque sottostanti.

— Corbezzoli! tirano per davvero! – esclamò un soldato.

— Ragione di più per affrettare il passo, – disse un altro, alquanto inquieto. La massa umana si rimise in movimento. Nesvizki capì che si trattava di una bomba.

— Ehi, cosacco! qua il cavallo! – gridò. – A voi, largo, largo!

E con grandi sforzi, arrivò fino all’animale, montò in sella, spronò. La calca un momento si aprì, ma subito si richiuse più fitta, premendogli e schiacciandogli una gamba. I più prossimi non ne aveano colpa, perchè sospinti da quelli di dietro.

— Nesvizki! Nesvizki!... Pezzo di tanghero! – suonò una voce rauca.

Nesvizki si voltò e vide a quindici passi di distanza, in mezzo alla folla, Vasca Denisow, rosso in viso, arruffati i capelli, col berretto sulla nuca, con la casacca gettata alla sbarazzina sulla spalla destra.

— Ma di’ a cotesti demoni che ci lascino passare! – gridava in un parossismo di rabbia, mandando fuoco dagli occhi neri e agitando la sciabola non sguainata, che stringeva nella mano ancor più rossa del viso.

— Ah, Vasca! – rispose allegramente Nesvizki. – Che fai tu costì?

— Lo squadrone non può passare, – seguitò a gridar Denisow, spronando il suo bel Beduino, un morello arabo, bianco di spuma, dalle orecchie frementi per le punture accidentali delle baionette, scalpitante sulle assi del ponte, pronto, se mai, a saltare di sopra al parapetto.

— Ma che porcheria è questa!... – Montoni, veri montoni! Largo! Indietro! Ferma... aspetta tu con quel carro... Vi taglio a sciabolate, perdio!

E sguainò infatti la sciabola e prese a menar piattonate.

I soldati si strinsero spaventati, e i due amici poterono alla fine affiancarsi.

— O che, non sei brillo oggi? – domandò Nesvizki.

— Non te ne danno nemmeno il tempo... Ti sballottano di qua e di là col reggimento... Capisco menar le mani... Ma lo sa solo il diavolo quel che si fa adesso!

— Ma come sei azzimato oggi! un vero damerino...

— Si capisce, – rispose Denisow, cavando di tasca un fazzoletto profumato e cacciandolo sotto il naso dell’amico. – Si va a nozze... incontro al nemico... Epperò, mi son fatto la barba, spazzolato i denti e impregnato di profumi.

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