Federico Moccia - Scusa ma ti chiamo amore
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gio di quell'asfalto e giù di nuovo. Tin tin tin. E così via, sciocco gioco metropolitano di chi non ha voglia di pensare. Non pensare. Non pensare. Mauro fa un respiro lungo e poi sbuffa dalla bocca tutta l'aria in alto. E un altro respiro ancora più lungo, più del primo e di nuovo fuori l'aria. Ecco. Sta meglio. Sì, si sente meglio. Continua a guidare così. Sale sul cavalcavia. Due mignotte sono ferme, in fondo alla strada. Gli vengono incontro. Una alza la gonna cortissima davanti e mostra il pube nudo. Radi peli scomposti sotto la luce del lampione. Stanchi, stufi di respirare smog. L'altra, con delle scarpe alte, laccate di rosso, si gira su se stessa e piegandosi in avanti, mostra il sedere nudo, bianco, sodo. Mauro fa una curva col motorino, le sfiora, cerca in qualche modo di colpirle con un calcio. Così, per scherzo. Ma le due polacche quel tipo di scherzo non lo capiscono. E gridano parolacce nella loro lingua. Una prende un sasso da terra e glielo tira dietro. Niente. Mira sbagliata. Finisce sul bordo della strada. Sicuramente, pensa Mauro, non hanno passato l'infanzia al tiro a segno del Luna Park. Lui sì. Si allenava coi soldi di suo padre a tirare una stupida pallina da ping pong in una vaschetta trasparente. Se tutto andava bene, tornava a casa con un bustone d'acqua e un pesce rosso. Che avrebbe fatto un tuffo nel cesso dopo neanche una settimana. Mauro sbanda un po col motorino, poi curva e scende dal cavalcavia, sparendo nella notte. Le due mignotte si ricompongono e restano nel freddo della notte, di fronte a un fuoco spento da tempo aspettando un cliente a cui vendere un po di sesso in attesa di un amore vero. Perché l'amore vero lo cercano tutti. Senza doverlo vendere o comprare. Ma forse da lì non passerà mai.
Mauro sorride tra sé mentre torna verso casa. Cazzo, quella bruna che m'ha mostrato il culo me la sarei fatta. M'ha eccitato. È che nun c'ho un euro, porca troia. E ripiomba in una disperazione assurda. Improvvise immagini confuse. Paola. Paola quando l'ha conosciuta. Paola a una festa. Paola che si spoglia. Paola che ride. Paola e la sua prima volta. Paola con lui sotto la doccia quel giorno che non c'era nessuno in casa. Paola quella
volta in montagna, l'unica vacanza che hanno fatto. Quella breve vacanza. Una piccola vacanza di un giorno in una camera d'albergo. Con quei due tipi ricconi che facevano snowboard, lui un sacco più grande di lei. Del vino bianco. E la cena sotto le stelle. Paola. Dove sarà ora? Dove sarà domani? Dove sarà nella mia vita? E improvvisamente torna disperato. Si perde. Pensa, ricorda, soffre. Ha finito le lacrime. E quasi la benzina. Cazzo, ma quando l'ho fatta? Avevo il pieno oggi. Di colpo s'accorge d'essere arrivato sotto casa sua. Ma non ha voglia di salire su. Non subito. Ha paura di trovare sveglio qualcuno. Di sentire domande, di dover dare risposte. Così, con un filo di gas continua a camminare. Si ferma poco dopo. Scende, mette la catena al motorino e fa per entrare in quel pub. L'unico che resta aperto fino a tardi da quelle parti. Ma che dico. Stasera è ancora presto. Mauro guarda l'orologio. Sono le undici. Pensavo di più. Le notti che fanno male non passano mai. Spinge la porta del pub. Una mano gli si poggia sulla spalla.
"A bello, che fai in giro?" Gino, il Civetta, compare davanti a lui.
"Ahò, mortacci tua, m'hai fatto prende una strizza..."
"Entriamo? Andiamo a bere una cosa, offro io quello che vuoi come ai vecchi tempi." Il Civetta prende sotto braccio Mauro senza aspettare la sua risposta. Lo trascina dentro e lo lancia quasi su uno sgabello nell'angolo in fondo. Poi cade anche lui, sull'altro sgabello, di fronte a Mauro e subito alza il braccio, facendosi vedere dalla ragazza dietro il bancone.
"Che vuoi tu?"
Mauro, timido. "Ma, non lo so. Una birra."
"Macché, facciamoci un whisky, qui ce n'hanno di pazzeschi, uno sballo" e rivolto di nuovo alla ragazza, "ehi, Mary, ce ne porti due di quello che ho preso ieri sera? Belli alti, però, eh? Nun fa la taccagna... e lisci." Poi si avvicina a Mauro, si stende quasi verso di lui con le braccia in avanti, poggiate su quel piccolo tavolino di legno. "Ahò, ieri sera me so sfondato una bottiglia intera." Poi si gira ancora verso Mary. "L'ho aspettata che finiva e l'ho accompagnata a casa con la mac
china di ieri..." Il Civetta si avvicina a Mauro e fa un gesto con le dita della mano, facendole ruotare su se stesse, come a dire l'ho fregata. "Ci siamo fermati sotto casa sua. Ahò, col fatto che c'avevo la strizza che la pula pizzicasse la macchina e pure pé la bottiglia che m'ero scolato, me stava a fa un brutto scherzo, l'amico Joe." Il Civetta si tocca in mezzo alle gambe. "Poi ho dato una piccola botticella... be, la più bella scopata degli ultimi due anni."
Proprio in quel momento arriva Mary coi due bicchieri e direttamente la bottiglia. "Ma non bevete troppo." Guarda Gino e gli sorride. "Fa male bere..." Il Civetta alza la testa sorridendole. "Ma alla fine fa anche bene, eh?" Mary sorride, scuote la testa e si allontana con la sua gonna stretta, un po sudata, con una fascia legata in vita e i capelli raccolti con piccoli sbuffi dietro le orecchie. Ma soprattutto camminando con la certezza di essere guardata.
"Ahò" il Civetta prende il suo whisky con la destra e poggia la sinistra sul braccio di Mauro, poi fa su e giù con la testa, "mi sa che stasera la punisco di nuovo." Poi beve un sorso a testa indietro. Ma si accorge che invece Mauro non ha ancora toccato il suo bicchiere. Nulla. Sta lì fermo. Tranquillo. Troppo tranquillo. Un po abbattuto.
"A bello, ma che c'hai?" Il Civetta gli mette una mano dietro la testa e gliela scuote. "Allora? Te sei ammutolito? Che c'hai, dillo a papa. Ammazza come sei moscio! Che, t'hanno ammazzato er gatto?"
Mauro rimane impassibile. Poi prende il bicchiere, se lo porta alle labbra, ci ripensa un attimo, poi da un lungo sorso. Quando abbassa la testa, stringe forte gli occhi. "Aaah, ma quant'è forte."
Il Civetta annuisce. "Nun è forte, è bono. Allora adesso poi parla? Che t'è successo?"
Mauro da un altro sorso al whisky. "Ma niente... Paola."
"Ah, la ragazza tua. Te l'avevo detto, quella vole sta comoda."
"M'hai portato sfiga."
"No. Te la sei portata da solo. Tutte le ragazze vogliono sta comode. Soprattutto..."
"Soprattutto?"
" se so belle. C'è sempre qualcuno che sta aspettando di falle sta comode."
Mauro resta in silenzio.
"E sai qual è il problema?"
"No, qual è?"
"Che quelle lo sanno benissimo." Il Civetta annuisce, scuote la testa poi da un lungo sorso. Mauro lo guarda e poi lo segue. Un sorso lungo, fino in fondo, senza fermarsi, senza staccare. Il Civetta lo guarda ammirato. "Ammazza, t'è piaciuto, eh?" Mauro scuote forte la testa, la agita, cercando di liberarsi da qualcosa che gli è rimasto in gola.
"Ce l'ho il rimedio per te, dammi retta..." Il Civetta prende i soldi dalla tasca davanti. Trova dieci euro e li butta sul tavolo.
"Cioè?" chiede Mauro.
"La scorciatoia per farla stare comoda. Vedrai che in due serate la ribecchi, l'amore tuo..."
Mauro è indeciso. Guarda dritto il Civetta. "Dici?"
"No dico, è matematico. Prima però devi venì con me." Il Civetta si alza, va verso il bagno. Mauro lo segue. Il Civetta chiude la porta alle sue spalle e ci si poggia sopra, sicuro che così non entra nessuno. "Tiè." Tira fuori una bustina trasparente dalla tasca dei jeans. È piena di polverina bianca. "Te ce vò 'na botta de coca. Come battesimo."
Il Civetta stacca lo specchio dal muro e lo appoggia sul lavandino. "T'ho trovato pure il nome, no? Falco Pellegrino. Er Civetta col Falco Pellegrino. Ti piace?"
"Sì. Ma che dobbiamo fa?"
Il Civetta si piega sullo specchio e con venti euro arrotolati spolvera una striscia bianca nella narice sinistra. "Facile." Tira ancora un po col naso. "Tiè, queste so le chiavi della mia moto. Io c'ho il doppio. Tu me devi solo accompagna a prendere una macchina da un'amica e poi te ne vai a casa tua con la mia moto. E io la passo a prendere domattina. Facile, no?"
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