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Federico Moccia: L'uomo che non voleva amare

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Federico Moccia L'uomo che non voleva amare

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Poi Giorgia cominciò a piangere. Mattia, più forte, era interdetto.

«Mamma… mamma…»

Non sapeva che fare. Insieme i due bambini la aiutarono a rialzarsi. Fabrizio De Luca prese alcune foto, sicuramente sarebbero state utili agli avvocati nella causa di separazione e poi se ne andò sotto gli sguardi attòniti dei soci del circolo.

Roberta cercò di consolare Giorgia.

«Su amore, non è niente…»

«Ma perché papà ha fatto così? Perché ti ha pic-chiata?»

In quel momento una foto cadde dal tavolo. Giorgia la raccolse. «Mamma… ma questa sei tu!»

Roberta gliela sfilò di mano e, con le lacrime che le rigavano il volto, se la mise nella tasca posteriore dei jeans. Poi prese in braccio Giorgia, per mano Mattia e cominciò a camminare traballante sotto gli occhi di tutti. La sua guancia segnata di rosso portava le cinque dita stampate sulla pelle. Arrivata davanti al tavolo di Tancredi si fermò.

Davide era imbarazzato. Roberta era in piedi di fronte a loro, in silenzio. Le lacrime continuavano a scenderle senza che riuscisse a trattenerle.

Mattia non riusciva a capire, la tirò per un braccio.

«Mamma, ma perché piangi? Perché hai litigato con papà? Si può sapere che succede?»

«Non lo so, amore.»

Poi guardò Tancredi. «Dimmelo tu.»

Tancredi rimase in silenzio. Prese il vino e ne bevve un sorso. Poi si asciugò le labbra con il tovagliolo e lentamente lo poggiò di nuovo sulle gambe.

«Forse ti stavi stancando della felicità. Quando la ri-troverai, saprai apprezzarla.»

«Amore, ci sei?» Nello stesso istante in cui disse quelle parole, a Sofìa si strinse il cuore. Come sarebbe potuto essere altrimenti? Dove sarebbe potuto andare? E

soprattutto come? E in quel preciso momento le sembrò di sentire l’eco di una frenata e poi uno schianto, i vetri infranti, la lamiera che si accartocciava, quella sequenza quasi al ralenti nella sua mente.

Poggiò la busta della spesa sul tavolo. Si toccò la fronte, era sudata. Poi portò le mani sui fianchi e si guardò intorno. Quella misera cucina, quei bicchieri un po’ segnati dall’uso, quel vetro consumato. Si ritrovò in uno specchio e quasi non si riconobbe. Il suo volto stanco, i capelli scomposti, ma soprattutto il suo sguardo privo di luce. Ecco cosa le mancava: la luce. La sua bellezza, quella che da sempre le avevano tanto decantato come se fosse il suo unico pregio, a volte quasi dandole fastidio, in realtà era sempre lì. Era solo stanca. Sofia si sistemò i capelli. Poi si tolse la giacca e la poggiò su una sedia. Cominciò a mettere a posto la spesa. Mise il latte nel frigo. Fin da ragazza aveva lottato con quella bellezza, avrebbe sempre voluto essere considerata solo per la sua grande passione, il suo incredibile talento, quel dono ricevuto fin da piccola, il suo amore per la musica.

Il pianoforte era la sua unica ragione di vita. Le note riempivano i suoi pensieri. All’età di sei anni, durante le prime lezioni, aveva scelto alcuni pezzi classici. Aveva chiesto di portare a casa gli spartiti e li aveva arrangia-ti e interpretati in maniera diversa, facendoli diventare la colonna sonora della sua vita. Andava sull’altalena, correva, si tuffava in mare, guardava il sole al tramonto, tutto con quelle note in testa. Ogni momento della sua vita era accompagnato da un brano musicale capace di commentarlo al meglio.

Sofia era fatta così. Aveva scelto Après une lecture de Dante di Franz Liszt, lo avrebbe usato come suo inno all’amore.

Aveva deciso che lo avrebbe suonato solo per il suo uomo, quello che l’avrebbe fatta sentire felice e innamorata. Ma non era mai successo. Fino a quando non aveva conosciuto Andrea. Architetto e giocatore di rugby.

Fisico e mente. Proprio come lei. Passione e razionalità.

Si erano conosciuti a una festa e avevano cominciato a frequentarsi. Per la prima volta si era lasciata andare ed era arrivato quel momento. Si era innamorata. Avrebbe potuto suonare il suo inno all’amore. Nei giorni precedenti lo aveva provato più volte perché fosse perfetto, come lei lo voleva, come lei lo sentiva, come lei avrebbe voluto suonarlo per lui, solo per lui, per il suo Andrea.

E quella sera era pronta, se solo non fosse accaduto…

Era appena rientrata a casa quando si accorse che il telefono stava squillando. Sofia chiuse la porta, posò la borsa e corse a rispondere.

«Pronto?»

«Finalmente! Ma dov’eri?»

«A lezione. Sono rientrata adesso.»

«Ok amore. Allora ti ho preso la pizza con pomodori pachino e mozzarella…»

«Ma ti avevo detto solo pomodori pachino, pomodori e basta!»

«Amore, ma perché sei così aggressiva?»

«Perché non mi ascolti mai.»

«Ma la mozzarella quando arriverò a casa sarà fredda e la tirerai via facilmente. Così rimarranno i pomodori pachino e basta, proprio come vuoi tu.»

«Il problema non è la pizza, è che non mi ascolti! Lo vuoi capire o no?»

«Ho capito… sto tornando.»

«Non ti apro!»

«Neanche se torno indietro e ti porto la pizza pachino e mozzarella?»

«Ti ho detto solo pachino!»

«Ma sì… Stavo scherzando!»

«Sì, sì, intanto non mi ascolti e mi tratti sempre come una deficiente!»

«Senti, certo che quando vuoi litigare e ti ci metti, non c’è proprio verso, eh…»

«Mi tratti come mia madre! Me ne sono andata da casa apposta per questo appena ho fatto diciott’anni…

E ora mi ritrovo con uno che non mi ascolta e mi prende in giro.»

E gli chiuse il telefono in faccia. Andrea si rimise il cellulare nella giacca, scosse la testa, riaccese la moto, e accelerò pieno di rabbia, infastidito da questa voglia comunque di discutere a ogni costo. Prima, seconda. “Ma possibile che con lei si debba sempre litigare? E che cazzo! Va be’, non mi sono ricordato che non voleva la mozzarella e allora? C’è bisogno di farla tanto lunga?”

Terza, quarta, sempre più veloce, sempre più rabbioso, giù per la discesa, diretto di nuovo verso quella pizzeria. Ottanta. Cento. Centoventi. Centoquaranta. Per la grande velocità la visuale della strada si strinse, e la col-lera quasi lo accecò, insieme a quelle lacrime causate dal vento, tanto da non vedere in fondo alla discesa quella macchina ferma in un angolo.

Una mano azionò la freccia, lampeggiò una volta, due, poi, senza più aspettare, l’auto sbucò dal buio e saltò in avanti. Si immise nella strada proprio mentre stava arrivando Andrea a tutta velocità. Fu un attimo.

A bordo di quella macchina c’era una signora anziana.

Appena vide quelle luci che arrivavano si spaventò. Si bloccò così, stupita, al centro della strada, senza più andare avanti né indietro, incapace di qualsiasi iniziativa.

“Ma…” Andrea non fece in tempo a scalare, a frenare, restò a bocca aperta, con gli occhi sbarrati. Era come se quell’auto, ferma in mezzo alla strada, si avvicinasse a velocità inaudita.

Non riuscì neanche a gridare, nulla, strinse forte il manubrio e chiuse gli occhi. Non c’era più tempo per fare niente, nemmeno per pregare, solo quell’ultimo pensiero: “Una pizza pomodori pachino, senza mozzarella”. Non avrebbe potuto dimenticarlo. Non più.

Buio.

«Mi preoccupa presentartelo.»

«Perché?»

«Perché potrebbe piacerti più di me…»

«Impossibile.» Benedetta rise portandosi la mano davanti alla bocca. Poi bevve un po’ del Bitter che aveva ordinato e alzò le spalle.

Gianfilippo la guardò incuriosito. «Perché impossibile? È più giovane di me… E più bello di me e, soprattutto, è molto ma molto più ricco di me…»

Benedetta diventò improvvisamente seria. «Allora mi piacerà un casino.»

Gianfilippo sollevò un sopracciglio. «Ah.»

«Sì… soprattutto perché tu sei stronzo.» Ora era de-cisamente irritata. «Ma credi davvero che mi possa interessare perché è più ricco di te?»

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