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Federico Moccia: L'uomo che non voleva amare

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Federico Moccia L'uomo che non voleva amare

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Poco dopo fu all’ospedale, all’affannata ricerca del pronto soccorso. Sofia non credeva ai suoi occhi, le sembrava di vivere in un incubo, era come un girone infernale, uomini e donne feriti, bianchi in volto, dalle espressioni doloranti, si aggiravano per quello stanzo-ne. Qualcuno piangeva, qualcuno si disperava, altri stavano in un silenzio attonito, come se non volessero accettare in nessun modo quello che ormai era accaduto.

«Dov’è? Mi dica dov’è…» cominciò a urlare al primo che sembrava un dottore. Poi qualcuno glielo disse. Co-sì si ritrovò davanti alla sala operatoria. Era sola. Aveva avvisato la madre di Andrea che però era in viaggio e lì sarebbe arrivata il prima possibile. Passarono i minuti, interminabili, poi le prime ore. Un silenzio inconcepi-bile. Si sentivano quasi scoccare i secondi. Come se ci fosse stato un unico orologio al centro della Terra che teneva il lento, inesorabile passare del tempo. Sofia era affranta. Era rimasta immobile con le mani che le copri-vano il viso, piegata in avanti su se stessa, appoggiata al-le ginocchia. Poi le parole inesorabili dell’unico dottore che sembrava credibile.

«Lo stiamo operando ma non posso nasconderle che non credo che ce la farà. E se ce la farà sarà durissima per lui. Forse non potrà mai più camminare.»

Sofia si sentì mancare, sarebbe caduta se non ci fosse stato quel dottore a sorreggerla.

«Non potrà più camminare…»

Quelle parole le erano rimbombate nella mente. E

allora che fare? Cosa sperare? Se mai avesse potuto decidere, cosa avrebbe scelto? Se un dottore le avesse chiesto: “Mi dica, Sofia, cosa sceglie per Andrea? La vita… o la morte?”.

“Ma una vita come, dottore? Una vita infelice? Una vita da handicappato, una vita da invalido? Lui che ha sempre amato la sua fisicità, la sua forza, lui, il ragazzo senza confini, che non conosceva paura, lui dei mille sport, delle mille avventure. Lui che sembrava non aver mai sonno, mai essere stanco. Lui e la sua voglia di amare, lui e la sua voglia di vita… Cosa mi sta do-mandando, dottore? Quale scelta ho? E se un giorno tornasse a camminare? Quante volte vi siete sbagliati voi medici…”

E così, su quell’ultimo disperato pensiero Sofia non poté che pregare. «Fa’ che viva, Signore…»

E lentamente cominciò a elencare tutti i possibili voti, una dopo l’altra prometteva silenziose rinunce a tutto ciò che amava, in cambio della vita di Andrea.

Era l’alba quando il chirurgo uscì dalla sala operatoria. Sofia alzò il viso lentamente e incrociò il suo sguardo. Timorosa, chiuse un attimo gli occhi. “Ti prego, Signore, giuro che manterrò tutto quello che Ti ho promesso in cambio della sua vita…”

E quando li riaprì, vide il chirurgo sorridere.

«Ce la farà. Ci vorrà tempo ma ce la farà.»

Allora cominciò a piangere e in quella felicità sentì il silenzioso dolore della sua promessa: non avrebbe suonato mai più.

Più tardi andò a vedere dove era avvenuto l’incidente. Sul bordo della strada c’era ancora la moto completamente accartocciata, alcuni pezzi di vetro della macchina e mille altri, più piccoli, del fanale della mo-to, delle frecce e del contachilometri. Poi Sofia aveva guardato meglio. Per terra non c’era alcun segno di frenata. Non ne aveva avuto il tempo. Poco più in là, l’auto della signora. Lo sportello centrale deformato, il vetro di quel finestrino spaccato, la lamiera tagliata.

Sofia passò la mano sulla portiera. Sentì tra le sue dita l’urlo di Andrea, il dolore, l’impatto, i sogni che si fran-tumavano, i suoi pensieri disperdersi nel vento. Allora la ritrasse spaventata da tutto quello che era andato perduto. Poco più in là, tra radi ciuffi d’erba al bordo della strada, improvvisamente una dolorosa scoperta.

E si sentì in colpa, come se quella tragedia appartenesse solo a lei, come se tutta la colpa fosse sua, solo sua.

Spalancata al cielo, tinta da quell’alba appena nata, una scatola di cartone.

Una pizza, sporca di terriccio, giaceva rovesciata sull’asfalto. Alcune formiche pasteggiavano con quella mozzarella e i pomodori pachino ormai freddi.

Allora Sofia si accovacciò a terra e cominciò a piangere, sentendosi colpevole come non mai e sporca, co-me quella pizza, se non di più.

«La maggior parte dei tuoi guadagni li hai fatti grazie a lui. È anche per questo forse che ti è così simpatico.»

Sara continuò a mettere a posto alcune camicie riti-rate dalla tintoria. Aprì il grande armadio bianco della camera da letto e prese alcune stampelle.

Davide, che era appena rientrato a Torino, la seguì per la stanza. «Mi è sempre stato simpatico. Fin da scuola, e poi non è vero, io non ho mai basato le mie personali valutazioni o i miei sentimenti su un guadagno. Anzi…»

Sara si girò all’improvviso. «Anzi cosa? Vuoi forse dire che non ti ho fatto fare soldi o, peggio, che te ne ho fatti perdere?»

Davide si sedette sul letto. «Non parlavo di te. Parlavo dei miei amici, a volte ho fatto fare a loro degli affari, vedi Caserini. Gli ho fatto comprare casa e non è certo uno che naviga nell’oro… Infatti non ho voluto la per-centuale. Lo avrei messo in difficoltà.»

«Già…» Sara infilò due camicie di seta sulle stampelle e richiuse l’armadio. «Tancredi però stranamente ti è più simpatico di tutti. Gli hai comprato case a Miami, a Lisbona, a New York, a San Francisco, non mi ricordo in quale altro posto del mondo e poi cinque o sei nei più bei posti d’Italia, a Capri, a Venezia, a Firenze, a Roma, tutte enormi e in zona centrale e, come se non bastasse, gli hai fatto comprare anche un’isola…»

«È l’uomo più ricco che io conosca e il meno conosciuto. Vuole sempre me per i suoi affari, per non figurare e soprattutto per non avere problemi. Non capisco perché non lo dovrei aiutare a spendere i suoi soldi.»

Sara si mosse veloce per la casa, Davide la seguì. «E

poi se non lo facessi io ci sarebbe comunque qualcun altro… Solo che lui non si fida di nessuno e ha scelto me.

Che colpa ne ho?»

Sara si girò all’improvviso e gli si avvicinò. Ora era a pochi passi da lui. «Tu? Nessuna, ma devi essere ogget-tivo. Ti è particolarmente simpatico anche perché ti ha riempito di soldi, e non gli trovi un difetto… be’, sempre per la stessa identica ragione.»

Sara andò in cucina. In un attimo Davide le fu dietro.

«Oggi tu vuoi litigare…»

Sara aprì il frigo e si versò un po’ d’acqua. «Assolutamente no. Ne vuoi un po’ anche tu?»

«No grazie.»

Davide si sedette di fronte a lei. «E comunque non è vero, ci sono molte cose che critico. Come quello che ha fatto oggi, per esempio.»

Sara finì di bere, poi gli chiese ironica: «Cosa ha fatto di così grave da meritare una tua critica?».

Davide in un attimo capì che era stato veramente superficiale. A volte la rabbia non ti permette di essere lucido. Se le avesse raccontato la storia di quella donna del circolo, di quelle fotografie portate a tavola davanti ai suoi figli, be’, avrebbe avuto di sicuro qualche problema a continuare a frequentarlo, diciamo che sarebbe finita un’amicizia e con quella anche nuove opportunità di guadagno. Cercò di distrarla cambiando argomento.

«A proposito, ti ricordi la famiglia Quarti? Non sta passando un buon periodo. C’è una villa di loro proprietà, bellissima anche se un po’ diroccata, che Tancredi dovrebbe assolutamente vedere. Varrà almeno quindici milioni di euro ma si può portare via forse a dodici.»

«Allora, si può sapere cosa ha combinato oggi il tuo amico Tancredi?»

Non era riuscito a distrarla.

«Ah sì…» Davide si rassegnò a riprendere quel discorso. «Praticamente ha fatto litigare una coppia. Due amici del circolo, credo…»

«Era amico di lui?»

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