Stephenie Meyer - Twilight

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Twilight: краткое содержание, описание и аннотация

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Bella si è appena trasferita a Forks, la città più piovosa d’America. È il primo giorno nella nuova scuola e, quando incontra Edward Cullen, la sua vita prende una piega inaspettata e pericolosa. Con la pelle diafana, i capelli di bronzo, i denti luccicanti, gli occhi color oro, Edward è algido e impenetrabile, talmente bello da sembrare irreale. Tra i due nasce un’amicizia dapprima sospettosa, poi più intima, che presto si trasforma in un’attrazione travolgente. Finora Edward è riuscito a tener nascosto il suo segreto, ma Bella è intenzionata a svelarlo. Quello che ancora non sa è che più gli si avvicina e maggiori sono i rischi per lei e per chi le sta accanto... Mentre nella vicina riserva indiana riprendono a circolare inquietanti leggende, un dubbio si fa strada nella mente di Bella. Il sogno romantico che sta vivendo potrebbe essere in realtà l’incubo che popola le sue notti.

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«Lì sopra c’è il telefono», mormorai indicando il tavolino.

Due paia di occhi immortali mi fissarono.

«È casa di mia madre».

Alice balzò immediatamente dal divano con in mano il telefono. Io restai con gli occhi sbarrati sulla prospettiva perfetta del salotto di casa mia. Jasper, contrariamente alle sue abitudini, mi si avvicinò. Mi sfiorò piano la spalla, e il contatto aumentò la sua influenza benefica. Il panico divenne sfocato e nebuloso.

Le labbra di Alice vibravano, snocciolando parole velocissime, in un ronzio basso impossibile da decifrare. Non riuscivo a concentrarmi.

«Bella», disse Alice. Io seguitai à guardarla, confusa.

«Bella, Edward sta venendo a prenderti. Lui, Emmett e Carlisle ti porteranno via, per tenerti nascosta».

«Edward sta arrivando?». Quelle parole furono il salvagente che mi teneva a galla nel diluvio.

«Sì, con il primo volo da Seattle. Abbiamo appuntamento all’aeroporto, dopodiché te ne andrai via con lui»,

«Ma, mia madre... sta cercando mia madre, Alice!». Malgrado la presenza di Jasper, l’isteria trabordò nella mia voce.

«Jasper e io resteremo qui a proteggerla».

«Non posso cavarmela, Alice. Non potete restare a guardia di tutti i miei cari per sempre. Capite cosa sta facendo? Non segue soltanto le mie tracce. Appena ne avrà l’occasione, farà del male a qualcuno a cui voglio bene... Alice, non posso...».

«Lo prenderemo, Bella».

«E se accade qualcosa a uno di voi, Alice? Pensate che ne sarei contenta? Pensate che possa colpirmi soltanto facendo del male alla mia famiglia umana?».

Alice lanciò uno sguardo d’intesa a Jasper. Una nebbia di letargia profonda e pesante mi avvolse e chiusi gli occhi contro la mia volontà. Mi resi conto di ciò che stava accadendo e cercai di restare lucida malgrado la nebbia. Mi costrinsi ad aprire gli occhi e mi alzai, allontanandomi dal contatto con la mano di Jasper.

«Non voglio dormire!».

Sbattendo la porta rientrai in camera, per essere libera di crollare in privato. Alice non mi seguì. Per tre ore e mezzo restai rannicchiata nel letto a dondolarmi e a fissare la parete. La mia mente girava in tondo, cercando inutilmente una via di uscita da quell’incubo. Non c’era scampo, non c’erano soluzioni. Nel futuro vedevo la luce sbiadita di una sola conclusione possibile. La sola incertezza riguardava il numero di persone che nel frattempo ci sarebbero andate di mezzo.

L’unico sollievo, l’unica speranza che mi era rimasta, era la consapevolezza che presto avrei rivisto Edward. Forse il suo viso mi avrebbe ispirato la soluzione che in quel momento mi sfuggiva.

Quando il telefono squillò, tornai nel salone, vergognandomi un po’ del mio comportamento. Speravo di non averli offesi e che capissero quanto gli fossi grata dei sacrifici che facevano per il mio bene.

Alice parlava, rapida come sempre, ma ciò che attirò la mia attenzione fu che, per la prima volta, Jasper non c’era. L’orologio segnava le cinque e mezzo del mattino.

«Stanno per salire sull’aereo», disse Alice. «Atterreranno alle nove e quarantacinque». Ancora qualche ora da sopportare, prima dell’arrivo di Edward.

«Dov’è Jasper?».

«È andato a pagare il conto».

«Non restate qui, voi?».

«No, ci trasferiamo in un posto più vicino a casa di tua madre».

A quelle parole, mi si strinse lo stomaco.

Ma fui distratta da un altro squillo del cellulare. Alice sembrava sorpresa, io mi feci immediatamente avanti, fiduciosa.

«Pronto?... No, è qui accanto». Alice mi passò il telefono, dicendomi sottovoce che era mia madre.

«Pronto?».

«Bella? Bella?». Era la sua voce, mi chiamava con un tono familiare che da piccola avevo sentito migliaia di volte, quando mi avvicinavo troppo al bordo di un marciapiede o mi perdeva di vista in un posto affollato. Era la voce del panico.

Feci un sospiro. Me lo aspettavo, malgrado avessi cercato, nel mio messaggio, di risultare il meno allarmata possibile, senza però sminuire l’urgenza.

«Calmati, mamma», risposi, cercando di rassicurarla, allontanandomi piano da Alice. Non ero sicura che con i suoi occhi addosso sarei riuscita a mentire senza tradirmi. «Va tutto bene, okay? Dammi solo un minuto e ti spiego tutto, te lo prometto».

Feci una pausa, sorpresa che non mi avesse ancora interrotta.

«Mamma?».

«Bada a non aprire bocca finché non te lo dirò io». La voce che sentii era inattesa e sconosciuta. Era un tenore, piacevole quanto anonimo, il genere di voce maschile che si sente fuori campo nelle pubblicità delle auto di lusso. Parlava molto in fretta.

«Ora, non è il caso che io faccia del male a tua madre, perciò ti prego di fare esattamente ciò che dico e non le torcerò un capello». Restò zitto per qualche istante, mentre io tacevo, terrorizzata. «Molto bene, complimenti. Adesso ripeti ciò che dico, e cerca di farlo con naturalezza. Per favore, di’: “No, mamma, resta dove sei”».

«No, mamma, resta dove sei». La mia voce era poco più che un respiro.

«Accidenti, temo che sarà una bella impresa». Sembrava divertito, spiritoso e amichevole. «Perché non cambi stanza, così nessuno ti vede in faccia? Non c’è ragione di far soffrire tua madre. Mentre ti allontani, di’: “Mamma, ti prego, ascoltami”. Dillo ora».

«Mamma, ti prego, ascoltami». Mi diressi molto lentamente in camera da letto, con lo sguardo di Alice addosso. Chiusi la porta cercando di restare lucida, malgrado il terrore mi attanagliasse il cervello.

«Brava. Adesso sei sola? Rispondi soltanto sì o no».

«Sì».

«Ma di certo riescono a sentirti».

«Sì».

«Molto bene», proseguì quella voce gradevole. «Di’: “Mamma, fidati di me”».

«Mamma, fidati di me».

«È andata molto meglio di quanto pensassi. Prevedevo una lunga attesa, ma tua madre è tornata a casa in anticipo. Così è più facile, no? Meno tensione, meno ansia per te».

Restai in ascolto.

«Ora voglio che tu mi stia bene a sentire. Desidero che ti allontani dai tuoi amici. Pensi di poterci riuscire? Rispondi sì o no».

«No».

«Che peccato. Speravo fossi un po’ più fantasiosa. Pensi che riusciresti ad allontanarti da loro se da ciò dipendesse la vita di tua madre? Rispondi sì o no».

Doveva esserci un modo. Ricordai che stavamo per andare all’aeroporto. Aeroporto internazionale di Sky Harbor: affollato, caotico...

«Sì».

«Così va meglio. So che non sarà facile, ma se ho il minimo sospetto che hai compagnia, be’, sarà un bel guaio per tua madre, te lo assicura. A questo punto dovresti conoscerci a sufficienza per renderti conto di quanto impiegherei a sapere se stai cercando di portare qualcuno con te. E quanto velocemente potrei agire, se decidessi di prendermela con tua madre. Capisci? Rispondi sì o no».

«Sì». Ero senza voce.

«Molto bene, Bella. Questo è ciò che devi fare. Voglio che torni a casa di tua madre. Accanto al telefono troverai un numero. Chiamalo, ti risponderò io e ti dirò dove andare». Sapevo già dove sarei andata e dove tutto sarebbe finito. Ma ero decisa a seguire le istruzioni. «Puoi farcela? Rispondi sì o no».

«Sì».

«Prima di mezzogiorno, per favore. Non ho tutta la giornata a disposizione», disse educato.

«Dov’è Phil?».

«Ah, stai attenta, Bella. Aspetta che ti dia il permesso, prima di parlare».

Attesi.

«Ora, è importante che, quando torni di là, i tuoi amici non sospettino niente. Digli che tua madre ti ha chiamata e che l’hai convinta a rimandare il ritorno. Adesso, ripeti con me: “Grazie, mamma”. Dillo ora».

«Grazie, mamma». Stavo per mettermi a piangere, ma riuscii a trattenere le lacrime.

«Di’: “Ti voglio bene, mamma, ci vediamo presto”. Ora».

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