«Carlisle voleva attirare il segugio più a nord possibile, aspettare che si avvicinasse e poi tornare indietro a tendergli un’imboscata. Esme e Rosalie dovrebbero dirigersi a ovest, finché la femmina le segue. Se dovesse cambiare direzione, loro tornerebbero a Forks per tenere d’occhio tuo padre. Immagino che le cose stiano procedendo bene, se non possono telefonare. Significa che il segugio è molto vicinò e non vogliono che li ascolti».
«Neanche Esme?».
«Penso che dovrà prima tornare a Forks. Non si azzarderebbe a chiamare, se rischiasse di farsi sentire dalla femmina. Di sicuro tutti agiscono con la massima attenzione».
«Pensi davvero che siano al sicuro?».
«Bella, quante volte devo ripeterti che noi non siamo in pericolo?».
«Se così non fosse, mi diresti la verità?».
«Sì. Ti dirò sempre la verità». Sembrava sincera.
Per un attimo ci pensai su, e conclusi che lo era.
«E allora dimmi... come si diventa vampiri?».
La mia domanda la prese in contropiede. Si zittì. Mi rigirai nel letto per osservarla, la sua espressione era ambigua.
«Edward non vuole che te lo dica», rispose con fermezza, ma qualcosa mi diceva che non era d’accordo.
«Non è giusto. Credo di avere il diritto di saperlo».
«Lo so».
La guardai, impaziente.
Sospirò: «Si arrabbierà tantissimo».
«Non riguarda lui. Resterà tra me e te. Alice, te lo chiedo da amica». E in qualche modo, ormai eravamo davvero amiche. Probabilmente lei lo sapeva da sempre.
Mi fissò con i suoi occhi splendidi, grandi... inquieti.
«Ti spiegherò come funziona», disse infine, «ma io non me lo ricordo, non l’ho mai fatto né visto fare, perciò tieni conto che è solo teoria».
Aspettavo che parlasse.
«In quanto predatori, disponiamo di un arsenale vastissimo, molto più ricco del necessario. La forza, la velocità, i sensi affinati, per non parlare di quelli come me, Edward o Jasper, che sfruttano sensi supplementari. E poi, come fiori di piante carnivore, le nostre prede ci trovano fisicamente attraenti».
Immobile, ricordavo con quanta precisione Edward mi avesse dimostrato quello stesso concetto, nella radura.
Lei si illuminò di un sorriso ampio e inquietante. «E c’è un’altra arma che definirei superflua. Siamo anche velenosi». I denti mandarono un bagliore. «È un veleno che non uccide: mette soltanto fuori combattimento la vittima. Funziona lentamente, si diffonde attraverso il sangue in modo che la preda, sopraffatta da un dolore tanto intenso, non possa sfuggire. Come ho detto, è un’arma quasi del tutto superflua. Se siamo così vicini, la preda non fa comunque in tempo a scappare. Ci sono le eccezioni, certo. Carlisle, per esempio...».
«Perciò... se si lascia che il veleno si diffonda...».
«La trasformazione dura qualche giorno, a seconda di quanto veleno circola nel sangue e di quanto ne entra nel cuore. Il cuore pompa sangue e veleno che, entrando in circolo, guarisce e trasmuta il corpo. Alla fine il cuore si ferma, e la metamorfosi è completa. Ma in ogni singolo istante del mutamento, la vittima non desidera altro che morire».
Avevo i brividi.
«Ecco, non è una cosa piacevole».
«Edward mi ha detto che per voi è un’operazione molto delicata. Non capisco».
«In un certo senso, somigliamo anche agli squali. Se sentiamo il sapore, o l’odore, del sangue, diventa molto difficile mettere a tacere l’istinto famelico. Talvolta è impossibile. Perciò mordere qualcuno, assaggiarne il sangue, scatena l’impulso. È difficile per entrambi: la sete di sangue da una parte, il dolore insopportabile dall’altra».
«Secondo te, perché non ricordi nulla?».
«Non lo so. Per gli altri, il dolore della trasformazione è il ricordo più acuto della loro vita da esseri umani. Io non ricordo nemmeno di esserlo stata». Si era intristita.
Restammo in silenzio, chiuse ciascuna nei propri pensieri.
I secondi passavano, ed ero talmente assorta da essermi dimenticata della presenza di Alice.
Poi, all’improvviso, scese dal letto con un balzo leggero. Alzai la testa di scatto, sorpresa.
«È cambiato qualcosa». Sembrava impaziente e non parlava con me.
Raggiunse la porta nello stesso istante in cui vi apparve Jasper. Era ovvio che avesse ascoltato la nostra conversazione e l’esclamazione improvvisa di Alice. Le posò le mani sulle spalle e la fece sedere sul bordo del letto.
«Cosa vedi?», chiese, concentrato, fissandola negli occhi. Lei aveva lo sguardo perso, metteva a fuoco qualcosa di molto, molto lontano. Mi sedetti accanto a lei, chinandomi per ascoltarne la voce svelta e flebile.
«Vedo una stanza. È lunga, ci sono specchi dappertutto. Il pavimento è di legno. Lui è nella stanza, in attesa. C’è dell’oro... una linea dorata sugli specchi».
«Dov’è la stanza?».
«Non lo so. Manca qualcosa... Una decisione che non è stata ancora presa».
«Quando?».
«Presto. Arriverà nella stanza degli specchi oggi, o forse domani. Dipende. Sta aspettando qualcosa. Ora è al buio».
Jasper sapeva come interrogarla, calmo e metodico: «Cosa fa?».
«Guarda la TV... no, è un videoregistratore, al buio, in un altro posto».
«Riesci a vedere dove?».
«No, c’è troppo buio».
«E nella stanza degli specchi cos’altro c’è?».
«Solo gli specchi e l’oro. È una linea che corre per tutta la stanza. Ci sono un tavolo nero, con sopra un grosso impianto stereo, e un televisore. Qui lui tocca il videoregistratore, ma non lo guarda come nella stanza buia. Questa è la stanza in cui aspetta». Fissò il vuoto, poi mise a fuoco il volto di Jasper.
«Nient’altro?».
Scosse il capo. I due si guardavano, immobili.
«Cosa significa?», chiesi.
Sulle prime, nessuno riuscì a rispondermi, poi parlò Jasper.
«Significa che i piani del segugio sono cambiati. Ha preso una decisione che lo porterà alla stanza degli specchi e alla stanza buia».
«Ma non possiamo sapere dove sono queste stanze?».
«No».
«Però sappiamo che non riusciranno a spingerlo sulle montagne a nord dello Stato di Washington. Riuscirà a sfuggirgli». La voce di Alice era cupa.
«E il caso di chiamarli?», chiesi. Si scambiarono uno sguardo preoccupato, indecisi.
Poi il telefono squillò.
Prima ancora che potessi alzare gli occhi, Alice era dall’altra parte della stanza.
Schiacciò un tasto e avvicinò il cellulare all’orecchio, ma non fu lei a parlare per prima.
«Carlisle», disse in un fiato. Non sembrava sorpresa né tranquillizzata, come invece ero io.
«Sì», disse, lanciandomi un’occhiata. Per qualche lunghissimo istante rimase in ascolto. «Mi è apparso poco fa». Descrisse di nuovo la sua visione. «Qualunque motivo l’abbia spinto a prendere quell’aereo... lo porterà a quelle stanze». Fece una pausa. «Sì», disse al telefono, poi si rivolse a me: «Bella?».
Mi porse il cellulare. Corsi a prenderlo.
«Pronto?».
«Bella».
«Oh, Edward! Ero preoccupatissima!».
«Bella», sospirò, frustrato, «ti ho detto di preoccuparti solo di te stessa». Sentire la sua voce era qualcosa di incredibilmente bello. La nuvola di disperazione svanì pian piano e se ne andò.
«Dove sei?».
«Appena fuori Vancouver. Bella, mi dispiace: l’abbiamo perso. Si muove con prudenza, riesce sempre a starci lontano quel tanto che basta perché mi sia impossibile sentire ciò che pensa. Ma adesso è sparito... sembra che abbia preso un aereo. Probabilmente tornerà a Forks per ricominciare la caccia da capo». Alle mie spalle, Alice aggiornava Jasper, con parole velocissime che si confondevano in un brusio.
«Lo so. Alice l’ha visto altrove».
«Tu però non devi preoccuparti. Non troverà niente che lo porti a te. Devi soltanto restare lì e aspettare che lo ritroviamo».
Читать дальше