Avrei voluto distogliere lo sguardo ma non ci sono riuscito. Era troppo squisita, troppo matura. Ho avuto l’impressione che tutto ciò che avevo visto in quell’ultimo lasso di tempo — il terreno di lava, l’albero e i suoi frutti, la mandria pallida, l’antilope e la tigre; persino la strana creatura alata che era apparsa per un attimo nel mio campo visivo — che tutte queste apparizioni fossero nella e della donna che si trovava davanti a me. Lei era la loro creatrice e la loro carnefice, il mare in cui nuotavano e la roccia da cui erano scaturite.
In quell’istante ho deciso che avevo visto abbastanza. Avevo bevuto tutto ciò che avevo potuto mantenendo la mia sanità mentale. Era tempo che voltassi le spalle a quelle visioni per rifugiarmi nella sicurezza della banalità. Avrei avuto bisogno di tempo per assimilare ciò a cui avevo assistito, e i pensieri che quello spettacolo aveva generato.
Ma andarsene era tutt’altro che facile. Staccare gli occhi dalla vista della moglie di mio padre è stata la cosa più difficile; ma quando finalmente l’ho fatto e mi sono voltato in direzione della porta, non sono riuscito a trovarla. L’illusione mi circondava da ogni parte; non restava più alcuna traccia della realtà. Per la prima volta dall’inizio delle visioni, ho ripensato ai discorsi di Luman sulla follia e sono caduto preda del panico. Era possibile che, senza accorgermene, avessi allentato la presa sulla sanità mentale? Ero alla deriva in quell’illusione in cui non c’era più terreno solido per i miei stessi sensi?
Con un brivido mi sono ricordato della culla in cui Luman era stato tenuto legato; e dell’espressione di rabbia insanabile nei suoi occhi. Era questo ciò che mi aspettava adesso? Una vita senza certezze, senza solidità; quella foresta come una prigione che avevo creato con il mio respiro, e l’altro mondo, in cui ero stato reale e felice, per quanto le mie ferite me lo avevano permesso, ridotto a un semplice sogno di libertà a cui non avrei potuto fare ritorno?
Ho chiuso gli occhi per tagliare fuori l’illusione. Ho pregato come un bambino in preda al terrore.
“ Oh Dio del cielo, veglia sul tuo servo in questo istante; ti prego… aiutami.
“ Ti prego. Allontana queste cose dalla mia testa. Non le voglio, Signore. Non le voglio. ”
Mentre mormoravo la mia preghiera, mi sono sentito investire da un’ondata di energia. Il bagliore tra gli alberi che si era fermato poco lontano da me, si stava muovendo di nuovo. Ho continuato a pregare, certo che se il fuoco stava venendo a prendermi, lo stesso valeva per Cesaria.
“ Salvami, Signore. ”
Anche lei stava venendo per mettermi a tacere. D’improvviso, ne sono stato sicuro. Lei faceva parte della mia follia e stava venendo a cancellare le parole che avevo mormorato per difendermi.
“ Signore, ti prego, ascoltami. ”
L’energia si è intensificata come se intendesse strapparmi le parole dalle labbra.
“ In fretta, Signore, in fretta! Mostrami come uscire di qui! Ti prego! Dio del cielo, ti prego! ”
“Shhh…” mi ha sussurrato Cesaria. Era proprio dietro di me. Ho avuto l’impressione che i capelli sulla nuca mi si rizzassero e bruciassero. Ho aperto gli occhi e mi sono guardato oltre la spalla. Eccola, ancora in un bozzolo di fuoco, la carne scura luccicante. Di colpo, mi sono sentito la bocca arida; non sono quasi riuscito a parlare.
“Voglio…”
“Lo so”, ha detto lei dolcemente. “Lo so. Lo so. Povero piccolo. Povero piccolo perduto. Rivuoi la tua mente.”
“Sì…” ho singhiozzato io, sull’orlo delle lacrime.
“Ma è lì”, ha continuato lei. “Tutto attorno a te. Gli alberi. Il fuoco. Me. È tutto tuo. ”
“No”, ho protestato. “Non sono mai stato in questo posto prima.”
“Ma questo posto è stato in te. È qui che tuo padre è venuto a cercarmi, un’eternità fa. Lo ha sognato in te quando tu sei nato.”
“Lo ha sognato in me…” ho ripetuto.
“Ogni visione, ogni sensazione. Tutto ciò che era e tutto ciò che sapeva e tutto ciò che sapeva sarebbe successo… è nel tuo sangue e nelle tue viscere.”
“E allora perché ne ho così paura?”
“Perché sei rimasto attaccato a un te stesso più semplice per tanto tempo, perché pensi di essere la somma di ciò che puoi tenere tra le mani. Ma ci sono altre mani che ti tengono, bambino mio. Piene di te. Traboccanti di te…”
Avevo il coraggio di credere a tutto questo?
Cesaria ha risposto come se avesse sentito i miei dubbi pronunciati ad alta voce.
“Non ti posso rassicurare. O decidi di credere che queste visioni sono una saggezza più grande di tutto quello che hai mai conosciuto, o decidi di liberartene, allora cadrai di nuovo.”
“Cadrò dove?”
“Ma sulle tue stesse mani, naturalmente”, ha detto lei. Era divertita da me? Dalle mie lacrime e dai miei tremori? Penso di sì. Ma non potevo biasimarla; anche una parte di me mi trovava ridicolo, impegnato a pregare un dio che non avevo mai visto per sfuggire alla vista di glorie per le quali un uomo di fede avrebbe dato qualsiasi cosa. Ma avevo paura e non riuscivo a staccarmi da quello stato d’animo. Avevo paura.
“Poni la tua domanda”, ha detto Cesaria. “Tu hai una domanda. Ponila pure.”
“Sembra così infantile.”
“Allora ascolta la risposta e passa ad altro. Ma prima devi chiedere.”
“Sono… al sicuro?”
“Al sicuro?”
“Sì. Al sicuro.”
“Nella tua carne? No. Non posso garantirtelo. Ma nella tua forma immortale, niente e nessuno può distruggerti. Se cadrai tra le tue stesse dita, ci saranno altre mani a sostenerti. Te l’ho già detto.”
“E… Sì, penso di crederti”, ho risposto.
“Allora”, ha detto Cesaria, “non hai alcuna ragione per impedire ai ricordi di raggiungerti.”
Si è avvicinata ancora di più. La sua mano era coperta di un’infinità di serpenti: sottili come capelli ma dai colori sgargianti, gialli, rossi e blu, attoreigliati attorno alle sue dita come gioielli vivi.
“Toccami…”
Ho alzato lo sguardo sul suo viso che aveva un’espressione dolce e calma, e poi ho osservato di nuovo la mano che voleva che prendessi.
“Non aver paura”, mi ha detto. “Non mordono.”
Ho preso la sua mano. Aveva ragione, i serpenti non mi hanno morso, ma hanno sciamato; dalle sue dita alle mie e poi sul dorso della mano e lungo il braccio. Ero così distratto da quella vista che non mi sono reso conto che Cesaria mi stava sollevando da terra finché non mi sono trovato quasi in piedi. Dico in piedi, anche se non riesco a immaginare come questo sia possibile; le mie gambe fino a quel momento erano state incapaci di sostenere il mio peso. Eppure mi sono trovato in piedi, aggrappato alla sua mano, il volto a pochi centimetri dal suo.
Non credo di essere mai stato così vicino alla moglie di mio padre prima di quel momento. Anche quando ero stato un bambino arrivato dall’Inghilterra ed ero stato accettato come suo figlio adottivo, Cesaria si era sempre tenuta a una certa distanza da me. Ma adesso ero in piedi, così vicino a lei, e anche se sentivo i serpenti attorcigliarmisi al braccio, non mi importava più: non ora che davanti a me vedevo il suo viso. Era perfetta. La sua pelle, nonostante fosse così scura, possedeva un chiarore incredibile, il suo sguardo, come la sua bocca, era allo stesso tempo invitante e proibito. Alcune ciocche dei suoi capelli sono state sollevate dalle ondate di calore che ci circondavano e mi hanno sfiorato le guance. Il loro tocco, benché leggero, è stato profondamente sensuale. Sentendolo e vedendo i suoi lineamenti squisiti, non ho potuto evitare di chiedermi come sarebbe stato essere ricevuto tra le sue braccia. Baciarla, giacere con lei, generare un figlio dentro di lei. Non c’era da meravigliarsi che mio padre fosse stato ossessionato da quella donna fino alla morte, anche se il loro amore aveva conosciuto ogni tipo di scontro, di delusione e di amarezza.
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