Quelle forme grandiose, che stavano sopra di me come colonne di fumo contro il sole, avevano tutta la potenza di un requiem; mentre le sagome più vicine, che si muovevano attorno a me, sobbalzavano e ondeggiavano come seguendo una polca ubriaca. E tra le une e le altre, c’erano corde sinuose di aria che mi circondavano levandosi verso il cielo, come componendo una rapsodia luminosa.
Dire che ero incantato sarebbe riduttivo. Era tutto così perfettamente misterioso: una seduzione dell’occhio e del cuore che mi portava vicino alle lacrime. Ma non ero rapito al punto da non chiedermi quali poteri dovessi ancora scoprire. Avevo evocato quella visione con la mia stessa disponibilità ad accettarla. Adesso era arrivato il momento di fare di nuovo la stessa cosa, di aprire il mio spirito ancora di più per vedere ciò che le ombre avevano da mostrarmi.
“ Sono pronto ”, ho detto dolcemente, “quando volete…”
Le forme davanti a me hanno continuato le loro evoluzioni, senza dar segno di avere raccolto il mio invito. Nei loro movimenti c’era ancora un senso di mutamento, ma ho avuto la sensazione che stesse rallentando. Non stavo più assistendo ai cambiamenti rapidi come battiti di un cuore, che mi avevano sbalordito pochi minuti prima.
Ho parlato di nuovo: “Non ho paura”.
Ho mai detto qualcosa di così stupido in vita mia come quella dichiarazione di coraggio in un posto simile?
Le parole avevano appena lasciato la mia bocca, quando le ombre davanti a me hanno cominciato a contorcersi come se una scossa sismica avesse fatto tremare la cupola. Due o tre secondi più tardi, come un tuono che arriva un istante dopo il fulmine, l’onda d’urto ha colpito la sola forma non eterea che vi fosse nella stanza, vale a dire me. La mia sedia a rotelle è stata scaraventata all’indietro e si è rovesciata. Ho tentato inutilmente di riprenderne il controllo, ma la sedia è schizzata sulle assi, le ruote che strillavano, e ha colpito la parete vicino alla porta con tale violenza da sbalzarmi lontano.
Sono atterrato a faccia in giù e ho sentito qualcosa spezzarsi. Non avevo più aria nei polmoni. Se ne avessi avuto la forza, avrei potuto tentare di implorare clemenza, di rimangiarmi le mie parole troppo arroganti. Ma dubito che sarebbe servito.
Boccheggiando, ho cercato di mettermi seduto, in modo da poter scoprire dov’era atterrata la mia sedia a rotelle. Ma ho sentito un dolore acuto al fianco. Chiaramente si trattava di una costola rotta. Ho abbandonato i miei tentativi di muovermi per paura di causarmi danni peggiori.
Non ho potuto fare altro che giacere dov’ero stato scagliato con così poche cerimonie, e attendere che la stanza facesse il suo lavoro. Avevo invitato i poteri a mostrarmi il loro splendore, ed ero più che sicuro che non si sarebbero negati il piacere di mostrarmelo.
Non è accaduto niente. Sono rimasto lì, col respiro rapido e concitato, lo stomaco pronto a rivoltarsi, il corpo appiccicoso di sudore, e la stanza si è limitata ad aspettare. Le forme indefinibili che mi circondavano — che ormai avevano cancellato ogni dettaglio delle finestre, delle pareti e persino del pavimento — erano quasi immobili, le loro acrobazie interrotte almeno per il momento.
Era possibile che il fatto che mi fossi ferito avesse in qualche modo bloccato la presenza o le presenze che erano nella stanza? Forse si erano accorte di aver oltrepassato i confini dell’entusiasmo, e ora volevano soltanto che mi allontanassi arrancando per leccarmi le ferite? Erano in attesa che chiamassi Luman, forse? Ho pensato di farlo, ma alla fine ho deciso che non era una buona idea. Quella era una stanza in cui non si poteva pronunciare una sola parola a meno che non fosse strettamente necessario. Avrei fatto meglio a restare immobile e silenzioso, lasciando al mio corpo in preda al panico il tempo di calmarsi. Poi, una volta riacquistato il controllo, avrei cercato di strisciare fino alla porta. Presto o tardi, Luman sarebbe salito a prendermi, ne ero certo. Anche se avessi dovuto aspettare tutta la notte.
Nel frattempo ho chiuso gli occhi per liberarmi delle immagini attorno a me. Sebbene il dolore al fianco adesso fosse soltanto una pulsazione sorda, anche la testa e gli occhi mi pulsavano; non era molto difficile immaginare che il mio corpo fosse diventato un cuore grasso, dimenticato sul pavimento, prossimo a fermarsi.
Non ho paura, mi ero vantato qualche istante prima che l’energia mi colpisse. Ma ora? Oh, avevo talmente tanta paura, ora, Paura di morire lì, prima di aver finito di catalogare gli affari irrisolti che attendevano in fondo alla mia mente, che desideravano soltanto la mia attenzione e che, non ottenendola, non facevano che crescere e crescere per tutto il tempo. Be’, molto probabilmente adesso era troppo tardi; non avrei più potuto punirmi per ogni azione disonorevole che avevo commesso, né avrei più avuto occasione di riparare ai danni che avevo fatto. Danni da poco, certo, nel grande schema delle cose, ma gravi abbastanza perché me ne rammaricassi.
E all’improvviso, sulla mia nuca, un tocco; o almeno, quello che mi è parso un tocco.
“Luman?” ho mormorato, aprendo gli occhi.
Non era Luman; non era nemmeno un tocco umano o qualcosa che somigliasse a un tocco umano. Era una qualche presenza tra le ombre; o forse erano le ombre stesse. Erano sciamate su di me mentre tenevo gli occhi chiusi, e adesso erano così vicine che la loro intimità non era per niente minacciosa ma stranamente tenera. Era come se quelle forme senza senso fossero preoccupate per me, dal modo in cui mi sfioravano il collo, la fronte, le labbra. Sono rimasto assolutamente immobile, trattenendo il fiato, aspettandomi che da un momento all’altro il loro umore cambiasse e le loro attenzioni mutassero in qualcosa di ben più crudele. Ma no; sono rimaste semplicemente ad aspettare, vicino a me.
Sollevato, ho ricominciato a respirare. E in quell’istante ho capito di aver fatto di nuovo inconsapevolmente qualcosa di importante.
Mentre inspiravo, ho sentito l’aria densa e vibrante attorno alla mia testa affrettarsi verso le mie labbra aperte e giù, lungo la mia gola. Non ho avuto scelta, ho dovuto lasciarla entrare. Quando ho capito cosa stava succedendo era già troppo tardi per opporre resistenza. Ero un vaso che veniva riempito. Potevo percepirla sulla lingua, contro le tonsille, nella trachea…
Nel momento in cui l’aria è entrata in me, il dolore al fianco si è affievolito di colpo, e così il pulsare violento nella testa e negli occhi. La paura di una morte solitaria in quel luogo mi ha abbandonato e io sono scivolato, con un solo respiro, dalla disperazione a un piacevole rilassamento.
Che labirinto di manipolazioni conteneva quella stanza! Prima la banalità, poi un colpo e poi questa beatitudine oppiata. Sarei stato stupido, lo sapevo, a credere che la stanza del cielo avesse esaurito il suo repertorio di trucchi. Ma se la stanza era felice di darmi sollievo dal mio dolore, io ero altrettanto felice di accettare ciò che mi offriva. Lo desideravo con tutto me stesso. Ho inghiottito l’aria, bevendola avidamente. E con ogni respiro mi sono sentito sempre più lontano dal mio dolore. E non era soltanto il dolore al fianco e alla testa a diventare in qualche modo remoto; c’era anche una sofferenza ben più antica — un dolore sordo che infestava il terreno morto dei miei arti inferiori — che ora per la prima volta, in un arco di tempo pari a due vite umane, veniva alleviata. Non che il dolore mi venisse tolto; solo non lo riconoscevo più come dolore. Non è necessario che vi dica con quanta gioia l’ho bandito dalla mia mente, singhiozzando la mia gratitudine per la liberazione da quell’agonia che era diventata così familiare da farmi dimenticare quanto profonda fosse la ferita.
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