Clive Barker - Galilee

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Galilee: краткое содержание, описание и аннотация

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Una saga grandiosa in bilico fra realtà e soprannaturale dove si intrecciano i destini di due famiglie — una di stirpe divina, l'altra umana ma potentissima - divise da sempre da un odio atavico. E quando scatta il colpo di fulmine tra Rachel e Galilee, i discendenti delle due dinastie, gli antichi rancori riemergono scatenando una travolgente guerra dei mondi attraverso il Tempo e lo Spazio. Tradimenti, lussuria e magnifiche visioni metafisiche in una storia di linee di sangue intrecciate che riflette i conflitti celati nella nostra anima più segreta.

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“E adesso…” ha detto lei.

“Sì?” Giuro che avrei fatto qualunque cosa per lei in quel momento. Ero come un innamorato di fronte alla sua amata; non avrei potuto negarle niente.

“Riprenditi tutto…”

Non ho capito di cosa stesse parlando. “Che cosa dovrei riprendermi?” ho domandato.

“Il respiro. Il dolore. Me. Tutto. Appartiene a te, Maddox. Riprenditi tutto.

Ho capito. Era tempo di riappropriami di tutto ciò che avevo cercato di negare a me stesso: le visioni che erano parte del mio sangue, anche se le avevo sempre tenute nascoste; il dolore che a sua volta, nel bene e nel male, mi apparteneva. E, naturalmente, la stessa aria dei miei polmoni, con la quale quel viaggio aveva avuto inizio.

Riprenditi tutto.

Avrei voluto implorarla perché mi concedesse qualche altro istante di grazia, per poterle parlare, forse; per poterla guardare, se non altro, prima che il mio corpo fosse restituito alla sua agonia. Ma lei stava già facendo scivolare le dita fuori dalla mia stretta.

Riprenditi tutto ”, ha ripetuto una terza volta, e per essere certa che le obbedissi, ha avvicinato il volto al mio e ha tratto un profondo respiro, così dolce e forte da svuotarmi la bocca, la gola e i polmoni in un solo istante.

La testa ha cominciato a girarmi; sono comparse macchie bianche e ardenti ai margini del mio campo visivo, che hanno minacciato di offuscarmi del tutto la vista. Tuttavia il mio corpo ha agito con un suo vigore intrinseco e, senza che la mia mente glielo ordinasse, ha fatto ciò che voleva Cesaria: si è ripreso il respiro.

L’effetto è stato immediato, e per i miei occhi incantati terribile. Il volto favoloso che si trovava davanti a me si è dissolto come se fosse stato evocato dalla nebbia e come se i miei polmoni bisognosi lo avessero disfatto. Ho alzato lo sguardo sperando di intravedere ancora una parte di quel cielo antico prima che svanisse, ma era già troppo tardi.

Ciò che un momento prima mi era sembrato reale al di là di ogni dubbio, in un secondo era diventato niente. No, non niente. Si è dissolto in frammenti come aveva fatto l’aria incantata quando ero entrato nella stanza. Alcuni trattenevano ancora tracce di colore. C’erano sbavature di blu e bianco sopra di me, e attorno a me, dove la foresta non era stata consumata dalle fiamme, c’erano un centinaio di sfumature diverse di verde; e davanti a me, i luccichii d’oro del fuoco e un’oscurità punteggiata di scarlatto, dove avevo visto la moglie di mio padre. Ma anche questi ultimi resti sono evaporati nell’arco di un istante, e io mi sono ritrovato nell’arena di grigio su grigio che avevo scambiato per un labirinto di pareti screziate.

Tutti gli eventi che si erano appena dipanati avrebbero anche potuto apparirmi come fittizi, se non fosse stato per un semplice particolare: ero ancora in piedi. Qualunque forza la mia niente avesse scatenato, aveva agito con un potere tale da sollevarmi da terra e rimettermi in piedi. E io sono rimasto là, senza parole, certo che sarei ricaduto a terra da un momento all’altro. Ma anche quell’istante è passato; e così l’istante dopo, e quello dopo, e quello dopo ancora, e io ero ancora in piedi.

Con cautela mi sono voltato a guardare al di là della mia spalla. Là, a meno di dieci metri da me, c’era la porta che avevo varcato prima delle visioni. Accanto a essa, rovesciata, c’era la mia sedia a rotelle. L’ho fissata. Avevo davvero il coraggio di credere che d’ora in poi non mi sarebbe più servita?

“Ma guardati…” ha detto una voce strascicata.

Ho spostato lo sguardo dalla sedia a rotelle alla porta, e ho visto Luman appoggiato allo stipite. Mentre ero occupato nella stanza, aveva trovato dell’altro liquore. Non una bottiglia ma una caraffa. Aveva lo sguardo vacuo di chi ha ecceduto non poco con l’alcool. “Sei in piedi”, ha detto. “Come hai fatto?”

“Io non…” ho risposto. “Voglio dire, non capisco perché non sono ancora caduto.”

“Ce la fai a camminare?”

“Non lo so. Non ho ancora provato.”

“Be’, Cristo, provaci.”

Ho abbassato gli occhi sui miei piedi che da centotrent’anni non prendevano più ordini da me. “Muovetevi”, ho mormorato.

E loro si sono mossi. All’inizio con difficoltà, ma si sono mossi. Prima il sinistro, poi il destro, voltandomi verso Luman e la porta.

Non mi sono fermato. Ho continuato a muovermi, il respiro rapido e affannoso, le braccia protese davanti a me per arrestare la caduta se le gambe avessero dovuto cedermi all’improvviso. Ma non è stato così. Era accaduto un qualche miracolo quando Cesaria mi aveva sollevato. La sua forza di volontà, o la mia, o quella di entrambi, mi aveva guarito. Potevo camminare. Col tempo, avrei potuto correre. Sarei andato in tutti i luoghi che non avevo visto durante gli anni in cui ero stato bloccato sulla sedia a rotelle. Fuori nella palude, e oltre, sulle strade; nei giardini che si trovavano oltre la Casa del Fumo di Luman; alla tomba di mio padre nelle stalle abbandonate.

Ma per il momento ero felice semplicemente di raggiungere la porta. Così felice che ho abbracciato Luman. Le lacrime mi sgorgavano dagli occhi e non avrei potuto fermarle nemmeno se mi fosse importato di farlo.

“Grazie”, gli ho detto.

Lui è stato piuttosto felice di accettare il mio abbraccio. Anzi, lo ha ricambiato con altrettanto fervore, premendomi il viso contro il collo. Anche lui stava singhiozzando, anche se non capivo esattamente perché. “Non vedo per cosa dovresti ringraziarmi.”

“Per avermi dato il coraggio”, ho risposto. “Per avermi convinto a entrare.”

“Allora non sei pentito?”

Sono scoppiato a ridere, e gli ho preso il volto tra le mani. “No, fratello, non sono pentito. Per niente.”

“Sei quasi impazzito?”

“Quasi.”

“E mi hai maledetto?”

“Varie volte.”

“Ma ne è valsa la pena?”

“Assolutamente.”

Luman ha fatto una pausa, riflettendo sulla domanda successiva. “Questo significa che possiamo sederci e sbronzarci fino a vomitare come fanno tutti i fratelli che si rispettino?”

“Sarà un piacere.”

Nove

1

Che cosa devo fare nel tempo che è rimasto? Semplicemente tutto.

Non so ancora quanto conosco; ma so che è molto. Ci sono immense parti della mia natura di cui non ho mai sospettato l’esistenza finora. Ho vissuto in una cella che avevo creato io stesso, mentre fuori dalle sue mura mi attendeva un paesaggio di ricchezza impareggiabile. Ma non ho avuto il coraggio di avventurarmi oltre le mie sbarre. Nella mia autocommiserazione ho pensato di essere un re minore e non ho voluto superare i confini di ciò che conoscevo per paura di perdere i miei dominii. Credo che la maggior parte di noi viva in miseri reami di questo genere. Ci vuole qualcosa di profondo perché ci trasformiamo, perché apriamo gli occhi sulla nostra gloriosa diversità.

Ora i miei occhi erano aperti, e sapevo che insieme alla vista sarebbero venute anche grandi responsabilità. Avrei dovuto scrivere di ciò che vedevo; avrei dovuto raccontarlo con le parole che appaiono proprio sulle pagine che ora state leggendo.

E ora avrei potuto sopportare il peso delle responsabilità. E lo avrei fatto con gioia. Perché ora conoscevo la risposta alla domanda più importante: che cosa si trovava al centro di tutti i fili della mia storia? Ero io. Non ero un narratore astratto di vite e amori, ero — sono — la storia stessa; la sua fonte, la sua voce, la sua musica. Forse a voi non sembrerà una rivelazione straordinaria, ma per me è qualcosa che cambia tutto il resto. Mi fa vedere con brutale chiarezza la persona che un tempo sono stato. Mi fa capire per la prima volta chi sono ora. E mi fa tremare al pensiero di ciò che devo diventare.

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