Devo raccontarvi non solo ciò che è accaduto nel mondo degli umani, ma anche quello che è successo tra gli animali, e tra coloro che hanno abbandonato la vita e che tuttavia continuano a vagare per la terra. Devo raccontarvi delle creature forgiate da Dio, ma anche di quelle che si sono generate da sole con la semplice forza di volontà o con l’appetito. In altre parole, ci saranno storie inevitabilmente profane, qui, proprio come ce ne saranno di sacre, ma non posso garantire che vi spiegherò la differenza tra le prime e le seconde.
Mi rendo conto che la cosa che più di tutte voglio fare è affascinarvi; condividere con voi una visione del mondo che porti ordine dove un tempo c’erano caos e discordanza. Niente accade per caso. Non veniamo al mondo senza una ragione, anche se possiamo non capire quale sia. Nemmeno un neonato che vive per una sola ora e che poi muore senza avere il tempo di vedere coloro che lo hanno creato ha vissuto invano: questa è la mia improvvisa certezza. Ed è mio dovere sudare fino a convincere anche voi. Talvolta racconterò di eventi epici — guerre e insurrezioni e la caduta di dinastie. Talvolta di eventi che sembreranno banali in confronto, e vi chiederete che cosa hanno a che fare con queste pagine. Fidatevi di me. Considerate quei frammenti come i trucioli di legno sul pavimento di un carpentiere, ammonticchiati alla fine della realizzazione di una grande opera. Il capolavoro ha lasciato il laboratorio, ma che cosa potremmo imparare studiando un particolare ricciolo di legno sul momento della creazione? Su come il carpentiere abbia esitato a un certo punto, o abbia completato una certa forma con assoluta sicurezza? E quei trucioli, allora, che sembrano inutili a un primo sguardo, non sono forse parte della grande opera, dal momento che sono ciò che è stato tolto per portarla alla luce?
Non rimarrò qua all’Enfant a cercare quei trucioli. Abbiamo grandi città da visitare: New York e Washington, Parigi e Londra; e luoghi ancora più a est, ancora più antichi di questi, come la leggendaria città di Samarcanda, i cui palazzi in rovina e le cui moschee danno ancora il benvenuto ai viaggiatori che percorrono la Via della Seta. E quando sarete stanchi delle città? Allora ci sposteremo in terre selvagge. Le isole delle Hawaii e le montagne del Giappone, le foreste dove giacciono ancora i morti della guerra civile, e tratti di mare che nessun navigatore ha mai solcato. Hanno tutti una loro poesia: le città luccicanti e quelle in rovina, le distese d’acqua e quelle di polvere; voglio mostrarvele tutte. Voglio mostrarvi tutto.
Semplicemente tutto: profeti, poeti, soldati, cani, uccelli, pesci, amanti, potenti, mendicanti, spettri. Niente è oltre la mia ambizione, ora, e niente sfugge al mio sguardo. Tenterò di evocare divinità comuni, e di mostrarvi le meraviglie dell’oscenità.
Un momento! Ma cosa sto dicendo? La mia penna dev’essere impazzita a promettere tutto questo. È un’operazione suicida. Non posso che fallire. Ma è questo ciò che voglio fare. Anche se dovessi coprirmi completamente di ridicolo, è questo che voglio fare.
Voglio mostrarvi la beatitudine, la mia e quella di altri. E certamente vi mostrerò la disperazione. Questo posso promettervelo senza esitare. Una disperazione così profonda che vi illuminerà il cuore così da scoprire che altri soffrono tanto più di voi.
E come finirà tutto questo? Questo spettacolo, questo fallimento. Onestamente, non ne ho la minima idea.
Seduto qui, mentre osservo il prato, mi chiedo quanto lontano sia il mondo dai confini del nostro piccolo e bizzarro dominio. Settimane? Mesi? Un anno? Non credo che qualcuno di noi qui conosca la risposta. Nemmeno Cesaria, con tutti i suoi poteri profetici, potrebbe dirvi tra quanto tempo il nemico piomberà su di noi. La sola cosa che so è che verrà. Dovrà venire, per il bene di tutti. Ho abbandonato l’idea di questa casa vista come un rifugio benedetto e incantato. Forse lo è stata un tempo. Ma la decadenza l’ha raggiunta, le sue grandi ambizioni sono marcite. Meglio che sia fatta a pezzi, magari con una certa misura di dignità; e, se così non sarà, non potremo farci niente.
Tutto ciò che voglio adesso è il tempo di incantarvi. Una volta fatto questo, immagino che apparterrò al passato, proprio come questa casa. Non sarei sorpreso se entrambi finissimo insieme in fondo alla palude. E a dire la verità, questa è una prospettiva che non mi disturberà poi così tanto se avrò fatto tutto ciò che devo prima di andarmene.
Semplicemente tutto.
E così alla fine mi ritrovo al principio.
Qual è li principio ? Dovrei cominciare forse con Rachel Pallenberg, che ultimamente è stata sposata con uno degli uomini più belli e potenti d’America, Mitchell Monroe Geary? Dovrei descriverla in tutta la sua improvvisa desolazione mentre si aggira attorno a una cittadina dell’Ohio, d’un tratto persa anche se questo è il luogo dove è nata e cresciuta? Povera Rachel. Non ha lasciato solo suo marito ma diverse case e appartamenti, e una vita che sarebbe considerata invidiabile dal novantanove per cento della popolazione (il restante un per cento vive già un’esistenza simile e sa che è perlopiù priva di gioie). Ora Rachel è tornata a casa e ha scoperto di non appartenere più nemmeno a questo luogo, il che la spinge a chiedersi: qual è il mio posto?
È una notevole tentazione iniziare da qui. Rachel è così umana; le sue confusioni e le sue contraddizioni sono facili da comprendere. Ma se cominciassi con lei, temo che mi lascerei distrarre dalla modernità. Per prima cosa deve risuonare la nota mitica; devo mostrarvi qualcosa che giunge da un passato lontano, un tempo in cui il mondo era ancora una favola vivente.
Così non posso cominciare con Rachel. Arriverà ben presto in queste pagine, ma non ora.
Deve essere Galilee. Certo, deve essere Galilee. Il mio Galilee, che è stato ed è così tante cose: ragazzo-bambino adorato, amante di innumerevoli donne (e di un considerevole numero di uomini), carpentiere navale, marinaio, cow-boy, stivatore, giocatore di biliardo e magnaccia; codardo, ingannatore e innocente. Il mio Galilee.
Non comincerò con uno dei suoi grandi viaggi, né con una delle sue famose storie d’amore. Comincerò con ciò che accadde il giorno del suo battesimo. Non avrei saputo niente di tutto questo se non fossi entrato nella stanza del lucernario. Ma ora conosco questi eventi con la stessa chiarezza con cui conosco la mia stessa vita. Forse ancora più chiaramente, perché è trascorso solo un giorno da quando sono uscito da quella camera, e questi ricordi mi sembrano vecchi soltanto di ore.
PARTE SECONDA
La sacra famiglia
Due anime vecchie come il paradiso scesero alla spiaggia in quell’antico mezzogiorno. Uscirono, accompagnate dal latrato armonioso dei lupi, dalla foresta che in quei giorni raggiungeva ancora le rive del Mar Caspio, un intrico così fìtto e una reputazione così sinistra che nessun individuo osava avventurarvisi per più di qualche metro. Non erano i lupi di cui la gente aveva paura, né gli orsi, né i serpenti: era un’altra specie di creature; generate non da Dio, ma da qualcosa di imperdonabile che stava al Creatore come l’ombra sta alla luce.
La gente del luogo aveva leggende in abbondanza su quella tribù empia, anche se le raccontavano solo a bassa voce dietro porte chiuse. Racconti di creature che vivevano tra i rami e divoravano bambini attirati con l’inganno, o che attendevano accovacciate in pozze fetide tra gli alberi adornandosi delle interiora di amanti assassinati. Nessun narratore degno del suo posto attorno al fuoco mancava mai di aggiungere qualche nuovo abominio per arricchire la leggenda. Le storie chiamavano altre storie, si riproducevano in forme sempre più perverse al punto che gli uomini, le donne e i bambini, che vivevano le loro brevi esistenze nello spazio tra il mare e gli alberi, restavano in uno stato di costante terrore.
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