Clive Barker - Galilee

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Galilee: краткое содержание, описание и аннотация

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Una saga grandiosa in bilico fra realtà e soprannaturale dove si intrecciano i destini di due famiglie — una di stirpe divina, l'altra umana ma potentissima - divise da sempre da un odio atavico. E quando scatta il colpo di fulmine tra Rachel e Galilee, i discendenti delle due dinastie, gli antichi rancori riemergono scatenando una travolgente guerra dei mondi attraverso il Tempo e lo Spazio. Tradimenti, lussuria e magnifiche visioni metafisiche in una storia di linee di sangue intrecciate che riflette i conflitti celati nella nostra anima più segreta.

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Anche a mezzogiorno, in un giorno come quello, di aria tersa e cieli lucidi come i fianchi di un grande pesce, persino oggi, in una luce così brillante che nessun demone avrebbe osato sfidare, c’era la paura.

Per dimostrarvelo, lasciate che vi presenti i quattro uomini che quel giorno stavano lavorando sulla riva, intenti a rammendare le reti per la pesca della sera. Erano tutti inquieti, e questo già prima che i lupi cominciassero a cantare.

Il pescatore più anziano era un certo Kekmet, un uomo di quasi quarant’anni anche se ne dimostrava almeno venti di più. Sul suo volto indurito e corrucciato non c’era segno che lasciasse immaginare che avesse mai conosciuto la felicità. La sua espressione più calorosa era perlomeno accigliata, proprio come in quel momento.

“Stai parlando col buco che ti ritrovi in mezzo alle chiappe”, disse al più giovane dei quattro uomini, un ragazzo di nome Zelim, che alla tenera età di sedici anni aveva già perso sua cugina che era morta abortendo. Zelim si era guadagnato la disapprovazione di Kekmet suggerendo che, dato che la vita su quella spiaggia era così dura, tutti gli abitanti del villaggio avrebbero dovuto prendere i loro averi e trovare un posto migliore dove vivere.

“Non c’è nessun posto dove possiamo andare”, disse Kekmet al giovane.

“Mio padre ha visto la città di Samarcanda”, rispose Zelim. “Mi ha detto che era come un sogno.”

“Infatti”, intervenne l’uomo che lavorava accanto a Kekmet “Se tuo padre ha visto Samarcanda, l’ha vista solo nei suoi sogni. O magari mentre era ubriaco.”

L’uomo, che si chiamava Hassan, sollevò la sua brocca piena di ciò che in quel luogo passava per liquore, latte fermentato dall’odore nauseante che beveva dall’alba al tramonto. Si portò la brocca alle labbra e bevve. Il liquido sudicio gli sfuggì dalla bocca gocciolandogli sulla barba unta. Poi passò la brocca al quarto membro del gruppo, un certo Baru, un uomo straordinariamente grasso e dal pessimo carattere. Bevve rumorosamente e appoggiò la brocca accanto a sé. Hassan non tentò nemmeno di riprendersela. Sapeva che non sarebbe stata una buona idea.

“Mio padre…” disse di nuovo Zelim.

“Non è mai stato a Samarcanda”, lo interruppe il vecchio Kekmet con la voce stanca di chi non vuol più sentir parlare di un certo argomento.

Zelim tuttavia non aveva alcuna intenzione di lasciare che la reputazione del suo defunto fosse messa in discussione in quel modo. Aveva voluto bene al vecchio Zelim che era annegato quattro primavere prima quando la sua barca era incappata in una burrasca improvvisa. Per quanto lo riguardava, se suo padre aveva raccontato di aver visto le innumerevoli glorie di Samarcanda, doveva essere vero.

“Un giorno me ne andrò”, disse Zelim. “E vi lascerò tutti qua a marcire.”

“In nome di Dio, vai !” replicò Baru. “Con tutte le tue chiacchiere mi fai male alle orecchie. Sembri una donna.”

Non appena ebbe sputato quell’insulto su Zelim, il giovane si avventò su di lui, prendendo a pugni il volto flaccido e rosso di Baru. C’erano insulti che sapeva accettare dagli anziani, ma questo era troppo. “Non sono una donna!” gridò, colpendo il suo bersaglio finché il sangue non prese a scorrere dal naso di Baru.

Gli altri due pescatori restarono a guardare. Accadeva raramente che qualcuno nel villaggio intervenisse in una disputa. La gente poteva scambiarsi tutti gli insulti e tutti i pugni che voleva; gli altri o guardavano dall’altra parte o si godevano lo spettacolo. Che importava se veniva versato sangue; che importava se una donna veniva violata? La vita continuava comunque.

Inoltre, Baru sapeva certo difendersi. Si scrollò di dosso Zelim con tanta violenza che il ragazzo venne scagliato lontano, vicino a una delle barche. Riprendendo fiato, Baru lo raggiunse.

“Ti strapperò le palle, piccolo bastardo!” urlò. “Non ne posso più di sentirti blaterare di quel cane di tuo padre. È nato stupido ed è morto stupido.” Mentre parlava, allungò una mano tra le gambe di Zelim come se si apprestasse a mettere in atto la sua minaccia, ma il giovane colpì con un calcio il naso già rotto dell’uomo. Baru ululò ma non indietreggiò. Afferrò il piede di Zelim e lo girò con forza, prima a destra e poi a sinistra. Avrebbe potuto rompergli la caviglia — cosa che avrebbe lasciato il ragazzo storpio per il resto dei suoi giorni — se la sua vittima non avesse afferrato un remo dallo scafo basso della barca. Baru era troppo impegnato a spezzargli la caviglia per accorgersene. Facendo una smorfia per la fatica, sollevò lo sguardo per godersi l’agonia di Zelim e proprio in quell’istante il remo si abbatté su di lui. Non fece in tempo a schivarlo. Fu colpito in piena faccia e la mezza dozzina di denti ancora buoni che aveva andò in frantumi. Cadde all’indietro, lasciando andare la gamba di Zelim, e rimase riverso sulla sabbia, coprendosi con le mani il volto ferito, sangue e imprecazioni che gli scivolavano tra le dita grasse.

Ma Zelim non aveva ancora finito con lui. Si alzò, lasciandosi sfuggire un grido di dolore quando appoggiò a terra la gamba ferita. Poi zoppicò fino al corpo prono di Baru e si mise a cavalcioni del suo grande ventre prominente. Stavolta Baru non tentò nemmeno di muoversi; era troppo stordito. Zelim gli strappò la camicia, scoprendo grandi rotoli di grasso.

“E tu… dai della donna a me?” disse Zelim. Baru gemette qualcosa di incomprensibile. Zelim gli artigliò il petto flaccido. “Hai delle tette più grosse di tutte le donne che conosco.” Lo colpì. “Non è vero?” Di nuovo Baru gemette, ma Zelim non era soddisfatto. “ Non sono tette, queste? ” gridò, scostando bruscamente le mani con cui Baru si copriva il volto e mettendo in mostra le sue ferite. “Mi hai sentito?”

“Sì…” mugolò Baru.

“Allora dillo.”

“Sono… tette…”

Zelim gli sputò sul volto insanguinato e si alzò. Gli era venuta la nausea, ma non aveva intenzione di vomitare di fronte a quegli uomini. Li disprezzava tutti così tanto.

Voltandosi, incrociò lo sguardo pigro di Hassan.

“Sei stato bravo”, commentò l’uomo in tono di approvazione. “Vuoi qualcosa da bere?”

Zelim allontanò la brocca che gli veniva offerta e spostò lo sguardo sulla spiaggia, oltre il piccolo cerchio di barche. La gamba gli faceva male, come se fosse stata in fiamme, ma era più che determinato ad allontanarsi dagli altri pescatori il prima possibile, per non lasciar trasparire alcun segno di debolezza.

“Non abbiamo ancora finito con le reti”, gli ringhiò Kekmet, mentre lui si allontanava zoppicando.

Zelim lo ignorò. Non gli importava delle barche, né delle reti, né dei pesci che avrebbero pescato quella sera. Non gli importava di Baru, né del vecchio Kekmet, né di quell’ubriacone di Hassan. In quel momento non gli importava nemmeno di se stesso. Non era orgoglioso di quello che aveva fatto a Baru, tuttavia non se ne vergognava. Ormai era accaduto e lui voleva solo dimenticarsene. Scavarsi un buco nella sabbia fino a trovare un posto fresco e umido e dimenticarsi di tutto. A un centinaio di metri dietro di lui, Hassan stava gridando qualcosa, e pur non riuscendo a distinguere esattamente le parole nella voce dell’ubriacone c’era abbastanza paura da convincere Zelim a voltarsi per scoprirne la causa. Hassan si era alzato in piedi e stava guardando in direzione degli alberi più lontani. Zelim seguì la direzione del suo sguardo e vide che un gran numero di uccelli si era levato in volo dai rami e si stava dirigendo in cerchio sopra le cime degli alberi. Era decisamente uno spettacolo insolito, ma Zelim non se ne sarebbe curato più di tanto se un istante più tardi non fosse risuonato l’ululato dei lupi, e insieme ai lupi non fossero emerse due figure dagli alberi. Si trovava esattamente a metà strada tra la coppia e i pescatori, e rimase là, riluttante all’idea di cercare rifugio nella compagnia del vecchio Kekmet e degli altri, ma spaventato per l’avanzare di quei due sconosciuti, che si allontanavano dalla foresta come se nella profondità della vegetazione non vi fosse nulla da temere, e si dirigevano sorridendo verso l’acqua luccicante.

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