Clive Barker - Galilee

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Galilee: краткое содержание, описание и аннотация

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Una saga grandiosa in bilico fra realtà e soprannaturale dove si intrecciano i destini di due famiglie — una di stirpe divina, l'altra umana ma potentissima - divise da sempre da un odio atavico. E quando scatta il colpo di fulmine tra Rachel e Galilee, i discendenti delle due dinastie, gli antichi rancori riemergono scatenando una travolgente guerra dei mondi attraverso il Tempo e lo Spazio. Tradimenti, lussuria e magnifiche visioni metafisiche in una storia di linee di sangue intrecciate che riflette i conflitti celati nella nostra anima più segreta.

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C’erano aragoste, pesci gatto, persino un piccolo storione. Ma sul fondo della rete, intento ad agitarsi come se possedesse più vita di qualunque altra creatura naturale, c’era un pesce che Zelim non aveva mai visto prima. Era più grande degli altri pesci che aveva preso, e i suoi fianchi non erano verdi o argentei ma di un rosso cupo. La creatura attirò subito l’attenzione generale. Una delle donne gridò che era un demone-pesce. “Guardate come ci guarda”, urlò la donna con voce stridula. “Oh, Dio del cielo, salvaci! Guardate come ci guarda!”

Zelim non disse niente: era turbato dalla vista di quel pesce quasi quanto lo erano le donne; sembrava davvero che li guardasse dritto negli occhi come per dire: morirete tutti come me, prima o poi, senza fiato.

Il panico della donna dilagò. I bambini cominciarono a piangere e vennero portati via, e fu detto loro di non guardare il demone, e di non guardare Zelim che aveva portato a riva quella cosa.

“Non è colpa mia”, protestò Zelim. “L’ho solo trovato nella mia rete.”

“Ma perché si è infilato nella tua rete?” ribatté Baru, facendosi largo tra i presenti e puntando un indice grasso su Zelim. “Te lo dico io perché. Perché voleva stare con te!”

“Stare con me?” disse Zelim. Quell’idea era ridicola, e così scoppiò in una risata. Ma fu l’unico a ridere. Tutti gli altri guardavano o il suo accusatore o la creatura, che era ancora viva anche se gli altri pesci presi nella rete erano ormai morti. “E soltanto un pesce!” esclamò.

“Io certamente non ne ho mai visto uno simile”, disse Baru. Scrutò la folla che si stava radunando in attesa di un confronto. “Dov’è Kekmet?”

“Sono qui”, rispose il vecchio. Fino a quel momento era rimasto in disparte e Baru gli fece cenno di avvicinarsi. Kekmet lo raggiunse, riluttante. Le intenzioni di Baru erano chiare.

“Da quanto tempo peschi in queste acque?” domandò Baru a Kekmet.

“Da tutta la vita”, rispose il vecchio. “E prima che tu me lo chieda, la risposta è no, non ho mai visto un pesce come questo.” Alzò gli occhi su Zelim. “Ma questo non significa che sia un demone-pesce, Baru. Significa solo… che è la prima volta che ne vediamo uno.”

L’espressione di Baru si fece ancora più maliziosa. “Tu lo mangeresti?” domandò.

“E questo cosa c’entra?” s’intromise Zelim.

“Baru non sta parlando con te”, intervenne una delle donne. Era una creatura amara, quella donna, il volto lungo e pallido quanto quello di Baru era grasso e arrossato. “Rispondi, Kekmet. Ti metteresti in pancia quella cosa ?” Guardò il pesce che, per qualche sfortunato caso, proprio in quell’istante ruotò un occhio bronzeo come per ricambiare il suo sguardo. Lei rabbrividì e di punto in bianco afferrò il bastone di Kekmet e cominciò a percuotere la creatura, non una o due, ma venti, trenta volte, con tanta violenza da spappolare la carne. Quando ebbe finito, gettò il bastone sulla sabbia e guardò Kekmet arricciando le labbra e scoprendo i denti marci. “Cosa ne dici?” chiese. “Te lo mangeresti, adesso?”

Kekmet scosse il capo. “Credi quello che vuoi. Qualsiasi cosa dica, non cambieresti idea. Forse hai ragione, Baru. Forse siamo tutti maledetti. Ma sono troppo vecchio e non me ne importa niente.”

Dopodiché, allungò una mano e l’appoggiò sulla spalla di uno dei bambini per sostenersi ora che aveva perso il suo bastone. E guidando il bambino davanti a sé, si allontanò dalla folla zoppicando.

“Hai fatto tutto il male che potevi fare”, disse Baru a Zelim. “Ora vattene.”

Zelim non protestò. A cosa sarebbe servito? Tornò alla barca, prese il suo coltello e andò a casa. Gli ci volle meno di mezz’ora per radunare tutto ciò che possedeva. Quando uscì in strada, la trovò deserta; i suoi vicini — forse per vergogna o forse per paura — si tenevano nascosti. Ma mentre si allontanava, il giovane sentì su di sé i loro occhi; e quasi desiderò che le accuse di Baru fossero vere e di essere capace di maledire gli abitanti del villaggio, facendoli svegliare il giorno dopo con gli occhi ciechi e rattrappiti nelle orbite.

Quattro

Lasciate che vi racconti quello che successe a Zelim dopo che ebbe lasciato Atva.

Deciso a provare — se non altro a se stesso — che la foresta da cui era emersa la famiglia non era un luogo di cui si doveva aver paura, si inoltrò tra gli alberi. L’aria era umida e faceva freddo, e più di una volta il ragazzo prese in considerazione l’idea di battere in ritirata verso il chiarore della spiaggia, ma dopo qualche tempo anche quei pensieri, così come la paura, lo abbandonarono. In quel luogo non c’era niente che avrebbe potuto fare del male alla sua anima. Quando degli escrementi cadevano attorno o su di lui, come capitava di tanto in tanto, a produrli non era una qualche belva divoratrice di bambini come gli era stato insegnato fin da piccolo, ma soltanto un uccello. Quando qualcosa si muoveva nel fitto della vegetazione, e Zelim riusciva a scorgere gli occhi della creatura, non erano quelli di un djinn nomade, ma di un cinghiale o di un cane selvatico.

La sua cautela man mano evaporò insieme alla sua paura, e con un certa sorpresa si rese conto di essere molto di buon umore. Cominciò a canticchiare tra sé, non le canzoni che intonavano i pescatori quando erano in barca insieme, inevitabilmente oscene o tragiche, ma qualche motivetto della sua infanzia, che gli riportava alla mente ricordi piacevoli.

Per nutrirsi, mangiava bacche e beveva acqua dai piccoli ruscelli che si snodavano tra gli alberi. Un paio di volte, tra la vegetazione trovò dei nidi e riuscì a cenare con uova crude. Solo la notte, quando era costretto a riposarsi (dopo il tramonto gli era impossibile sapere in quale direzione stesse viaggiando), l’ansia si impadroniva di lui. Non poteva accendere un fuoco e così era obbligato a sedere nella vegetazione densa di ombre fino all’alba, pregando di non essere fiutato da un orso o da un branco di lupi affamati.

Gli ci vollero quattro giorni e quattro notti per raggiungere l’altro capo della foresta. Quando emerse dagli alberi, era talmente abituato alla semioscurità che il chiarore del sole gli fece venire il mal di testa. Si sdraiò sull’erba al limitare del bosco e si addormentò nella brezza tiepida pensando che sarebbe ripartito quando il sole fosse stato meno accecante. Dormì fino al tramonto, quando fu svegliato da un coro di voci in preghiera. Si mise a sedere. Non lontano da dove si trovava, c’era una formazione di rocce simili alla spina dorsale di un gigante morto, e sullo stretto sentiero che si snodava tra i massi c’era un piccolo gruppo di monaci che recitavano preghiere mentre camminavano. Alcuni portavano lampade che illuminavano i loro volti: barbe scarmigliate, sopracciglia folte, crani pelati ustionati dal sole; quelli erano uomini che avevano sofferto per la loro fede, pensò Zelim.

Si alzò e zoppicò in direzione dei monaci, chiamandoli mentre si avvicinava per non spaventarli con la sua improvvisa apparizione. Vedendolo, gli uomini si fermarono; alcuni di loro si scambiarono sguardi sospettosi.

“Mi sono perso e sono affamato”, disse loro Zelim. “Avete del pane, o almeno potete dirmi dove posso trovare un letto per la notte?”

Il capo, un uomo corpulento, passò la lampada a uno dei suoi compagni e fece cenno a Zelim di avvicinarsi.

“Che cosa ci fai qui?” domandò il monaco.

“Ho attraversato la foresta”, spiegò il ragazzo.

“Non sai che questa è una strada pericolosa?” disse il monaco. Il suo alito era il più pestilenziale che Zelim avesse mai sentito. “Ci sono ladri su questa strada”, continuò. “Molta gente è stata aggredita e assassinata, qui.” All’improvviso il monaco allungò una mano e afferrò il braccio di Zelim trascinandolo verso di sé. Contemporaneamente estrasse un lungo coltello e lo puntò alla gola del ragazzo. “ Chiamali!

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