Clive Barker - Galilee

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Galilee: краткое содержание, описание и аннотация

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Una saga grandiosa in bilico fra realtà e soprannaturale dove si intrecciano i destini di due famiglie — una di stirpe divina, l'altra umana ma potentissima - divise da sempre da un odio atavico. E quando scatta il colpo di fulmine tra Rachel e Galilee, i discendenti delle due dinastie, gli antichi rancori riemergono scatenando una travolgente guerra dei mondi attraverso il Tempo e lo Spazio. Tradimenti, lussuria e magnifiche visioni metafisiche in una storia di linee di sangue intrecciate che riflette i conflitti celati nella nostra anima più segreta.

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Il volto di Luman è comparso dietro la porta socchiusa. Sembrava stordito, come un uomo che si è appena lasciato andare non a uno ma a molti eccessi. La sua faccia larga e bronzea luccicava di sudore, aveva le pupille a capocchia di spillo e le cornee ingiallite. La sua barba probabilmente non veniva né accorciata né lavata da diverse settimane.

“Gesù”, ha ringhiato. “Non puoi lasciar perdere e basta?”

“Hai parlato con Cesaria?” gli ho domandato.

Si è passato una mano tra i capelli, tirandoseli indietro con tale violenza da farlo apparire un atto di masochismo. Le pupille gli si sono dilatate all’improvviso fino a raggiungere le dimensioni di un quarto di dollaro. Quello era un trucco che non gli avevo mai visto fare prima, e sono rimasto così sorpreso che mi sono quasi lasciato scappare un grido. Ma ho cercato di trattenermi. Non volevo che pensasse di essere in una posizione di superiorità. Somigliava troppo a un cane impazzito. Se avesse sentito la paura in me ero certo che mi avrebbe perlomeno cacciato via. E nel peggiore dei casi? Chi poteva dire che cosa sarebbe stata capace di fare una creatura dalla mente perversa come lui? Probabilmente qualunque cosa.

“Sì”, ha detto alla fine, “mi ha parlato. Ma non penso che tu abbia bisogno di vedere la roba che lei vuole mostrarti. Non sono affari tuoi.”

“Lei pensa di sì.”

“Ah.”

“Ascolta, possiamo almeno parlare lontani dalle zanzare?”

“Non ti piace farti mordere?” ha detto lui con un piccolo ghigno cattivo. “Oh, a me piace spogliarmi e farmi mangiare da loro. Mi manda su di giri.”

Forse sperava di respingermi con quel commento, di farmi andare via, ma non avevo intenzione di dargliela vinta così facilmente. Ho continuato a fissarlo.

“Hai un altro di quei sigari?”

Ero venuto preparato. Non solo avevo altri sigari, avevo anche del gin e, nel caso avessi dovuto sedurlo intellettualmente, un piccolo pamphlet sui manicomi della mia collezione personale. Molti anni prima, Luman aveva trascorso alcuni mesi incarcerato a Utica, un istituto nella parte nord dello stato di New York. Un secolo dopo (così mi aveva detto Marietta) era ancora ossessionato dal fatto che un uomo sano potesse essere scambiato per pazzo e che un pazzo potesse essere messo a capo del Congresso. Ho preso prima il sigaro.

“Ecco”, ho detto.

“È cubano?”

“Naturalmente.”

“Lanciamelo.”

“Te lo può portare Dwight.”

“No. Lanciamelo.”

Ho gettato gentilmente il sigaro verso di lui. È caduto a una trentina di centimetri dalla soglia. Lui si è chinato e lo ha raccolto, facendoselo scivolare tra le dita e annusandolo.

“Ottimo”, ha detto soddisfatto. “Li tieni in un portasigari?”

“Sì. Con questa umidità.”

“Certo, certo”, ha detto lui, con un timbro di voce chiaramente meno ostile. “Be’, allora”, ha continuato, “faresti meglio a portare qui il tuo povero culo.”

“È un problema se Dwight mi accompagna?”

“Basta che poi se ne vada”, ha risposto Luman. Poi, rivolgendosi a Dwight: “Senza offesa. Ma questa è una faccenda tra me e il mio fratellastro”.

“Capisco”, ha detto Dwight, mi ha preso tra le braccia e mi ha portato fino alla porta che Luman ha spalancato. Mi sono sentito investire da un’ondata di calore maleodorante; la puzza di un porcile in piena estate.

“Mi piace questo odore”, ha spiegato Luman. “Mi ricorda il vecchio paese.”

Non ho detto niente; ero — non so quale sia la parola adatta — sbalordito, forse atterrito, dalle condizioni interne dell’edificio.

“Mettilo sulla vecchia culla, là”, ha ordinato Luman indicando uno strano letto-bara vicino al caminetto. Ancora peggiore della culla stessa — che sembrava più che altro uno strumento di tortura e non un luogo di riposo — era il fatto che il caminetto era tutt’altro che freddo: lì stava bruciando un grande fuoco fumoso. Nessuna meraviglia che Luman sudasse così copiosamente.

“È sicuro?” mi ha chiesto Dwight, chiaramente preoccupato per me.

“Andrà tutto bene”, ho risposto. “Non mi farebbe male dimagrire un po’.”

“Potresti”, ha detto Luman. “Devi essere in forma per combattere. Tutti noi dobbiamo esserlo.”

Si è acceso un fiammifero, e con la cautela del vero appassionato ha lentamente fatto ardere la punta del sigaro. “Mio Dio”, ha sospirato, “davvero ottimo. Mi piace essere corrotto così, fratello. Se un uomo sa come corrompere, vuol dire che è stato educato a dovere.”

“Visto che siamo in argomento…” l’ho interrotto. “Dwight, il gin.”

Dwight ha appoggiato la bottiglia sul tavolo completamente coperto di detriti come ogni altra superficie della tana infernale di Luman.

“Be’, sei veramente molto gentile”, ha detto Luman.

“E questo.”

“Mio Dio, mio Dio, un’autentica pioggia di regali oggi, vero?” Gli ho dato il libro. “Che cos’è?” Ha guardato la copertina. “Oh, questo sì che è interessante, fratello.” Ha sfogliato il libro riccamente illustrato. “Mi chiedo se ci sia una fotografia della mia piccola vecchia culla.”

“Questa viene da un manicomio?” ho chiesto, abbassando lo sguardo sul letto su cui mi aveva adagiato Dwight.

“Certo. Sono stato incatenato lì per duecentocinquantacinque notti.”

“Qui dentro?”

“Lì dentro.”

Mi si è avvicinato e ha alzato una coperta sudicia su cui ero seduto per farmi osservare meglio la scatola stretta e crudele dentro la quale era stato chiuso. Le cinghie erano al loro posto.

“Perché la tieni?”

“Per ricordare”, ha risposto lui, incrociando il mio sguardo per la prima volta da quando ero entrato. “Non posso permettermi di dimenticare, perché nel momento in cui avrò dimenticato, sarà come perdonarli per quello che mi hanno fatto, e non lascerò che questo accada.”

“Ma…”

“So cosa stai per dire: sono tutti morti. Ed è proprio così. Ma questo non significa che non potrò rifarmi su di loro quando il Signore ci chiamerà tutti al suo giudizio. Li fiuterò e li troverò,come il cane pazzo che ero secondo loro. Prenderò le loro anime e non ci saranno santi in Paradiso capaci di fermarmi.” Il volume della sua voce e la sua veemenza si sono intensificati mentre parlava; quando ha finito, io sono rimasto in silenzio per un attimo o due, per dargli il tempo di calmarsi. Poi ho detto:

“Mi sembra che tu abbia le tue buone ragioni per tenerti la culla”.

Per tutta risposta, Luman ha grugnito. È andato al tavolo e ha preso posto su una sedia. “Non ti chiedi mai…?” ha cominciato.

“Che cosa?”

“Perché uno di noi finisce in un manicomio e un altro finisce storpio, e un altro finisce in giro per il mondo a scoparsi ogni bella donna su cui posa lo sguardo?”

Quell’ultimo naturalmente era Galilee; o almeno, il Galilee del mito familiare: il vagabondo che inseguiva i suoi sogni irrealizzabili da un oceano all’altro.

“Allora, non te lo chiedi mai?”

“Ogni tanto.”

“Vedi? La vita è ingiusta. È per questo che la gente impazzisce. È per questo che comprano pistole e ammazzano i loro figli. O finiscono in catene. La vita è ingiusta!” Stava ricominciando a gridare.

“Se posso dirlo però…”

“Puoi dire quel cazzo che vuoi!” ha replicato Luman. “Voglio ascoltarti, fratello.”

“… siamo più fortunati della maggior parte della gente.”

“Perché lo pensi?”

“Siamo una famiglia speciale. Abbiamo… voi avete capacità che la maggior parte della gente sarebbe pronta a uccidere per avere…”

“Certo, posso scoparmi una donna e poi farle dimenticare di avermi mai conosciuto. Certo, posso ascoltare quello che un serpente dice a un altro. Certo, ho una madre che è abituata a essere una delle più grandi donne di tutti i tempi e un padre che ha conosciuto Gesù. E allora? Mi hanno messo in catene lo stesso. E penso ancora di essermelo meritato, perché in fondo all’anima ero convinto di essere un inutile figlio di puttana.” Ha abbassato la voce fino a un sussurro. “E questo è un fatto che davvero non è cambiato.”

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